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Sette prodotti che mettono a rischio le foreste

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Una risoluzione del Parlamento europeo elenca sette prodotti che mettono principalmente a rischio le foreste e riconosce che, con questi livelli di consumi e importazioni, «l’Unione Europea è chiaramente parte del problema della deforestazione a livello mondiale». Inoltre, critica il sistema delle certificazioni per l’olio di palma, ritenendole non sufficienti a fermare la devastazione dei “polmoni verdi” del Pianeta.
Nella risoluzione approvata l’11 settembre scorso dal Parlamento Europeo si afferma che sette prodotti mettono principalmente a rischio le foreste: l’olio di palma, la gomma, la soia, la carne bovina, il granturco, il cacao e il caffè. Questi prodotti sono anche stati oggetto di uno studio di fattibilità sulle opzioni per rafforzare le azioni a contrasto di questo enorme problema, studio commissionato dalla direzione generale dell’Ambiente della Commissione. E l’europarlamento riconosce anche che “l’UE è chiaramente parte del problema della deforestazione a livello mondiale”.
Si legge ancora nella risoluzione: «In particolare l‘allevamento di bestiame e le grandi piantagioni industriali di soia e olio di palma sono fattori importanti di deforestazione, specialmente nei paesi tropicali, in ragione della crescente domanda di tali prodotti nei paesi sviluppati e nelle economie emergenti e dell’espansione dell’agricoltura industriale in tutto il mondo; nel 2013 uno studio della Commissione europea ha rilevato che l’UE a 27 era stata il maggiore importatore netto mondiale di deforestazione dovuta alla produzione di beni tra il 1990 e il 2008».
La risoluzione sollecita la UE ad adottare misure che riducano i consumi e le importazioni di merci “incriminate” e ad applicare misure che permettano la rigenerazione delle foreste laddove sono state pesantemente ridotte.

Deforestazione e gas serra

«La deforestazione è responsabile dell’11% delle emissioni di gas a affetto serra globali di origine umana, più del contributo complessivo delle automobili – scrive l’europarlamento – (…) Le cause della deforestazione vanno al di là del settore forestale in sé e sono connesse a un’ampia gamma di questioni, quali la proprietà fondiaria, la tutela dei diritti delle popolazioni indigene, le politiche agricole e i cambiamenti climatici». Occorre «affrontare la deforestazione in modo olistico attraverso un quadro politico coerente, vale a dire assicurando il riconoscimento e il rispetto effettivi dei diritti fondiari delle comunità che dipendono dalle foreste, in particolare nel caso di finanziamenti dell’UE per lo sviluppo, nonché nella fase di controllo degli accordi volontari di partenariato FLEGT, e in modo tale da consentire la sussistenza nella silvicoltura delle comunità locali, garantendo al contempo la conservazione degli ecosistemi».
«I reati forestali come il disboscamento illegale hanno rappresentato nel 2016 un valore di 50-152 miliardi di USD a livello globale, in aumento rispetto ai 30-100 miliardi del 2014, e si collocano al primo posto tra i reati ambientali in termini di introiti generati; il disboscamento illegale contribuisce sostanzialmente a finanziare la criminalità organizzata e pertanto impoverisce notevolmente i governi, le nazioni e le comunità locali a causa dei mancati introiti».

Violazioni dei diritti umani

Si legge inoltre che si vanno intensificando le «violazioni dei diritti umani, accaparramenti dei terreni e confisca delle terre delle comunità indigene, causate dall’espansione di infrastrutture, da piantagioni monocolturali per alimenti, carburanti e fibre, dal disboscamento e da azioni volte a mitigare le emissioni di carbonio, quali biocarburanti, gas naturale o sviluppo su vasta scala dell’energia idroelettrica – circa 300 000 abitanti delle foreste pluviali dell’Africa centrale (anche noti come “pigmei” o “batwa”) devono fare i conti con pressioni senza precedenti sulle loro terre, risorse forestali e società, dato che le foreste sono disboscate, convertite in terreni agricoli o in aree esclusive destinate alla conservazione della fauna selvatica».
La risoluzione, inoltre, «esorta la Commissione ad avviare immediatamente un’approfondita valutazione d’impatto e una effettiva consultazione con le parti interessate, in particolare con il coinvolgimento delle popolazioni locali e delle donne, allo scopo di attuare un significativo piano d’azione dell’UE sulla deforestazione e sul degrado forestale comprensivo di misure normative concrete e coerenti, compreso un meccanismo di monitoraggio, intese ad assicurare che nessuna catena di approvvigionamento o transazione finanziaria collegate all’Unione europea siano causa di deforestazione, degrado forestale o violazioni dei diritti umani; chiede che detto piano d’azione promuova un’assistenza tecnica e finanziaria migliorata per i paesi produttori con lo scopo specifico di salvaguardare, preservare e rigenerare foreste ed ecosistemi di vitale importanza, nonché migliorare i mezzi di sussistenza delle comunità che dipendono dalle foreste; ricorda che le donne indigene e le donne delle comunità agricole svolgono un ruolo centrale nella difesa degli ecosistemi forestali; osserva, tuttavia, con preoccupazione l’assenza di inclusione ed emancipazione femminile nell’ambito dei processi di gestione delle risorse naturali; deplora la mancanza di educazione alla silvicoltura: ritiene che l’uguaglianza di genere nell’educazione alla silvicoltura sia un punto fondamentale nella gestione sostenibile delle foreste, che dovrebbe riflettersi nel piano d’azione dell’UE».

Norme più restrittive

L’europarlamento chiede anche che si provveda a:
  •  stabilire criteri obbligatori per prodotti sostenibili e a deforestazione zero;
  •  imporre obblighi vincolanti relativi al dovere di diligenza sia agli operatori a monte che a quelli a valle nelle catene di fornitura dei prodotti che mettono a rischio le foreste;
  •  applicare la tracciabilità delle merci e la trasparenza a tutta la catena di approvvigionamento;
  •  richiedere alle autorità competenti degli Stati membri di svolgere indagini e perseguire i cittadini dell’UE e le società con sede nell’UE che traggono beneficio dalla conversione illegale dei terreni nei paesi produttori;
  •  ottemperare al diritto internazionale in materia di diritti umani, rispettare i diritti consuetudinari come stabilito dalle linee guida volontarie sulla gestione responsabile della terra, della pesca e delle foreste e garantire il principio del libero, previo e informato consenso di tutte le comunità potenzialmente interessate durante l’intero ciclo di vita del prodotto;
E aggiunge:
«Si riconosce, per quanto riguarda l’olio di palma, il contributo positivo apportato dai sistemi di certificazione esistenti, ma osserva con rammarico che né la Tavola rotonda per l’olio di palma sostenibile (RSPO), né l’olio di palma sostenibile indonesiano (ISPO), né l’olio di palma sostenibile malese (MSPO) né tutti gli altri principali sistemi di certificazione riconosciuti proibiscono effettivamente ai loro aderenti di convertire foreste pluviali o torbiere in piantagioni di palma; ritiene pertanto che tali principali sistemi di certificazione non siano in grado di limitare effettivamente le emissioni di gas serra derivanti dalla creazione e dalla coltivazione delle piantagioni e non riescano di conseguenza a evitare i grandi incendi in foreste e torbiere; chiede alla Commissione di assicurare un audit e un monitoraggio indipendenti di tali sistemi di certificazione, garantendo che l’olio di palma immesso sul mercato dell’UE sia conforme a tutte le norme necessarie e sia sostenibile; osserva che la questione della sostenibilità nel settore dell’olio di palma non può essere affrontata unicamente con misure e politiche volontarie, ma che sono necessarie norme vincolanti e sistemi di certificazione obbligatori, anche per le aziende produttrici di olio di palma».

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