Slow Food: «Manifesto per salvare i prati stabili»
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«Il prato stabile è l’emblema del perfetto equilibrio tra natura ed esseri umani, tra rispetto dell’ambiente e produzione. Un patrimonio ambientale, sociale, culturale ed economico che può cambiare il futuro delle terre alte, ma anche rigenerare i terreni esausti delle pianure»: così Slow Food nella presentazione del Manifesto per salvare i prati stabili, i pascoli e i pastori.
«Il prato stabile è l’emblema del perfetto equilibrio tra natura ed esseri umani, tra rispetto dell’ambiente e produzione. Un patrimonio ambientale, sociale, culturale ed economico che può cambiare il futuro delle terre alte, ma anche rigenerare i terreni esausti delle pianure, dove l’allevamento ha perso il contatto con la terra e l’agricoltura intensiva ha compromesso la vitalità dei suoli.»: così Slow Food nella presentazione del Manifesto per salvare i prati stabili, i pascoli e i pastori.
Il prato stabile, scrive Flow Food, «è uno strumento straordinario per fronteggiare la crisi climatica, perché è capace di stoccare e custodire una grande quantità di carbonio nel suolo. Contribuisce a mettere in sicurezza il territorio: assorbe l’acqua piovana più di un campo lavorato ma anche più di un terreno abbandonato e quindi riduce il rischio di erosione, frane, alluvioni. Se è curato bene, è un’efficace barriera per gli incendi. È ricchissimo di biodiversità: in pianura contiene decine di essenze diverse, in montagna arriva a diverse centinaia; moltissimi animali e microrganismi vi trovano riparo e nutrimento, a cominciare dagli insetti impollinatori e dagli uccelli. Fa bene alla nostra salute: se i ruminanti (bovini, ovini, caprini) mangiano erba e foraggi di prato stabile, la composizione nutrizionale del latte cambia radicalmente, perché è più ricco di Omega 3, vitamine e sali minerali, fondamentali per il nostro metabolismo. È essenziale per il benessere animale: se hanno a disposizione luce naturale, terra, erba, arbusti da brucare, gli animali stanno meglio, sono più sani e vivono molto più a lungo».
Il prato stabile «non è arato, non è seminato, non ha bisogno di trattamenti con insetticidi o fitofarmaci, ma non è neppure selvatico, perché ha bisogno di cure – prosegue Slow Food – Fa parte di un delicato sistema agro-silvo-pastorale, ha bisogno del lavoro dell’uomo e della presenza degli erbivori. Altrimenti si impoverisce e viene invaso dalla boscaglia. Deve essere pascolato, sfalciato, concimato, integrato dalla presenza di specie arboree: siepi, arbusti, alberi da frutta, conifere. Puntare su erba, fieno, pascoli e sostenere il lavoro dei pastori significa trasformare l’allevamento da settore con uno dei maggiori impatti sull’ambiente ad attività che può contribuire a combattere la crisi climatica e tutelare l’ambiente, la biodiversità, il paesaggio. Significa ridare vita e valore ad aree abbandonate o a rischio di spopolamento».
«Salvare i prati stabili, i pascoli e i loro custodi non è un atteggiamento nostalgico o bucolico, non significa proporre un ritorno al passato, ma, al contrario, essere ben calati nel presente, consapevoli delle sfide attuali e con uno sguardo propositivo e concreto verso il futuro – prosegue ancora l’associazione – Per questo ci impegniamo a sviluppare iniziative, progetti, ricerche, campagne, per salvare i prati stabili e i pascoli montani dall’abbandono, per ripristinarli dove sono andati perduti, per favorire l’adozione di politiche e normative che sostengano chi li custodisce, per promuovere i prodotti che se ne ricavano».
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