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Storia di una r-esistenza: gli Strulgador, Barbara e Lorenzo

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«Ogni primavera ci incuriosisce notare quali piante predominano ai bordi delle strade e ci piace pensare che saranno quelle di cui avremo maggior bisogno in Inverno, la stagione più dura». Sono Barbara Pisa e Lorenzo Cambiaghi a parlare, gli Strulgador  di Montombraro, un paesino a 600 metri circa di altitudine vicino Zocca in provincia di Modena.
«Alcuni anni c’è molta malva ed infatti, guarda caso, i mal di gola si protraggono intensamente fino a tarda primavera. Altri anni c’è tanto iperico…ahiahiahi..sarà un inverno duro, l’iperico cura le tristezze ed è antidepressivo. Così, se di una piante c’è abbondanza, meglio approfittarne, significa che ne servirà molto!».
Gli Strulgador Barbara e Lorenzo vivono nel loro podere Malprevisto da quattro anni, organizzando gli spazi seguendo le tracce della permacoltura. Il posto è isolato, ma abbastanza vicino al paese ed è circondato da boschetti e prati, ci sono boschi cedui di querce, castagni e praterie da foraggio. Hanno scelto di chiamarsi Strulgador, parola dialettale emiliana, per la forza magica che rappresenta e perché  sono sempre in moto con idee e progetti. La parola deriva dal verbo “Strùlgar” che significa escogitare inventare, ingegnarsi nel fare qualcosa. Per estensione,  Strùlgador o Strùlgadore erano le persone che avevano le qualità di guaritori e guaritrici di campagna. La storia di Barbara e Lorenzo è raccontata nel libro “Genuino clandestino. Viaggio tra le agri-culture resistenti ai tempi delle grandi opere” che raccoglie anche altre testimonianze di alcuni protagonisti dell’omonimo manifesto.
Di cosa parla il manifesto Genuino Clandestino a cui avete aderito?
«Genuino clandestino è una campagna di autodenuncia nata nel 2010 all’interno dei mercati dell’associazione CampiAperti di Bologna, in risposta ad una richiesta da parte del comune di messa a norma dei mercati. Questi sono nati e cresciuti per 10 anni all’interno di realtà autonome con l’intento di creare una certificazione partecipata dai produttori e co-produttori (coloro che fanno la spesa e quindi contribuiscono alla produzione) per liberarsi dalla burocrazia imperante che risucchia buona parte del reddito di chi produce direttamente, per pagare un terziario che elargisce marchi e certificazioni in maniera del tutto discutibile a dei prezzi insostenibili. Inoltre i mercati sono nati con lo scopo di dare possibiltà economiche a chi sceglie una vita rurale ma deve ancora sviluppare una propria strada e delle proprie abilità professionali. Visto che le leggi e i decreti relativi alle produzioni e trasformazioni alimentari su scala casalinga, si parla quindi di una micro produzione, sono spesso esagerate e rigide, abbiamo deciso di rispondere con il marchio “Genuino Clandestino”. Un marchio che non tutela un bel niente e nessuno, ma semplicemente è un’autodenuncia: “Questo prodotto è fatto con cura, qualità e genuinità, ma la legge non lo riconosce come tale, per cui è clandestino”. Il termine clandestino suscitò un po’ di scontento nell’assemblea di mercato, ma lo ritenevamo fondamentale in un’epoca dove persino gli esseri umani sono clandestini».
Cos’è avvenuto dopo l’uscita del marchio?
«Dopo l’uscita si è incominciato a fare mercati straordinari nelle città italiane (Roma, Milano, Perugia, Genova, Firenze, Napoli…) coinvolgendo realtà genuine e clandestine locali. Con questo “tour” ci si è subito resi conto di come il territorio rurale italiano sia costellato da una miriade di realtà genuine clandestine perchè, viste le leggi che ci sono, è inevitabile che sia così. Questo ha fatto sì che la campagna non sia rimasta relegata alla città di Bologna, ma sia diventata una campagna nazionale per esprimere il malcontento di leggi e direttive troppo rigide che non permettono l’autosotentamento familiare e che rischiano di cancellare un patrimonio culturale, alimentare e paesaggistico millenario legato alla produzione alimentare invidiato da tutto il mondo».
Voi partecipate ai mercati di CampiAperti di bologna. Che mercati sono e che aria si respira?
«CampiAperti è un’associazione di produttori e co-produttori , coloro che facendo la spesa aiutano i produttori, nata all’interno di realtà autonome bolognesi intorno al 2001, grazie agli sforzi di piccoli produttori agricoli, ragazzi dei centri sociali, cittadini critici nel fare la spesa. Pian piano questi mercati hanno preso sempre più piede: da 1 mercato sono diventati 5, da pochi produttori sono diventati più di 80. I mercati di CampiAperti non sono semplici mercati contadini o a km0 come se ne vedono tanti nelle piazze di Italia. Sono mercati politici, senza partiti e senza bandiere, fondati sulla convinzione che la politica nasce dal basso, dalla terra, dalle cucine, dalla spesa che facciamo. Il voto non è quello che facciamo alle urne, ma noi votiamo ogni volta che usiamo i nostri soldi per avere in cambio un bene. Per cui la spesa è politica; è l’unico vero atto politico che è rimasto alle masse per farsi sentire. Chi partecipa ai mercati deve vivere una vita rurale, deve operare in maniera biologica (non per forza certificata), deve avere solo prodotti fatti da lui, la reperibilità degli ingredienti nei prodotti trasformati deve venire principalmente dall’interno di CampiAperti, altrimenti GAS, Genuino Clandestino,  mercato equosolidale. L’idea è valorizzare la sovranità alimentare, cosa che invece non succede affatto all’interno di circuiti, anche biologici, come nelle catene di supermercati e linee  della grossa distribuzione. I mercati non sono solo mercati ma sono motivo di incontro, scambio, festa. Per noi che abitiamo in montagna il mercato di CampiAperti è l’occasione per connetterci al mondo e per dare anche il nostro contributo. Ovviamente non sono solo gioie: ci sono frequenti assemblee , discussioni, stanchezza,  multe…. tutte cose che però danno modo a questa storia di continuare ad evolversi».
Com’è iniziata la vostra r-esistenza?
«Abbiamo 39 e 35 anni. Ci siamo conosciuti frequentando il corso di Laurea in tecniche Erboristiche a Modena, mentre entravamo nel mondo delle piante, che già amavamo ed esploravamo autonomamente, ci siamo innamorati. Entrambi desideravamo fortemente le stesse cose: vivere a contatto con la natura, ritornare a conoscere le piante e la connessione tra loro e noi, vivere in semplicità e fuori dai meccanismi del consumo. Siamo andati a vivere assieme in campagna, vicino ad un fiume, assieme ad altri ragazzi ed abbiamo cominciato subito a mettere in pratica i nostri desideri: riconoscere, raccogliere e trasformare le piante in estratti, tisane, e tutto quanto servisse per i nostri bisogni e per quelli di amici e parenti; imparare i primi rudimenti pratici delle coltivazioni ed affinare una nostra idea personale di ecologia domestica. Un giorno un’amica ci parlò di uno speciale mercato che si svolgeva in un centro sociale di Bologna, l’xm24 di via Fioravanti. In questo mercato, già da un po’ di anni, alcuni coltivatori ed allevatori della Valsamoggia (valle situata tra le colline attorno a Bologna), avevano scelto di essere i diretti venditori di ciò che facevano, in maniera naturale, diciamo biologica, e con una certa etica non solo di produzione ma anche di vita. L’idea di parteciparvi piacque da subito. Pensavamo che avremmo potuto fare i nostri prodotti in quantità superiore al nostro bisogno, in modo da ammortizzarne le spese e oltre a questo, potere divulgare l’importanza di attingere dalle proprie risorse per  avere cura di se stessi nel quotidiano. Abbiamo preso parte al mercato di xm dal 2006. Lo abbiamo visto crescere e siamo cresciuti assieme, perché le nostre esperienze e scoperte aumentavano di pari passo. Nel frattempo dovevamo fare altri lavori per mantenerci ed inizialmente fu difficile ottenere fiducia da chi frequentava il mercato per gli acquisti, ma  il desiderio di continuare e la passione per ciò che facevamo ci ha dato la spinta per andare avanti. Pian piano ci hanno dato fiducia, e tante soddisfazioni. Da quattro anni abbiamo trovato il luogo dove metter radici, il podere Malprevisto». 
Avete scelto di fare un lavoro che vi rappresenti e che testimoni la vostra scelta di vita, quotidianamente; di cosa vi occupate?
«La vita che ci siamo scelti ci calza a pennello, è su misura diciamo. Seguiamo i ritmi delle stagioni che scandiscono i nostri giorni e che informano dei vari momenti per i raccolti e le trasformazioni. Questi ritmi vengono adattati anche alle esigenze di vita familiare; abbiamo due figlie, una di sette ed una di tre anni e mezzo, cresciute a stretto contatto con noi e la nostra passione, la crescita ed il loro accudimento sono parte integrante del nostro quotidiano. Anche loro conoscono molto bene le piante, cosa fare in caso di ferite, mal di testa, cadute e spesso giocano ad imitarci, facendo pozioni di fiori, o pestando al mortaio delle erbe. Ci sono periodi durante i quali siamo pieni di lavori, soprattutto durante le stagioni di raccolta ,il periodo giusto per raccogliere una pianta ha un inizio ed una fine piuttosto brevi, che spesso coincidono con una maggiore vita sociale; altri di maggior ritiro e quiete, durante i quali ci dedichiamo ai lavori domestici ed all’erboristeria pratica».
I ritmi della vostra giornata?
«Per noi non esiste una “giornata tipo”; ogni giorno si svolge in modo diverso dagli altri. Ci sono giorni in cui ci svegliamo e, dopo colazione, si va in giro alla ricerca di piante da raccogliere, che poi mettiamo ad essiccare o a macerare in oli o alcol; altri giorni ci dedichiamo a sistemare le galline e poi si va nell’orto; altri ancora si va a raccogliere i frutti per fare marmellate. Poi ci sono giorni in cui ci dedichiamo alla preparazione delle tisane: le  lavoriamo tutte a mano o con la mezzaluna per farne dei mix, tutto in una dimensione artigianale, per non perdere con le meccanizzazioni il principio vitale delle piante,  poi facciamo delle etichette così Lorenzo mette in pratica le sue vecchie esperienze di grafica ed io mi diletto con gli acquerelli».
Come avviene la raccolta delle erbe spontanee?
«Per la raccolta delle erbe, io e Lorenzo abbiamo delle aree, che noi chiamiamo “zone”, dove c’è abbondanza di una certa pianta o di alcune. Le scegliamo in zone pulite, prati e boschi lontani da strade ed abitati. A volte andiamo a turni, uno sta con le bimbe e l’altro raccoglie, altre volte tutti assieme. Ci muniamo di cesti, gerle e borsine di stoffa che appendiamo al collo, e poi vaghiamo qua e là, cercando le piante più belle e dove ce ne sono molte, per cercare di non depredare. Poi conserviamo anche i semi, che  riseminiamo attorno al nostro podere, così le abbiamo più comode e ripopoliamo le specie che vanno via via perdute. Qui è tutto spontaneo, è li per noi e per tutti gli altri animali».
Quanto, secondo voi, si è perso al giorno d’oggi come cultura e conoscenza delle erbe spontanee, frutti e piante?
«Nelle ultime generazioni è andato praticamente perduto tutto, più in certe zone che in altre che conservano ancora una certa ruralità ininterrotta, tutta la conoscenza di piante selvatiche e territorio. Ma c’è senz’altro un gran desiderio generale di riscoprirle. Siamo più o meno tutti consapevoli del nostro bisogno di riavvicinarci all’ambiente che ci circonda, sia esso una prateria o un marciapiede dal quale spunta una piantina stentata».
La perdita della connessione con la natura cosa comporta nella vita quotidiana?
«Anzitutto, perdere la connessione con ciò che è “natura”, intesa come insieme di tutti quei caratteri che esistono a prescindere dalla presenza-azione degli umani, ci  allontana dalla comprensione di ciò che sono le nostre necessità biologiche essenziali e primordiali: stare seduti ai primi raggi del sole, rifugiarsi in casa quando arriva l’inverno, mangiare erbe amare in primavera, e dunque, dal saperle appagare. Veniamo sopraffatti da stimoli economici e da progetti che ci vedono schiavi di un sistema senza valori di vita, che ci portano a credere che abbiamo necessità sempre più complesse per “stare bene”. Poi, parallelamente, il disagio, l’inadeguatezza, la desolazione, aleggiano sempre più, ma ormai mancano gli strumenti personali per saperle riconoscere e sanare. La cultura del “tutto subito” non ci permette di assaporare il ritmo della vita godendo delle cose nel loro momento di maggior abbondanza. Abbiamo una pagina Facebook che si chiama “Malprevisto”: informiamo su  cosa facciamo nel nostro podere e sui corsi e passeggiate che teniamo. Organizziamo corsi di erboristeria su vari argomenti e passeggiate tematiche per riconoscere le piante spontanee; questo ci piace molto e troviamo che sia importantissimo per riscoprire il territorio e ciò che calpestiamo ogni giorno senza sapere di che si tratta, ma anche per ritornare ad approfittare della ricchezza di benefici che ne derivano: riappropriarsi della propria salute, della conoscenza del proprio corpo e delle proprie caratteristiche. E poi non finiremo mai di conoscere l’ambiente, di farne parte, di osservarlo e di viverlo…»
Una vostra ricetta?
«Visto che stiamo per affrontare un cambio di stagione, è bene liberare il corpo dalle  scorie accumulate durante l’estate. Per questo proponiamo una tisana depurativa, ovvero che stimola la funzionalità del fegato, in modo che possa lavorare al meglio per diminuire il carico di tossine nel nostro corpo. Così facendo manteniamo il corpo leggero (non in termini di peso) e scattante pronto a reagire alle avversità portate dai primi freddi.
Tisana Fegato Brillante
Ingredienti per 100gr di prodotto:
35 gr Cynara scolymus (carciofo) foglie primaverili
25gr Centaurea sp. (centaurea) fiori,
20gr Intybus cychoria (cicoria) radice,
10gr Eupatorium cannabinum (canapa acquatica) parti aeree,
10gr Fraxinus ornus (orniello) foglie.
Consigliamo di berne tre tazze al giorno, dosandone un cucchiaino di miscela per tazza».

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