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Xylella: tra eradicazioni e reimpianti il futuro dell’olio pugliese non sembra essere… “Favoloso”

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In Salento si fanno largo nuove coltivazioni. Addio agli ulivi centenari e millenari di varietà autoctone; arriva la “Favolosa”, varietà che si presta a coltivazioni intensive e super intensive. Viene presentata come resistente alla Xylella e molto produttiva. Ma è veramente così? Ce ne parla Francesco Mastroleo, olivicoltore pugliese che oltre 10 anni fa ha piantato la cultivar brevettata dal Cnr.
“Casarano, nasce l’uliveto della Favolosa che resiste alla Xylella”, “Ecco le piantine di Favolosa che resistono alla Xylella Fastidiosa”, “La varietà Favolosa che non teme la Xylella: primo corso pratico a Ugento”. Sono solo alcuni dei titoli che in questi giorni sulle pagine di diversi giornali danno il benvenuto ai reimpianti, in terra salentina, delle nuove cultivar di ulivo “resistente alla Xylella”.
Il via libera, sancito dalla Determinazione del Dirigente Sezione dell’Osservatorio Fitosanitario nel maggio di quest’anno, è l’ultimo atto del lungo iter avviato con la modifica della Decisione di esecuzione Ue 789/2015, che grazie all’analogo provvedimento 2352/2017 ha disposto la deroga al divieto di impianto di specie ospiti nelle zone infette.
In particolare sarà privilegiato l’impianto di ulivi di cultivar Leccino e FS17 (Favolosa) “perché – si legge nel documento – risultate resistenti a Xylella fastidiosa” e di specie vegetali arboree di interesse agrario quali vite, agrumi, albicocco, susino, pesco e percoco perché “risultate immuni a Xylella fastidiosa” a seguito “delle attività di ricerca del Consiglio nazionale per le ricerche, Cnr” validate dal Comitato fitosanitario nazionale.
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Qui il documento
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La Favolosa è una cultivar brevettata ormai da trent’anni dal Cnr che sembra promettere faville: viene presentata come resistente a Xylella, con fruttificazione in poco tempo, può essere utilizzata in impianti ad alta densità, consente una raccolta semplice, meccanizzata e veloce. L’esclusiva ad oggi è stata ceduta a tre vivai che hanno facoltà di moltiplicare e vendere le piante di FS-17 dando però una royalty del 10% al Cnr.
Tutto risolto quindi? Pare di no. Basta scorrere una paginetta dello stesso documento per leggere, infatti, la richiesta di rettifica relativa alle varietà di ulivo Leccino e FS17 per precisare che “non si hanno ancora a disposizione dati riferiti al lungo periodo sia in tenuta della resistenza nel tempo e sia in termini di produttività”. Come a dire: oggi piantatele ma sappiate che non vi sono prove – e tantomeno non vi sono pubblicazioni scientifiche – che ne attestino la resistenza a Xylella. Resistenza, si noti bene, che non comporta la scomparsa del batterio, in quanto presente ormai in molte altre specie ospiti, comprese quelle tolleranti. Dettagli non di poco conto se si pensa che tanti olivicoltori stanno affidando il loro futuro proprio a questi alberi e che tanti milioni in arrivo dall’Unione Europea verranno dedicati al loro reimpianto.
Del resto c’è chi ha già cominciato. A gennaio 2018 erano già state acquistate 200.000 e proprio in queste settimane nel comune di Casarano sono stati piantati 3 mila ulivi su circa 4 ettari. Per vederne i risultati bisognerà aspettare almeno 2 anni. Ma basta spostarsi un po’ più a nord, nel barese, per scoprire che alcuni olivicoltori molte risposte sul futuro di questa cultivar le possono dare già oggi, avendo da tempo avuto modo di sperimentare e conoscere la Favolosa.

Siamo andati a Castellana Grotte dove Francesco Matroleo, agricoltore e olivicoltore di 4 generazione e oltre (come lui stesso ci tiene a sottolineare) con qualche migliaio di ulivi in gestione di cui almeno un migliaio di ulivi secolari, ci porta a visitare un campo di questa cultivar piantata ormai 10 anni or sono.

“Come tutti gli agricoltori sono molto curioso e quando mi viene proposta qualche nuova varietà non posso non provarla”. Ed eccola, signore e signori: la Favolosa.

“Questo è il famoso cacciabombardiere, come qualcuno qui lo chiama, la FS-17 – afferma Francesco sorridendo – ha circa 10 anni ed è una degli ultimi esemplari rimasti in zona. Ormai tutti quanti qui abbiamo eliminato queste piante perché si tratta di una varietà che non serve praticamente a niente”.
Non usa mezzi termini Matroleo, di fianco alla sua pianta di Favolosa alta poco più di 2 metri e mezzo, il tronco esile, la chioma piccola che non si espande “sono stati capitozzati in questo modo perché si tratta di una cultivar che cresce solamente in altezza, simile a un pino, e che quindi se non la si taglia ai primi venti invernali crolla. Quest’inverno a causa delle intemperie diversi sono caduti, si son proprio sdraiati sul terreno”.
La poca stabilità non pare essere l’unica criticità: “Il problema principale della Favolosa è che richiede troppa acqua rispetto alle nostre varietà autoctone e nel nostro territorio l’acqua non solo scarseggia ma è risorsa preziosa e costosa. L’acqua da noi 1€ al metro cubo solo di corrente…”. Non poco. E la questione economica non riguarda solo l’acqua: “Anche le concimazioni e i trattamenti richiesti sono altissimi rispetto a quelle che sono le nostre possibilità. Non ce la facciamo da un punto di vista economico a portarle avanti”. A differenza delle varietà locali “molto più più gestibili economicamente e anche più remunerative”.

In che senso? Nel senso che la tanto acclamata FS-17 produce decisamente poco. “Siamo sui 15-20 Kg all’anno a esagerare. Praticamente non hanno prodotto niente. Dopo 10 anni ci si aspetterebbe una produzione di almeno 40-50 kg ad albero l’anno, invece quest’anno zero”. Proprio così, quest’anno le piante di Favolosa non faranno olive: “Si tratta di ulivi molto sensibili al freddo, se andate a guardare ci sono molti tronchi spaccati e tanti rametti spezzati… Malgrado il freddo le nostre un po’ di olive le hanno portate, questa invece ha un’oliva neanche a pagarla” ammette scoraggiato.

Nello stesso campo convivono diverse specie e ad occhio la differenza è più che mai lampante, non solo nelle dimensioni delle piante: “Le piante di Favolosa hanno subito diversi attacchi di funghi che le altre ad oggi non hanno, e addirittura di virosi che io francamente sull’ulivo non avevo mai visto”. Insomma, sebbene si tratti di ulivi trattati tutti alla stessa maniera, i risultati sono più che mai differenti: “Questa varietà oggi ha tutti i problemi che un ulivo possa avere mentre le nostre non hanno niente. Quindi che sia più resistente ho dei dubbi. Io la vedo molto più suscettibile rispetto alle nostre varietà. Suscettibile alla siccità, che noi qui abbiamo eccome, suscettibile agli attacchi, suscettibile al freddo che a causa dei venti dai Balcani qui può essere anche molto intenso – spiega Francesco – Insomma, rispetto alle nostre, a me pare sia molto meno resistente”.
Anche per quanto riguarda la resistenza a Xylella Mastroleo esprime perplessità: “Questo discorso è molto divertente – esordisce – Quando ho partecipato al convegno organizzato dalla Regione Puglia il 13 giugno a Lecce tutto sommato si enfatizzava sulla resistenza di queste varietà al batterio, ma già il 15 giugno a Cisternino, in un convegno organizzato dall’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (Aifo), il prof. La Notte (dell’Istituto di Virologia Vegetale CNR, ndr) sul termine resistenza ha tentennato parecchio”. Insomma negli ultimi tempi la parola resistente non va più tanto di moda, come si legge anche nei documenti ufficiali.
“Dopo tanti anni che faccio l’agricoltore ho imparato che le parole dei tecnici dalla Regione non vanno prese come oro colato – confessa Francesco – troppo spesso dicono delle cose che poi non corrispondono alla realtà dei fatti. Ovviamente sarà il tempo a stabilire se e quanto questi ulivi siano resistenti o si comportino meglio, ma io oggi ho dei grossi dubbi in merito”.
Di una cosa Mastroleo però è certo: “L’olio prodotto da queste olive non mi piace. Sono abituato alla Cima di Mola e alle nostre varietà autoctone, a drupa piccola, che in bocca sprigionano una serie di sapori e di profumi tipici del nostro olio, della nostra terra. L’olio di Favolosa, invece, sa di vasellina”. Il che è tutto dire…
Sebbene sui gusti non si possa comunque dissentire, se questo è il futuro dell’olivicoltura pugliese, una domanda forse conviene farsela. Anche perché, mentre le ruspe sono in azione e i primi oliveti intensivi stanno già conquistando il Salento, diverse sperimentazioni scientifiche sul campo finanziate dalla Regione Puglia hanno dimostrato che non solo gli ulivi disseccati posso tornare a vegetare e a essere produttivi a prescindere dal batterio, ma lo possono fare anche nel giro di pochissimo tempo: neanche 2 anni. Giusto il tempo di verificare quanto sarà Favoloso il futuro di questa terra.
Ecco com’è invece l’ulivo locale…

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