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Come aprire (e mantenere aperto) un negozio bio

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Un’approfondita conoscenza dei prodotti, la ragione sociale azzeccata, le giuste dimensioni, le relazioni con i produttori e il contenimento dei costi di gestione: ecco alcuni degli elementi essenziali per aprire un negozio bio. Vi spieghiamo come si fa a partire e…a restare aperti.
In pieno boom del biologico e di una nuova sensibilità nei confronti del cibo e della sua provenienza e salubrità, sono sempre più numerosi coloro che  rivolgono l’attenzione verso questo settore cercando di costruire all’interno di esso la propria professione. E non sono soltanto i produttori ad aumentare, ma anche i negozi, che stanno costituendo ormai una rete capillare e diffusa che copre pressoché tutto il territorio nazionale, benché non ancora in maniera uniforme. L’aspirazione maggiore a dedicarsi al commercio dei prodotti biologici si ritrova nei giovani, spesso mossi da una sensibilità già matura verso ciò che costituisce scelte sostenibili anche in fatto di alimentazione, oltre che di agricoltura. Ma poi alla passione, all’idea e alla determinazione occorre affiancare la conoscenza pratica dei passi da compiere per buttarsi in questa affascinante avventura.
Le condizioni di partenza
Spesso chi coltiva l’aspirazione di aprire un negozio di prodotti biologici è spaventato dal pensiero degli investimenti iniziali. In realtà non necessariamente rappresentano un ostacolo insuperabile, basta utilizzare un po’ di accortezza.
In genere, si può dire che ci sono alcuni elementi di base da valutare e alcuni requisiti da possedere. Occorre innanzi tutto una approfondita conoscenza dei prodotti e del settore; bisogna capire quale forma ci si vuole dare, quindi scegliere una tipologia giuridica e una ragione sociale; occorre valutare bene le dimensioni almeno iniziali; è estremamente utile la creatività; preziose le relazioni che si riescono a costruire con i produttori e le aziende se si trattano prodotti a chilometro zero o che consentono un contatto diretto con chi li produce; è bene cercare di contenere i costi di gestione, magari evitando di delegare tutto a un professionista esterno.
Quali sono, dunque, i primi passi concreti? Un’idea la fornisce Nicolas Raffieri della Cooperativa sociale Urbana di Milano(1), che offre servizi contabili, fiscali e amministrativi. «Le regole per l’apertura di un punto vendita dipendono dalla tipologia di prodotti commercializzati e sono in tutto simili a quelle dei punti vendita convenzionali; quando invece il negozio non solo commercializza ma produce, trasforma prodotti o anche semplicemente commercia prodotti alimentari sfusi o pre-incartati, c’è una certificazione bio da richiedere all’inizio dell’attività, valida un anno(2). Questo, naturalmente, si aggiunge agli specifici requisiti ed autorizzazioni necessari per la distribuzione alimentare».
La burocrazia
Raffieri fornisce poi qualche esempio. «Iniziando dal caso più semplice, vediamo di definire un iter burocratico per chi volesse aprire un’attività ex novo. Innanzi tutto va definita la tipologia di organizzazione. Stiamo parlando di attività commerciali, quindi imprenditoriali per definizione. In sostanza, serve una partita Iva. Queste attività possono essere esercitate attraverso ditte individuali, società di persone (snc o sas) o società di capitali (srl, spa o cooperative), ma anche attraverso altre forme, persino tramite associazioni con o senza personalità giuridica. Una volta selezionata la tipologia giuridica e costituita l’organizzazione, l’apertura della partita Iva avviene attraverso la cosiddetta “comunicazione unica”(2), mediante la quale si apre una posizione al Rea e presso Registro Imprese, Inps e Inail. Parallelamente è necessario presentare al Comune la segnalazione di inizio dell’attività che avviene tramite lo Sportello Unico delle Attività Produttive(3), il Suap, competente per territorio. I siti web dei Suap contengono abitualmente la modulistica ed elencano i requisiti richiesti per l’apertura delle attività. Gli sportelli stessi forniscono agli aspiranti imprenditori le informazioni necessarie. In particolare è opportuno verificare se risultino necessarie particolari certificazioni dell’Asl per i requisiti igienici del locale. Per la distribuzione di prodotti alimentari il titolare dovrà inoltre seguire un corso Hccp in igiene alimentare».
Abbattere i costi
Spesso i costi amministrativi di un’azienda non sono trascurabili e, alla lunga, possono pesare non poco. «Il consiglio che posso dare è di dedicare tempo all’attività evitando di delegare tutto ad un professionista esterno, che, per quanto attento, non potrà mai conoscere ed intervenire tempestivamente su qualsiasi esigenza gestionale o su costi di modesta entità», aggiunge Raffieri. «C’è una grande antipatia per tutto ciò che è burocratico e spesso si tendono a identificare come perdita di tempo gli adempimenti che invece possono aiutarci a controllare la gestione dell’attività. Mantenere un attento controllo dei costi, in primis da parte di chi gestisce l’azienda, utilizzando strumenti di rilevazione dei dati consente di prevenire molti problemi, come quelli di natura finanziaria, e di evitare gli sprechi, anche quelli derivanti ad esempio da sanzioni amministrative. I consulenti, in genere, non sono globali. Si limitano ad intervenire sulle tematiche oggetto del loro contratto». Anche il fatto di dedicare una particolare attenzione all’impatto ambientale del negozio può aiutare a contenere i costi, oltre che costituire un approccio etico all’attività stessa. Quindi attenzione alle tipologie e alla quantità degli imballaggi, alla possibile riduzione dei trasporti e alle filiere corte».
La forma associativa
Come detto, anche un’associazione può gestire qualunque tipo di attività che non sia riservata dalla legge ad altre forme giuridiche specifiche. È possibile quindi che gestisca anche un negozio bio. «Prima di scegliere questa formula, però, ci sono alcuni elementi da valutare con attenzione» spiega Raffieri, che nella sua attività professionale si occupa proprio di enti nonprofit. «Anzitutto l’associazione è una forma giuridica collegiale, deve esistere un gruppo. Se volete gestire il negozio da soli o con un vostro familiare, meglio aprire una ditta individuale. Un’associazione è poi, normalmente, un soggetto senza scopo di lucro. Se pensate di fare margini di profitto da tenere per voi forse non è questa la scelta migliore. Il limite purtroppo è che la normativa italiana sulle associazioni è estremamente confusa e frastagliata, ne esistono di tante tipologie differenti». Ecco quelle più significative, con le loro possibilità e i loro limiti.
. «Questa distinzione è definita dal codice civile» spiega ancora Raffieri. «Gli enti senza personalità giuridica non godono di autonomia patrimoniale, ciò significa che per i debiti contratti dall’associazione risponde direttamente con il proprio patrimonio il legale rappresentante e chi agisce in nome e per conto dell’ente. Per costituire un’associazione riconosciuta è obbligatorio l’atto notarile, l’iscrizione ad un registro regionale o prefettizio e un patrimonio minimo che abitualmente supera i 50.000 euro».
. «Non esiste la possibilità di qualificarsi direttamente come impresa sociale per il solo fatto di vendere esclusivamente prodotti biologici, sebbene fra i settori di operatività rientri la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Peraltro ad oggi questa qualifica non fornisce sostanziali agevolazioni. Possono però utilizzarla coloro che inseriscono al lavoro soggetti svantaggiati, benchè in quest’ultimo caso la cooperativa sociale di tipo b, cioè quella che ha per finalità di statuto l’inserimento di persone con handicap, costituisca ancora la forma più interessante dal punto di vista fiscale».
. «Mi è capitato di incontrare negozi bio o di commercio equo costituiti in questa forma. Le organizzazioni di volontariato iscritte nei registri delle onlus hanno moltissime agevolazioni fiscali e contabili, ma non possono svolgere attività di commercio al pubblico attraverso un negozio in sede fissa».
«È questo il caso di chi svolge attività nei confronti di soli soci, per esempio attraverso un piccolo circolo, o prevalentemente a favore di soci. Occorre però fare attenzione. Innanzi tutto la semplice vendita di prodotti di terzi ai quali viene applicato un ricarico necessita di partita Iva comunque. I Gas, i gruppi d’acquisto solidale, possono operare senza perché non applicano ricarico. L’associazione deve avere un prevalente scopo di promozione sociale o culturale, che non può essere la commercializzazione di prodotti. Potrà essere ad esempio l’informazione e la sensibilizzazione del consumatore su temi quali la sana alimentazione o l’impatto ambientale delle coltivazioni intensive o di ogm. Ma questo fine culturale deve essere predominante rispetto alla vendita e si deve vedere anche nei dati economici; la vendita deve cioè essere attività commerciale non prevalente(4). Mi capita spesso di incontrare persone che desiderano operare nel mercato del biologico anche come scelta sociale e quindi pensano immediatamente al Terzo Settore. Da un punto di vista pratico, poter usufruire dei vantaggi che ne derivano, fiscali o di immagine, può diventare un appesantimento amministrativo ulteriore, perché la finalità sociale obbliga ad una maggiore trasparenza. Può però dare molte soddisfazioni. Le associazioni di promozione sociale, ad esempio, sono strumenti ideali per la creazione di una comunità reale o per il coinvolgimento del territorio attraverso iniziative ricreative, culturali o di sensibilizzazione che possono anche assumere il carattere di campagna per la raccolta pubblica di fondi».
Per chi ha già un negozio
E per chi ha già aperto un negozio? Oggi, si sa, benché il biologico continui a registrare un aumento di attenzione e consumi, la crisi pesa parecchio e ci sono realtà, a volte piccole e a volte anche grandi, che faticano. Ma le difficoltà possono essere anche altre. «Il settore è in crescita ma nello stesso tempo crescono anche gli operatori che vi si dedicano, quindi, in termini relativi, il potenziale fatturato non aumenta nello stesso modo» aggiunge ancora Raffieri. «Inoltre stanno intervenendo sempre più anche grandi catene di distribuzione e questo incide di sicuro, senza contare che anche qui, come in tanti altri settori, c’è chi vi si dedica seguendo un sogno ma senza adeguate esperienza e conoscenza. Possono poi avere pesato la scelta di un non opportuno inquadramento giuridico-fiscale dell’attività e la scelta di collaborare con altre persone che devono essere retribuite per il proprio lavoro».
L’esperienza di “Cassetta verde”
Michele Fantini e la moglie, Maria Monteleone Dumas, hanno aperto nell’aprile scorso il negozio “Cassetta verde” a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia. Non enorme, ma curatissimo nella scelta dei fornitori, l’attività, grazie alla passione e alla competenza dei titolari, sta cercando di proporre uno “stile” alimentare sostenibile oltre che semplicemente prodotti biologici. Le difficoltà ci sono, ma Michele e Maria si stanno facendo in quattro per superarle. «Stiamo cercando un assestamento, dopo una partenza più che brillante e un’estate invece faticosa» spiega Michele. Un aiuto nella partenza lo ha dato senza dubbio il fatto che avevamo fin da subito le idee molto chiare sul tipo di negozio. «Veniamo dal mondo agricolo, dagli ambienti dei distretti dell’economia solidale e dei gruppi d’acquisto, quindi conosciamo molto bene il settore e abbiamo stretto nel tempo ottime relazioni con le aziende agricole; le abbiamo tutte visitate prima di inserire i loro prodotti sui nostri scaffali. La risposta iniziale è stata molto buona, in due mesi abbiamo raggiunto gli obiettivi mensili di fatturato che ci eravamo prefissati a regime. Poi nel periodo estivo c’è stato un calo, ma è abbastanza fisiologico, poiché è proprio quello il momento in cui tantissime persone che coltivano qualcosa vicino a casa o nell’orto raccolgono e consumano ciò che hanno autoprodotto. Ora stiamo cercando la ripresa, pur essendo consapevoli della crisi economica che, benchè magari meno rispetto ai prodotti convenzionali, però porta anche chi consuma biologico a contrarre la spesa». Quel che è certo è che Michele e Maria possono contare su tanta creatività e determinazione. «Per esempio abbiamo scelto di puntare su formule di risparmio, tipo quelle dei Gas. Chi prenota la spesa da noi ha uno sconto che va dal 10 al 20%, anche perché così noi ordiniamo ad hoc e non teniamo prodotti sugli scaffali con il rischio dell’invenduto. Poi consegnamo gratuitamente la spesa nel nostro Comune e in quelli limitrofi». Geniale infine la scelta di minimizzare gli investimenti iniziali utilizzando per arredare il negozio mobilio e attrezzature dismesse da aziende e regalate: «Abbiamo speso poco e questo non certo a discapito del senso di accoglienza del negozio, basta lasciar lavorare la fantasia e avere tanta volontà».
Marta e Anna di AmorBio
Marta Gherardini e Anna Bianchi hanno conosciuto un trend sempre crescente nel loro giro d’affari e, oltre ad una superficie di negozio di 150 metri quadrati e un assortimento di 5.000 prodotti, propongono anche consulenza nutrizionale e corsi di cucina naturale. Hanno aperto “AmorBio” a Pontedera nel 2008 e sono soddisfatte, anche se, ammettono, «le difficoltà non mancano, benchè superabili con impegno e volontà». «La difficoltà è data anche dalla natura stessa dei prodotti, che sono deperibili e spesso hanno scadenze ravvicinate non contenendo conservanti» spiega Marta. «Poi occorre tenere sempre d’occhio i distributori, in modo che anche l’organizzazione delle consegne sia efficiente, e prestare attenzione a livello gestionale a tutte le incombenze burocratiche. Quello che fa la differenza? Senza dubbio il fatto di conoscere molto bene il settore e i prodotti, perché solo così si possono dare risposte puntuali e rigorose alle richieste della clientela. Per chi ha dipendenti, è utile formare adeguatamente il personale in questa direzione. Abbiamo poi deciso di abbinare alla vendita anche servizi che ci permettono di valorizzare le nostre competenze, quindi proponiamo consulenze nutrizionali e corsi di cucina naturale. Insomma, l’obiettivo è quello di creare una sorta di sodalizio fra persone che condividono un modo di vivere e una prospettiva, quella della sostenibilità».
L’Albero del Pane
Un negozio storico di Roma è l’Albero del Pane, cento metri quadrati con alimentari e una forte connotazione per i cosmetici e i prodotti erboristici. «Il vero problema oggi? È la concorrenza della grande distribuzione organizzata che si sta fagocitando anche questo mercato con scarsa attenzione alla qualità e all’etica» spiega Flora Lamberti. «Perché, non dimentichiamolo, il significato dei prodotti biologici non sta soltanto nel non avere residui chimici, ma anche nell’essere prodotti in maniera sostenibili, in quantità e con dimensioni sostenibili e distribuiti con modalità che si ispirino a questo principio».
Il monito, dunque, è chiaro. Non facciamo del biologico un nuovo genere di consumo “global”, ma rendiamo semmai più “local” anche tutto ciò che ruota intorno al biologico. Insomma…buona decrescita biologica a tutti!  
1Urbana cooperativa sociale di solidarietà si trova a Milano. Info 02/48370137, www.urbanacoop.it
4Questo tipo di associazione deve attenersi ai requisiti statutari di cui all’articolo 148 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi [Tuir] e trasmettere all’Agenzia delle entrate il modello Eas
La legge dell’Emilia Romagna
Riconoscere l’economia solidale «come strumento per affrontare la crisi economica, ambientale e occupazionale»; definire le misure di sostegno «per valorizzare, promuovere e sostenere lo sviluppo dell’economia solidale», a partire dall’applicazione dei «sistemi locali di garanzia partecipata» e dalla creazione di «centri per l’economia solidale»; istituire inoltre una delega o un assessorato per il settore. Sono gli obiettivi della legge sull’economia solidale approvata dall’assemblea legislativa dell’Emilia Romagna nel luglio scorso. Nelle intenzioni c’è anche l’organizzazione di un Forum regionale per l’economia solidale, la creazione di un Tavolo regionale e l’attivazione di un osservatorio con un portale web dedicato. A favore si sono espressi i gruppi di maggioranza, i 5 Stelle e il Gruppo Misto. Contrari Fi-Pdl e Lega Nord; astenuta l’Idv. Con la legge viene anche introdotta la Banca del tempo: uno sportello, fisico e virtuale, che consente, gratuitamente, di sviluppare una rete sociale tra le persone per attivare scambi non economici bensì relativi al tempo messo a disposizione per attività di sostegno.

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