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Contaminanti nella catena alimentare veneta

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I risultati del monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nella catena alimentare veneta confermano il sospetto dei medici dell’ISDE di qualche tempo fa: anche gli alimenti di consumo quotidiano, oltre all’acqua potabile, sono contaminati.
I risultati del monitoraggio delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) nella catena alimentare veneta confermano il sospetto dei medici dell’ISDE di qualche tempo fa: anche gli alimenti di consumo quotidiano, oltre all’acqua potabile, sono contaminati. Il 10% circa di campioni di pesci e insalata prelevati nell’ambito del monitoraggio dei PFAS nella catena alimentare veneta, come riportato dagli organi di stampa, ma non nel comunicato dell’Assessore alla Sanità della Regione Veneto, risulterebbero pesantemente contaminate da PFAS. Soprattutto da PFOS (acido perfluoroottansulfonico), bandito dal commercio nei primi anni 2002 a causa della sua pericolosità. La sua persistenza a distanza di tanto tempo significa che ormai le falde, i suoli e la catena alimentare sono state contaminate in modo forse irreversibile. Come diceva Lorenzo Tomatis, uno dei padri nobili dell’ISDE e direttore dello IARC di Lione, l’agenzia dell’OMS che si occupa, tra l’altro, di definire la cancerogenicità delle sostanze chimiche “le generazioni future non ci perdoneranno il danno che gli stiamo facendo”.
«Se è vero che in alcuni pesci sono stati trovati 57 microgrammi per kg di PFOS,che equivalgono a 57.000 (cinquantasettemila ng/kg)  un semplice calcolo conferma che la realtà supera spesso la fantasia  e la teoria” spiega Vincenzo Cordiano di ISDA sul suo blog.
«Infatti, nel caso specifico e non più teorico, si evince che lo sfortunato ipotetico bambino di 10 kg cui fanno spesso riferimento illustri ricercatori  e medici preposti alla tutela della salute pubblica nel vicentino, con solo una  una mezza porzione di quel pesce così abbondantemente intriso di pfos e altri pfas,  quello sfortunato bambino, dicevo, supera e di molto la TDI  (Dose tollerabile quotidiana) stabilita dall’EFSA (l’agenzia europea per la sicurezza sugli alimenti). Facciamo due conti rapidi.  Se uno mangia un etto di quel pesce, ingolla 5700 ng di pfos che equivalgono a 190 litri di acqua con 30 ng/L (che è Il limite obiettivo del pfos  nell’acqua potabile stabilito dal ministero). Sempre secondo EFSA  la tdi (dose tollerabile quotidiana) sarebbe di 150 ng/kg di peso corporeo. Pertanto   un bambino di 10 kg non dovrebbe superare la dose massima quotidiana di 1500 ng (150 ng x 10 kg). Quindi quel povero bambino  trangugerebbe  circa 4 volte la dose max quotidiana semplicemente consumando un etto di pesce.  Senza considerare la quota aggiuntiva derivante dall’acqua contaminata né  quella che entra nel suo cornicione con l’aria respirata e con gli altri alimenti (merendine ecc. ecc). Non mi pare proprio che sia il caso di augurare buon appetito ai bambini che vivono nelle zone contaminate.
Pare che il pesce incriminato sia stato pescato vicino a Creazzo (VI) nelle cui falde, stando ai dati ARPAV si sono documentati valori di PFOS fino a 580 ng/L alti sì, ma non tanto rispetto a zone viciniori. Per esempio a Montecchio Maggiore (VI) sono segnalati valori fino a 1435 ng/L;  a Montagnana (PD) valori fino a 2891 ng/L; a Soave (VR) con valori fino a 6821 ng/L per non parlare di  Trissino (VI)  fino a 68667 ng/L. Valori simili a quelli di Creazzo sono stati trovati in molti comuni del Veneto a ulteriore dimostrazione che la contaminazione da PFAS è globale»..

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