Fermentazione selvatica
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di Michela Trevisan
Terra Nuova Edizioni
pp. 144 – € 10.00
(prezzo per gli abbonati € 9.00)
Dagli inizi della civiltà l’uomo si è nutrito di cibi fermentati: pane, caffè, cioccolato, tempeh, miso, vino, yogurt, kefir, kimchi, aceto, crauti sono quelli a noi più familiari. Ma molti non sanno che esistono numerose altre opportunità per creare e gustare quello che potremmo definire «cibo vivo». Sandor Ellix Katz è un esperto di cibi fermentati e autore di due libri pubblicati in America: Wild fermentation che parla delle tecniche di fermentazione e contiene numerose ricette provenienti da tutto il mondo e The revolution will not be microwaved dedicato al movimento per il cibo locale e biologico.
Sandor è originario di New York e vive fra le colline e i boschi del Tennessee. Profondamente interessato alle tradizioni della cucina italiana, è stato recentemente nel nostro paese per tenere due seminari sul «cibo vivo». Ho avuto modo di sperimentare concretamente le conoscenze di Sandor quando è venuto a trovarmi a Pratale, in Umbria: appena arrivato si è precipitato nell’orto e già la sera stessa due grossi barattoli di verdure fermentate troneggiavano sul tavolo da pranzo. Abbiamo portato uno di questi barattoli in treno fino al podere di Giuseppe Moretti della Rete bioregionale italiana, nelle campagne di Mantova, dove è stata registrata questa intervista attorno ad una tavolata bandita con squisiti piatti di verdure fermentate!
D: Puoi spiegare meglio in cosa consiste la «fermentazione selvatica» di cui sei grande assertore?
R: La fermentazione selvatica degli alimenti è una fermentazione spontanea ottenuta dai microrganismi presenti in natura e non da ceppi selezionati e utilizzati in condizioni di temperatura controllata, come avviene per esempio nel caso della produzione di yogurt, per il quale si utilizzano il Lactobacillus acidophilus e il Lactobacillus bulgaricus. Un esempio di fermentazione selvatica è la vinificazione con il metodo tradizionale, dove il mosto fermenta grazie ai microrganismi naturali presenti sull’uva. D’altra parte, la fermentazione non è altro che una metafora di come noi oggi accettiamo il mondo selvatico. Da una parte viviamo in continuo contatto con i microrganismi e ogni funzione fisiologica del corpo dipende dall’iterazione con essi e dall’altra, l’igienismo fine a se stesso ha dichiarato una vera e propria guerra ai microrganismi: nelle case si utilizzano detergenti sempre più aggressivi, i medici prescrivono sempre più antibiotici, persino nell’acqua si aggiungono sostanze antibatteriche; insomma c’è un’igiene esasperata, con il risultato di eliminare i microrganismi utili e di selezionare ceppi resistenti, difficilissimi da controllare. Il buon senso vorrebbe invece che si individuasse una strategia di «coesistenza», sia perché è impossibile debellare completamente e in modo permanente i microrganismi, sia perché abbiamo bisogno di essi per tenerci in vita. La maggior parte dei microrganismi presenti nell’ambiente sono utili perché ci proteggono da quei pochi patogeni che rappresentano una reale minaccia per la nostra salute. È per questo che insisto a dire che abbiamo bisogno di consumare cibi vivi. Oggi, la tecnologia permette di conservare gli alimenti per lungo tempo, e in certi casi questo può essere anche molto utile, ma come dimostra la diffusione di numerose patologie legate a carenze alimentari, i nostri fabbisogni alimentari non vengono soddisfatti se mangiamo prevalentemente «cibi morti», anche se igienicamente perfetti. Il valore dei cibi fermentati è invece proprio nel conservare, e in molti casi incrementare il valore nutrizionale degli alimenti e arricchire la nostra flora microbica utile.
D: In Italia, come nel resto dell’Unione Europea, le leggi sull’igiene sono concepite per le grandi aziende agroindustriali e penalizzano i piccoli produttori. Nel tuo libro The revolution will not be microwaved parli del movimento per il cibo locale, molto diffuso negli Stati Uniti. Pensi davvero che sia possibile contrastare l’attuale tendenza verso il cibo standardizzato e industriale?
R: Negli Stati Uniti c’è sempre più gente che rinuncia ai cibi standardizzati delle grandi catene e so che anche in Italia sono sempre più numerose le persone che si rivolgono ai negozi di prodotti biologici o direttamente ai produttori locali. La cosa importante è che sempre più persone rifiutano di essere considerate esclusivamente consumatori passivi di quello che viene offerto loro dal mercato e cominciano ad apprezzare l’idea di coltivare un po’ di basilico e di prezzemolo sulla terrazza o farsi la passata, le marmellate e scambiare questi prodotti con altre persone che fanno cose analoghe. Certo, nessuno pensa che si debba arrivare all’autosufficienza alimentare, ma è in questo modo che si sostengono i produttori e i cibi locali.
D: Quindi, più che di una tecnica si tratta di un modo diverso di porsi nei confronti del cibo?
R: Parlo di entrambe le cose, perché per preparare una salamoia per le olive, fare dei crauti o il vino è necessario imparare delle tecniche. Nello stesso tempo, credo che il movimento per il cibo locale nei prossimi anni crescerà sempre di più perché andiamo incontro ad una crisi devastante della salute umana dovuta al cibo industriale che oltre ad essere sottoposto a processi tecnologici particolarmente distruttivi in molti casi compie migliaia di chilometri prima di giungere sulle nostre tavole, con costi energetici e ambientali oggi non più sostenibili.
D: In che modo pensi sia possibile passare dall’attuale globalizzazione alimentare a un consumo più legato al cibo locale?
R: Da questo punto di vista, spesso le situazioni più critiche presentano maggiori possibilità di cambiamento. Mi viene in mente Detroit, la cui popolazione negli ultimi vent’anni si è notevolmente impoverita per via della chiusura di molte fabbriche automobilistiche. Improvvisamente si sono rese libere ampie estensioni di terreno e via via gli abitanti hanno cominciato a ricavarne degli orti e realizzare piccoli ricoveri per allevare animali. È un fenomeno in crescita e oggi in pieno centro di Detroit c’è gente che munge capre e coltiva cavolfiori! A Cuba è successo qualcosa di simile. Fino all’89, l’agricoltura era basata essenzialmente sulla produzione estensiva della canna da zucchero, con largo impiego di trattori e sostanze chimiche. Quando con il crollo dell’Unione Sovietica sono venute a mancare le materie prime, dopo due anni di grande crisi economica, i cubani hanno modificato completamente sistema: sono tornati all’agricoltura biologica su piccola scala, realizzando orti anche nelle città. In poco tempo è stato scacciato lo spauracchio della denutrizione e oggi vi è una grande produzione di verdure e uno stile di vita più sano.
Le straordinarie proprietà dei cibi fermentati
– Prevenzione dei tumori. Solo negli ultimi anni si sta iniziando a scoprire che alcune sostanze che risultano dalla fermentazione hanno effetti benefici sul corpo umano. Ricercatori finlandesi hanno identificato dei componenti anticancerogeni nei crauti, gli isotiocianati, sostanze che risultano assenti nel cavolo crudo, dal momento che si tratta di un sottoprodotto del ciclo vitale dei batteri nel processo di fermentazione.
– Difesa dalla radioattività. Dopo il bombardamento di Nagasaki, in Giappone, alcuni operai in una clinica notarono che non soffrivano gli effetti delle radiazioni come la maggior parte delle persone. La loro ipotesi fu che ciò dipendeva dal grande uso di miso, alimento ottenuto dalla fermentazione della soia. Più recentemente, la ricerca ha confermato che l’acido dipicolinico del miso è capace di legarsi alle particelle radioattive presenti nell’organismo e di espellerle. Anche in questo caso, la sostanza in questione non esiste nella soia cruda ma viene prodotta durante la fermentazione.
– Benefici nutrizionali. Sono i batteri vivi a rappresentare il più grande beneficio nutrizionale, perché sono lo stesso tipo di batteri di cui abbiamo bisogno nell’intestino per poter digerire bene il nostro cibo. Tutti sanno che se si assumono degli antibiotici, è essenziale mangiare dello yogurt per ricostituire la flora batterica. Molti però ignorano che i batteri svolgono un ruolo importantissimo anche per il nostro sistema immunitario: se dentro e fuori dal nostro corpo abbiamo una comunità sana di batteri, questa è la nostra prima linea di difesa immunitaria.
Articolo tratto dal numero arretrato di Terra Nuova Giugno 2007 disponibile anche come eBook.