Nuovo campanello d’allarme per la carne rossa: dopo lo Iarc, anche il British Medical Journal stigmatizza un consumo eccessivo.
Secondo uno studio statunitense pubblicato sul «
British Medical Journal» , consumi eccessivi di
carne rossa risulterebbero collegati a un tasso di mortalità complessivamente più elevato, le cui cause andrebbero ricercate innanzitutto in nove condizioni: tumori, malattie cardiache e respiratorie, ictus, diabete, infezioni, demenza di Alzheimer, patologie renali ed epatiche croniche.
Lo studio in copertina sul «British Medical Journal»
L’ultima prova che pone in relazione l’eccessivo consumo di carni rosse e trasformate con l’aumento della mortalità giunge dal National Cancer Institute di Bethesda. Gli epidemiologi – al cui lavoro il «British Medical Journal» ha dedicato la copertina dell’ultimo numero, riportata accanto – hanno passato in rassegna i dati già raccolti per una precedente indagine di popolazione, condotta osservando oltre cinquecentotrentamila adulti statunitensi (50-71 anni). Basandosi sui questionari alimentari da loro compilati, hanno stimato i consumi di carni rosse, bianche e trasformate: oltre che di singoli micronutrienti (ferro) e additivi (nitriti e nitrati). La proporzione, una volta messi in grafico i dati raccolti, è parsa evidente: al crescere dei consumi di carne rossa, aumentava il numero dei decessi. Una relazione lineare che il gruppo di scienziati statunitensi ha osservato suddividendo il campione di persone osservate in cinque fasce: a seconda del quantitativo di carne consumata settimanalmente.
Perché troppa carne rossa fa male?
Rischio ridotto consumando carni bianche e pesce
Con tutti i limiti che si possono riconoscere alle indagini epidemiologiche, e considerando che
i consumi negli Stati Uniti non sono paragonabili a quelli nostrani, il lavoro rappresenta «un’altra scomoda verità per la carne rossa», parafrasando
il titolo dell’editoriale con cui la rivista ha voluto accompagnare la notizia. L’autrice, Fiona Godlee, non ha mancato di far notare come i tassi di mortalità siano risultati inferiori tra i consumatori abituali di carni bianche (pollo, tacchino, coniglio, maiale, capretto) e pesce. Un’evoluzione che, a detta della giornalista, ha radici antropologiche. «I nostri avi mangiavano la carne al massimo una volta alla settimana, giungendo così a consumarne non più di dieci chili all’anno. Le diete moderne propongono invece consumi dieci volte superiori e le proteine animali sono arrivate a garantirci un quinto del fabbisogno energetico».
Ripercussioni anche per l’ambiente
L’aumento dei tassi di mortalità non è visto come l’unico parametro da misurare, visto che «elevati consumi di carne accelerano la maturazione sessuale e accentuano la resistenza agli antibiotici». A ciò occorre aggiungere le
ripercussioni sul pianeta. Come reagire di fronte a un simile scenario? La riduzione dei consumi di carni rosse e trasformate è un passaggio che, per chi non l’ha già fatto suo, appare ormai inevitabile. «Servirebbe ripetere quanto fatto con il fumo di sigaretta», si legge nell’editoriale. Un buon auspicio, che nonostante la parzialità dei risultati raggiunti necessita comunque di una precisazione. Una bistecca non è né sarà mai la trasposizione di una sigaretta a tavola.
Fonte: La Stampa