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Il diabete si vince a tavola

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I numeri preoccupano: fino a 5 milioni di persone in Italia con diabete, malattia che, se trascurata, può diventare invalidante. Ma si può fare molto per prevenire e curare, partendo dal cibo che scegliamo di mangiare. 
I casi noti di diabete in Italia sono più che raddoppiati negli ultimi trent’anni, passando da 1,5 milioni nel 1985 a quasi 4 milioni oggi, ai quali vanno aggiunti i casi stimati, circa un milione, ancora senza diagnosi. Si arriva dunque a 5 milioni di persone che nel nostro paese sono affette da questa patologia, cioè un residente ogni 12. Numeri senz’altro preoccupanti, che dipingono quella che a buona ragione si può definire ormai una emergenza di salute pubblica. A fornire i dati aggiornati è il rapporto Il diabete in Italia(1) della Società Italiana di Diabetologia. Il 90% dei casi è rappresentato dal diabete cosiddetto di tipo 2, fortemente legato al sovrappeso, a sua volta riferibile a iperalimentazione e a scarsa attività fisica. Diverso è invece il diabete di tipo 1 (anch’esso in aumento seppure meno in termini assoluti), che è malattia autoimmune, non legata all’alimentazione, in cui il sistema immunitario del soggetto riconosce come estranee e dannose le cellule del pancreas che producono insulina e le attacca fino a distruggerle, portando a un deficit assoluto di questo ormone. Il diabete di tipo 2 si manifesta in media intorno ai 50-55 anni, mentre quello di tipo 1 nei bambini, negli adolescenti o nei giovani adulti. I dati epidemiologici italiani suggeriscono circa 250.000 nuove diagnosi di diabete di tipo 2 e circa 25.000 di tipo 1 ogni anno.

A differenza di quanto, quindi, ancora molti pensano, non si tratta affatto di una malattia da sottovalutare. Se trascurata e non affrontata con le giuste modalità, può portare ad una grave degenerazione dello stato di salute e può diventare concausa di metà degli infarti e degli ictus. I dati epidemiologici documentano che in Italia ogni 7 minuti una persona con diabete ha un attacco cardiaco, ogni 26 minuti una persona con diabete sviluppa un’insufficienza renale, ogni 30 minuti un diabetico ha un ictus, ogni 90 minuti una persona subisce un’amputazione a causa della malattia e ogni 3 ore una persona con diabete entra in dialisi.
Cosa fare dunque? Innanzi tutto, è bene adottare uno stile di vita che consenta di prevenire la malattia e, quando questa già è comparsa, farsi seguire dal medico di fiducia e modificare da subito le abitudini errate soprattutto alimentari. Infatti, il diabete si può vincere anche e soprattutto a tavola.
Fondamentale lo stile di vita
«Gli eccessi alimentari in individui geneticamente predisposti (molto spesso hanno uno o più genitori o parenti stretti con il diabete) sono in grado di alterare il normale equilibrio metabolico» spiega il professor Enzo Bonora docente di Endocrinologia all’università di Verona, direttore della Sezione di endocrinologia, diabetologia e metabolismo del Dipartimento di Medicina e già presidente della Società italiana di diabetologia.«Nel diabete di tipo 2 l’organismo è meno sensibile alla propria insulina e le cellule che la producono non sono in grado di compensare questo difetto. Mentre nel diabete di tipo 1 non si può far altro che rimpiazzare l’insulina che manca con iniezioni più volte al giorno per il resto della vita, in quello di tipo 2 il paziente può partecipare al buon controllo della malattia adottando uno stile di vita salutare. L’errore più comune di questi malati in età matura è la mancata adozione di un comportamento idoneo rispetto al cibo e all’attività fisica. Può non essere facile a farsi, ma di sicuro non è impossibile».
Dieta sana e movimento fisico
«C’è uno slogan che potrebbe essere usato per veicolare in maniera concisa il messaggio educativo: due forchettate in meno e tre passi in più» prosegue il professor Bonora. «Vale a dire: mangiare un po’ meno, senza bisogno di seguire diete di esclusione o punitive, ma riducendo le razioni di ciò che si mangia a pasto e fuori pasto, scegliere cibi sani e fare ogni giorno una passeggiata, anche solo di mezzora. Queste abitudini valgono come un farmaco, fanno parte della terapia, ne sono il fondamento. Con questi accorgimenti la malattia può essere controllata meglio e, nelle persone a rischio di diabete, può essere prevenuta. È però vero che spesso gli sforzi del singolo sono ostacolati dalla società moderna: la pressione pubblicitaria nei confronti del cibo è altissima, l’accesso al cibo è facilissimo, le abitudini di parenti e amici rendono difficile applicarsi con continuità ad uno stile di vita salutare, lo stress della società moderna genera la ricerca di ricompensa e il cibo è la ricompensa meno dispendiosa e sempre a portata di mano. Inoltre, l’urbanizzazione e la meccanizzazione hanno ridotto il consumo energetico legato all’attività fisica lavorativa. Infine, cominciano a comparire evidenze che in quello che mangiamo, che beviamo, che respiriamo sono presenti sostanze chimiche potenzialmente diabetogene. È una durissima battaglia del singolo contro la società in cui vive,  che lui stesso ha costruito e che probabilmente non vorrebbe neppure cambiare. Anche perché cambiare la società rendendola più sana dal punto di vista dell’alimentazione e del dispendio energetico confligge con troppi interessi. Esiste un evidente conflitto fra gli interessi del ministero della salute e del ministero dell’industria e di altri ministeri. La partita la devono vincere il singolo e la sua famiglia. La deve vincere soprattutto chi fa la spesa e chi cucina».
Il cibo come terapia
«Sono solito ripetere ai miei pazienti: se mantenessimo una corretta alimentazione, uno stile di vita sano, con una regolare attività fisica, e se riuscissimo a tenere a bada lo stress, il diabete non ci colpirebbe mai». A parlare è il dottor Florio Cocchi, genovese, medico di medicina generale, specialista in scienza dell’alimentazione e autore del libro “Non arrendersi al diabete” (Terra Nuova Edizioni). «Tra l’altro questa patologia ci offre spesso un importante campanello d’allarme che è la familiarità, ma è davvero difficile prenderne coscienza» aggiunge.
Cocchi punta il dito, senza deroghe, sullo zucchero: «In Italia il consumo di zucchero negli ultimi cento anni è almeno decuplicato. Le direttive internazionali parlano chiaro, ci dicono di limitare a un 10% la percentuale di zuccheri nella nostra dieta e l’Oms nel 2015 ha addirittura raccomandato di non andare oltre il 5%(2); malgrado ciò, nel nostro paese i Larn (Livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana) stabiliscono un massimo del 15% e indicano come potenzialmente dannosa per la salute una percentuale oltre il 25%(3).
Purtroppo non abbiamo fatto nostro il concetto di cibo come terapia e ciò vale anche per la classe medica; invece, riducendo il proprio grasso si riduce drasticamente il rischio cardiovascolare, l’ipercolesterolemia e il diabete. Il cibo è sempre visto come sinonimo di festa, un piacere dove è lecito abbandonare le regole; è la più semplice manifestazione d’affetto, anche se regalare dolci a un diabetico dovrebbe essere considerato un omicidio».
Cosa fare
Come è possibile dunque agire sull’alimentazione e sullo stile di vita per prevenire e far regredire il diabete? «Innanzi tutto occorre combattere le cattive informazioni che ci giungono sul cibo dai media e dalla pubblicità, messaggi spesso travestiti di una falsa scientificità» spiega il dottor Cocchi. «Poi dobbiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo e provare a guardarlo; non limitiamoci a cambiare la cintura quando non ha più buchi a sufficienza per contenere la nostra abbondanza».
«Il diabete non uccide rapidamente, si può reggere anche per tantissimo tempo una glicemia molto alta. Ma nel  frattempo avrà messo in crisi in nostro sistema cardiocircolatorio, avrà letteralmente glassato le nostre arterie, caramellato i nostri fasci nervosi e riempito di zucchero filato le nostre anse cerebrali. E tutto questo non per la fetta di panettone a Natale o per la fetta di torta al compleanno, ma per il continuo permissivismo che caratterizza il nostro comportamento alimentare. Tutti, dunque, devono iniziare a ridurre lo zucchero ed è inutile passare a quello di canna o al miele; poi bisogna scegliere farine integrali e quindi aumentare il consumo di fibre. L’attività fisica ci aiuta a reimpossessarci del nostro corpo».
«Quando diagnostico ai miei pazienti un’intolleranza glucidica o un diabete moderato, il primo passo consiste nel cambiare comportamento alimentare. La paura di una malattia invalidante come il diabete li rende rigorosi e ho visto spessissimo notevoli miglioramenti, a tal punto da non dover più ricorrere a farmaci. Purtroppo però, passata l’emergenza, tanti ritornano piano piano all’abitudine, alla brioche, alla focaccia e via così. Chi ha bambini o nipotini spesso fatica a non concedere loro le porcherie suggerite dalla pubblicità, magari per dimostrare loro affetto o per non farli sentire diversi dagli altri…Ebbene, il vero amore per se stessi e per i propri cari si traduce in alimenti sani e abitudini che allontanino le malattie, tra cui senza dubbio il diabete».

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