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Il kamut tra leggenda e verità

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Antenato del grano duro e privo di alterazioni genetiche dell’agricoltura moderna, il kamut contiene percentuali più elevate di proteine, lipidi, amminoacidi, vitamine e minerali, nonché caratteristiche di elevata digeribilità.
Si racconta che durante la seconda guerra mondiale un aviatore americano trovò in una tomba egizia dei semi conservati fin dai tempi dei faraoni. Li prelevò e li diede a un amico che li inviò in Montana al padre, agricoltore. Quest’ultimo li piantò e ottenne delle piante che presentò a una fiera locale, dopo averle battezzate «grano di Tutankhamon». La novità suscitò un po’ di fermento momentaneo ma poi i semi caddero nuovamente nell’oblio, fino al 1977, quando finirono provvidenzialmente nelle mani di un altro agricoltore del Montana, tale Quinn, il cui figlio Bob era agronomo e intuì il valore di quel grano. Padre e figlio trascorsero dieci anni a far riprodurre i semi e a cercare di capire di che tipo di frumento si trattasse. Infine dedussero che quel tipo di grano proveniva dalla Mezzaluna fertile, l’area dove circa 10.000 anni fa nacque l’agricoltura, trasformando l’uomo da nomade a stanziale. Battezzarono poi il grano kamut, termine egizio che significa «spirito della terra». Successivamente, i Quinn registrarono la varietà presso il ministero dell’agricoltura statunitense e brevettarono il nome: kamut.

Origini misteriose
La storiella è simpatica, ma tutte queste felici combinazioni e coincidenze casuali hanno un po’ il sapore della favola. Del resto, le opinioni sull’effettiva origine di questo frumento sono molto discordanti. Gli scienziati ritengono che potrebbe trattarsi di un’antica varietà di grano che i contadini di Egitto e Asia Minore continuano a coltivare insieme ad altre varietà locali. Hanno classificato il kamut come Triticum turgidum – quindi parente stretto del grano duro usato oggi – senza però riuscire ad accordarsi sulla sottospecie. Oggi si tende comunque ad accettare come sottospecie turanicum, al posto del polonicum finora maggiormente in auge. Compito non facile, tuttavia, quello di identificare le origini del kamut: le varietà locali di frumento del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo sono tantissime, nonostante l’appiattimento generale provocato dall’industrializzazione agricola. L’Italia stessa conserva ancora diverse varietà (vedi box a pag. 12), di cui alcune molto somiglianti al kamut.

Perfetto per il bio
Il merito di Quinn sta nell’avere attirato l’attenzione su un tipo di frumento molto interessante sotto diversi aspetti. Per cominciare, sembra che il kamut non abbia subito le manipolazioni e gli incroci cui è stato sottoposto invece il frumento usato oggi. Proprio il fatto di essere rimasto a lungo dimenticato, o comunque coltivato soltanto in appezzamenti limitati di terra da piccoli contadini, avrebbe quindi contribuito a mantenere inalterate le sue proprietà originarie. Per di più la coltivazione del kamut, oltre a rientrare nell’ottica importante della biodiversità, si presta in particolar modo alle tecniche dell’agricoltura biologica, come dimostra la testimonianza di Isabella Francese, che con la sorella gestisce un’azienda agricola biologica alle porte di Novara: «Il cereale che noi coltiviamo, affine al kamut, è molto resistente alle malattie. Non lo concimiamo nemmeno, neanche con i prodotti ammessi dal protocollo del biologico. Del resto, credo che se venisse concimato si sforzerebbe troppo e si alletterebbe, con il rischio di perdere il raccolto». Infatti il kamut, e i frumenti affini, producono una spiga molto alta, caratterizzata tra l’altro da grandi «baffi» neri detti arìste. Il problema è la resa, davvero bassa: «Seminiamo l’antico cereale (così si chiama il tipo di frumento da loro coltivato, nda) dopo aver raccolto i fagioli, che arricchiscono molto il terreno. Per quanto riguarda i nostri campi, la resa è di 10 quintali per ettaro, contro i 50 quintali per ettaro del grano. Se non altro, di solito l’utente accetta di pagare di più per un frumento come il kamut o affini». Effettivamente il gusto e le proprietà nutrizionali rendono questo cereale particolarmente gradito.

Le proprietà nutritive
Caratteristica di questo frumento sono le cariossidi ambrate, grandi il doppio di quelle del grano e dotate di una sorta di gobbetta. Il sapore è decisamente particolare: cremoso e quasi dolce, viene paragonato a quello delle noci. Ben digeribile, rispetto al frumento odierno il kamut è più ricco di proteine, lipidi, sali minerali e vitamine. Comunque la maggior ricchezza di proteine non deve far pensare che l’apporto proteico sia completo: come gli altri cereali, il kamut deve essere comunque associato a legumi o ad altri fonti proteiche per raggiungere l’equilibrio nutrizionale.

Ipoallergenico?
Questo antico cereale viene anche ritenuto ipoallergenico rispetto al grano. Pur essendo un prodotto valido, bisogna però sottolineare che le persone allergiche o intolleranti al frumento devono essere molto caute prima di assumere il kamut. La fama di ipoallergenicità è dovuta a uno studio del 1991 curato dalla dottoressa Eileen Rhude Yoder, presidente dell’associazione internazionale allergie alimentari. La ricerca in questione ha preso in esame un centinaio di allergici, sottoposti a test per la reattività sia al grano sia al kamut. Fra questi, è stato poi selezionato un numero limitato di persone con test positivi indicanti una possibile allergia al grano. Nella fase successiva, a queste persone è stato somministrato solo grano, e in seguito a un piccolo gruppo di essi, una decina, è stato somministrato anche kamut. Ecco i risultati conseguiti: due persone non hanno manifestato reazioni; cinque hanno mostrato sintomi quali naso che cola, una lieve cefalea, un dolore temporaneo all’orecchio, prurito; le altre tre hanno avuto reazioni serie al kamut: problemi respiratori, asma, dolori articolari, shock anafilattico. Anche considerato che lo studio ha esaminato cento persone, e che di queste solo una parte minore ha mostrato reazioni grandi o piccole al kamut, non basta a sostenere che questo cereale è ipoallergenico, tanto più che il numero dei pazienti è un po’ basso per trarre conclusioni decisive.

Una ricerca condotta all’università di Padova nel 2002 ha ribadito la mancanza di dati precisi a questo proposito e ha effettuato test in vitro e in vivo per valutare l’eventuale ipoallergenicità del kamut. Gli studiosi non hanno rilevato differenze significative tra il potenziale allergenico del grano e quello del kamut, concludendo che il risultato non sorprende data la stretta affinità tra questi due cereali. Per quanto riguarda la possibilità per i celiaci di assumere kamut, questa è assolutamente esclusa: infatti questo grano contiene pur sempre glutine, nella misura del 16,4%. Pur ammettendo che la composizione di questo glutine sia diversa rispetto a quella del grano, abbiamo sempre a che fare con un contenuto superiore alle 1000 ppm (il limite massimo consentito è di 20 ppm), quindi paragonabile a quello del grano comune. Per questo motivo viene vietata ai celiaci l’assunzione di kamut.

Il kamut in cucina
Per chi non ha problemi di allergie nei confronti del glutine e del grano, il kamut si rivela un buon alimento, da assumere in alternanza agli altri cereali. La sua preparazione è molto semplice. I semi vanno lavati e messi a bagno per una notte, quindi trasferiti in una pentola con acqua fredda calcolando una parte di kamut e tre di acqua. La cottura avviene a fuoco lento e dura circa un’ora. In questo modo si ottiene il cereale asciutto, da condire con una salsa di proprio gradimento, per esempio un ragù di verdure. Andando verso l’estate, poi, non dimentichiamo di proporlo freddo in insalata, proprio come si fa con il riso. Niente vasetti con condimenti pronti, lasciamo correre la fantasia. Se vogliamo osare, proviamo con cipollotti crudi; per un piatto più delicato, vanno bene per esempio le zucchine, magari con un po’ di erba cipollina. L’accostamento con fagioli freschi lessati e una verdura di nostro gradimento permette di ottenere piatti unici completi. Nella stagione fredda, i chicchi di kamut possono arricchire le minestre.

La farina di kamut
Quanto alla farina, gli usi sono svariatissimi. Si presta bene alla preparazione di dolci, per il suo gusto delicato e niente affatto amaro. È ottima per la panificazione, dal momento che lievita molto bene: il contenuto di glutine, come abbiamo visto, non è basso. La scelta migliore ricade sulla farina integrale biologica, più ricca di fibre, vitamine e sali minerali. È bene anche ricorrere alla pasta acida piuttosto che al lievito di birra, potenzialmente allergenico. Tra l’altro la pasta acida consente di annullare gli effetti nocivi delle fitine contenute nel prodotto integrale. La farina si presta inoltre alla preparazione della pasta. Tutti queste preparazioni si possono realizzare in casa o acquistare già pronte: in commercio si trovano anche fiocchi, formati di pasta per tutti i gusti, chicchi spezzettati, torte e tortine, biscotti.

Articolo tratto da Terra Nuova – Luglio/Agosto 2007 disponibile anche nella versione eBook.

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