Il prato è in tavola: le piante commestibili che abbiamo intorno a noi
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dolcissime frittelle. E l’achillea ergeva come spade i suoi umili ciuffi di foglie filiformi. Usufruire di potenti rimedi erboristici era quindi possibile senza dover necessariamente acquistarli, e addirittura cucinandoli! Li calpestavamo ogni giorno senza saperlo.
La raccolta (detta foraging per chi vuole suonare più trendy), è un punto di vista. Come l’abbondanza. Un mazzo di cicorie selvatiche che non riducono in cottura ne vale 2 di cicoria coltivata in quanto a volume, e se guardiamo ai nutrienti ne vale 3. Se usciamo appositamente, ci sembra di perdere molto tempo, ma se passeggiando ci prendiamo 5 minuti per raccogliere una pianta particolarmente florida e abbondante, diventa un dono.
Dal punto di vista gastronomico, le specie selvatiche (tra le quali troviamo molte antenate delle piante alimentari più comuni) sono piste che ci portano direttamente alla radice del sapore. Dovendosi difendere dalle altre specie, si sviluppano tutte in intensità, esacerbando ogni nota di sapore e di nutraceutica.
Da allora ho frequentato molti corsi, molte piante e molti libri. Poi ho deciso che era giunto il momento di rendergli omaggio. Questo libro vuole essere un vassoio d’argento che eleva ognuna di loro al rango che gli spetta, da umile surrogato per i tempi di carestia (donde il nome di alimurgiche) a piatto da gourmet. Per questo ho scelto di tralasciare la tradizionale ‘misticanza’, che vede le erbette mescolate e ripassate. Essa ha il vantaggio di creare un bouquet di sapori e proprietà che si equilibrano tra loro, e ve la consiglio comunque.
Ma i tempi sono maturi a mio avviso per uno sguardo più raffinato e attento, che sappia esaltare l’unicità di ogni pianta, sia nelle culture tradizionali (italiane o estere), sia partendo dalle esperienze gustative personali e dai dati bibliografici circa le qualità tecniche e organolettiche di ciascuna.
Questo non è un libro di cucina, anche se proprio in tavola propone di celebrare la biodiversità dei nostri campi. E non è un manuale di automedicazione, anche se rende conto di tali e tanti rimedi da sperimentare, che potrebbe togliere il medico di torno in alcune aree della vostra salute. È un corso di lingue, il cui intento è costruire un ponte tra queste piante in quanto soggetti, voi e i vostri familiari, affinché abbia inizio un dialogo.
Compilando le schede, mi sono avvalsa di innumerevoli testi di etnobotanica, una scienza che studia gli usi popolari delle specie botaniche. Uno in particolare, oltre 600 pagine di dati pazientemente raccolti da un Frate Francescano in Sardegna, colpisce per la dovizia di particolari e sfumature, lasciando trasparire una cultura estremamente complessa che sa quando utilizzare una radice o corteccia, se fare fumigazioni o impacchi, e apporta soluzioni specifiche ad ogni problema. La ricorrenza di alcuni usi in territori e culture distanti tra loro a mio avviso è un indice prezioso circa la loro relativa efficacia, sia che la scienza se ne sia già interessata o meno. Mentre quando una proprietà viene citata solo sporadicamente, in quanto potrebbe essere frutto di superstizione generalmente non l’ho riportata.
Questo libro, vuole restituire al futuro in forma sintetica e in un linguaggio semplice, ma con una certa esaustività, quei saperi che generazioni contadine stanno portandosi nella tomba.
Ma soprattutto, vuole condividere con tutti voi l’illuminazione che ebbi quel giorno di tanti anni fa nella valle dell’Aniene, affinché non guardiate mai più un prato allo stesso modo. Affinché possa iniziare un dialogo tra ognuno di voi e le piante sino ad allora sconosciute che crescono nei vostri vasi, cortili, prati e boschi. Un dialogo fatto di simpatia, di alleanze e di piaceri gastronomici».
A quaranta piante dedica anche una ricetta illustrata, che si ispira a solide tradizioni, italiane o esotiche.