L’appello: “Expo, non sia Barilla a dettare le regole”
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Signor presidente del Consiglio,
Milano il 7 febbraio per lanciare un Protocollo mondiale sul Cibo, in
occasione dell’avvicinarsi di Expo.
Ci risulta che la regia di tale protocollo, al quale lei ha già aderito,
sia stata affidata alla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition.
Una multinazionale molto ben inserita nei mercati e nella finanza
globale, ma che nulla ha da spartire con le politiche di sovranità
alimentare essenziali per poter sfamare con cibo sano tutto il pianeta.
Expo ha siglato una partnership con Nestlé attraverso la sua controllata
S. Pellegrino per diffondere 150 milioni di bottiglie di acqua con la
sigla Expo in tutto il mondo. Il Presidente di Nestlé Worldwide già da
qualche anno sostiene l’istituzione di una borsa per l’acqua così come
avviene per il petrolio. L’acqua, senza la quale non potrebbe esserci
vita nel nostro pianeta, dovrebbe quindi essere trasformata in una merce
sui mercati internazionali a disposizione solo di chi ha le risorse per
acquistarla.
Questi sono solo due esempi di quanto sta avvenendo in preparazione
dell’Expo.
Scriveva Vandana Shiva: «Expo avrà un senso solo se parteciperà chi
s’impegna per la democrazia del cibo, per la tutela della biodiversità,
per la difesa degli interessi degli agricoltori e delle loro famiglie e
di chi il cibo lo mette in tavola. Solo allora Expo avrà un senso che
vada oltre a quello di grande vetrina dello spreco o, peggio ancora,
occasione per vicende di corruzione e di cementificazione del territorio».
«Nutrire il Pianeta, Energia per la vita», recita il logo di Expo. Ma
Expo è diventata una delle tante vetrine per nutrire le multinazionali,
non certo il pianeta.
Come si può pensare infatti di garantire cibo e acqua a sette miliardi
di persone affidandosi a coloro che del cibo e dell’acqua hanno fatto la
ragione del loro profitto senza prestare la minima attenzione ai bisogni
primari di milioni di persone ?
Expo si presenta come la passerella delle multinazionali agroalimentari,
proprio quelle che detengono il controllo dell’alimentazione di tutto il
mondo, che producono quel cibo globalizzato o spazzatura, che determina
contemporaneamente un miliardo di affamati e un miliardo di obesi.
Due facce dello stesso problema che abitano questo nostro tempo: la
povertà, in aumento non solo nel Sud del mondo ma anche nelle nostre
periferie sempre più degradate.
Expo non parla di tutto ciò.
Non parla di diritto all’acqua potabile e di acqua per l’agricoltura
familiare.
Non parla di diritto alla terra e all’autodeterminazione a coltivarla.
Non si rivolge e non coinvolge i poveri delle megalopoli di tutto il
mondo, non si interroga su cosa mangiano, non parla ai contadini privati
della terra e dell’acqua, scacciati attraverso il land e water grabbing,
(la cessione di grandi estensioni di terreno e di risorse idriche a un
paese straniero o a una multinazionale), espulsi dalle grandi dighe,
dallo sviluppo dell’industria estrattiva ed energetica, dalla perdita di
sovranità sui semi per via degli Ogm e costretti quindi a diventare
profughi e migranti.
E non cambia certo la situazione qualche invito a singoli personaggi
della cultura provenienti da ogni angolo della terra e impegnati nella
lotta per la giustizia sociale. Al massimo serve per creare qualche
diversivo.
In Expo a fianco della passerella delle multinazionali si dispiega la
passerella del cibo di «eccellenza». Expo parla solo alle fasce di
popolazione ricca dell’occidente e questo ne fa oggettivamente la
vetrina dell’ingiustizia alimentare del mondo, nella quale la povertà si
misurerà nel cibo: in quello spazzatura per le grandi masse e in quello
delle eccedenze e degli scarti per i poveri.
In questi mesi, di fronte a tutto quello che è accaduto nella nostra
città, dall’illegalità allo sperpero di ingenti risorse economiche per
l’organizzazione di Expo in una comunità dove la povertà cresce
quotidianamente e che avrebbe urgenza di ben altri interventi, noi
abbiamo maturato un giudizio negativo su Expo.
Ma come cittadini milanesi non possiamo fuggire la responsabilità di
impegnarci affinché l’obiettivo di «Nutrire il pianeta» possa essere
meno lontano.
Per questo avanziamo a lei e alle autorità politiche ed amministrative
che stanno organizzando Expo alcune precise richieste.
Il Protocollo mondiale sulla nutrizione che lei intende lanciare, pur
dicendo anche alcune cose condivisibili, evitando i nodi di fondo,
rimane tutto all’interno dei meccanismi iniqui che hanno generato
l’attuale situazione.
Noi le chiediamo di porre al centro la sovranità alimentare e il diritto
alla terra negati dallo strapotere e dal controllo delle multinazionali,
in particolare quelle dei semi.
Chiediamo che sia affermata una netta contrarietà agli Ogm, che sono il
paradigma di questa espropriazione della sovranità dei contadini e dei
cittadini, il perno di un modello globalizzato di agricoltura e di
produzione di cibo che inquina con i diserbanti, consuma energia da
petrolio, è idrovoro e contribuisce al 50% del riscaldamento climatico.
Le chiediamo che venga affermato il diritto all’acqua potabile per tutti
attraverso l’approvazione di un Protocollo Mondiale dell’acqua, con il
quale si concretizzi il diritto umano all’acqua e ai servizi
igienico-sanitari sancito dalla risoluzione dell’Onu del 2011.
Chiediamo che vengano rimessi in discussione gli accordi di partnership
tra Expo e le grandi multinazionali, che, lungi dal rappresentare una
soluzione, costituiscono una delle ragioni che impediscono la piena
realizzazione del diritto al cibo e all’acqua.
Chiediamo che si decida fin d’ora il destino delle aree di Expo non
lasciandole unicamente in mano alla speculazione e agli appetiti della
criminalità organizzata e che, su quei terreni, venga indicata una sede
per un’istituzione internazionale finalizzata a tutelare l’acqua,
potrebbe essere l’Authority mondiale per l’acqua, e il cibo come beni
comuni a disposizione di tutta l’umanità. Una sede dove i movimenti
sociali come i Sem Terra, Via Campesina, le reti mondiali dell’acqua, le
organizzazioni popolari e i governi locali e nazionali discutano: la
politica per la vita.
Una sede nella quale la Food Policy diventi anche Water Policy, dove si
discuta la costituzione di una rete di città che assumano una Carta
dell’acqua e del Cibo, nella quale si inizi a concretizzare localmente
la sovranità alimentare, il diritto all’acqua, la sua natura pubblica,
la non chiusura dei rubinetti a chi non è in grado di pagare, la
costituzione di un fondo per la cooperazione internazionale verso coloro
che non hanno accesso all’acqua potabile nel mondo.
Una sede nella quale alle istituzioni e ai movimenti sociali, venga
restituita la sovranità sulle scelte essenziali che riguardano il futuro
dell’umanità.
«La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l’avidità di
alcune persone» affermava Gandhi. E questa verità oggi è più che mai
attuale e ci richiama alla nostra responsabilità, ognuno per il ruolo
che svolge.