Sarà che il mercato del latte, derivati e di altri prodotti animali è fortemente in crisi e ha bisogno di sgombrare il campo da possibili concorrenti, anche solo nell’immaginario dei consumatori? Sarà come sarà, ma la Corte di Giustizia Europea ha deciso che quelli di soia e di riso non possono più chiamarsi “latte”.
Latte di riso e latte di soia addio, da oggi in poi i due prodotti non potranno essere venduti sotto questo nome, e anche altri latti vegetali. Per poter continuare a essere esposti sugli scaffali e venduti al pubblico, dovranno cambiare la denominazione in «bevanda a base di», rinunciando alla parola «latte».
Arriva dal Lussemburgo lo stravolgimento del supermercato. La Corte di giustizia dell’Ue ha chiarito che il diritto dell’unione va applicato in toto. Vuol dire che denominazioni quali «latte», «burro», «yogurt», «formaggio» per i cibi vegan in sostanza non sono possibili, poiché riferite solo ed esclusivamente ai prodotti lattiero-caseari, vale a dire i prodotti derivati dal latte.
Il regolamento europeo attualmente in vigore finora ha consentito delle deroghe al principio per cui le denominazioni di latte e derivati dovessero essere riferite ai prodotti animali. Con una decisione la Commissione europea nel 2010 aveva chiarito che ai sensi delle regole non potevano più essere utilizzate le diciture «latte di cocco», «latte di mandorla», «burro di cacao», «fagiolini al burro». Esprimendosi in questo senso, l’esecutivo comunitario aveva riconosciuto il diritto a tutta una gamma di prodotti vegetali di essere messi in commercio con il nome «latte» e affini. Adesso la decisione della Corte di giustizia cambia radicalmente le carte in tavola e sulla tavola, annullando di fatto la decisione di Bruxelles. Il tofu non è derivato del latte e il seitan non ha nulla a che vedere con i formaggi. E il latte è latte punto e basta.
La conseguenza pratica di questo pronunciamento è che, a partire da adesso, non sarà più possibile dunque vendere prodotti venduti normalmente finora. O meglio, sarà sempre possibile farlo purché si cambino le etichette o le scritte sulle confezioni. La sentenza non ha valore retroattivo, dunque le nuove disposizioni non si applicano ai prodotti già messi in commercio. Cosa succederà alle confezioni già sugli scaffali non è chiaro. Potrebbe scattare il ritiro, potrebbero arrivare multe, oppure potrebbe anche verificarsi una soluzione pratica che vede il rivestimento con nuovi involucri tali da eliminare le indicazioni ritenute ingannevoli.