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Meno sale contro l’obesità infantile

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L’obesità infantile, di cui abbiamo il primato europeo, dipende anche dall’eccessivo consumo di sale che spinge a bere più bevande zuccherate. Una battaglia che parte dagli Usa…
Nel Paese delle eccellenze alimentari accade uno strano fenomeno: un milione di bambini tra gli 8 e i 9 anni è in sovrappeso e 400mila sono obesi. Siamo i primi in Europa, con un aumento costante di casi tra i bambini più piccoli. Sembra strano, ma forse dobbiamo imparare proprio dagli Stati Uniti, paese in cui l’obesità è da tempo dilagata, ed è diventata un’emergenza nazionale. Secondo quanto ci suggeriscono gli ultimi studi made in Usa a favorire l’obesità infantile, sarebbe non solo lo zucchero, ma anche il sale. Il cloruro di sodio fa aumentare la sete e spinge i bambini, soprattutto se già abituati, a consumare più bevande gassate e zuccherate.
 Si dovrebbe dunque fare attenzione a questo ingrediente, soprattutto nell’alimentazione infantile. Il ruolo del sale, del resto, è emerso con chiarezza in uno studio appena pubblicato su Pediatrics: i ricercatori della Deakin University australiana hanno verificato le abitudini e il peso di oltre 4.200 bambini e ragazzi di età compresa tra 2 e 16 anni per verificare l’esistenza di un nesso tra l’assunzione di cibi salati, il consumo di bevande zuccherate e il peso.
 
I ricercatori hanno così scoperto che in media ogni ragazzino assume circa 6 grammi di sale al giorno, un valore già molto alto rispetto alle quantità consigliate dalle autorità sanitarie, comprese tra i 3 e i 5 grammi quotidiani. Oltre a ciò, circa il 62% dei ragazzi coinvolti beve ogni giorno bevande zuccherate gassate, energy drink, acque minerali aromatizzate e dolci (i succhi di frutta al 100% non sono stati presi in considerazione).
 
Combinando insieme due tipi di dati, i nutrizionisti australiani hanno trovato che per ogni grammo di sale in più, un ragazzino beve almeno 17 grammi di liquidi zuccherati; inoltre, i ragazzi che non bevono bibite dolci abitualmente, assumono anche meno sale (in media mezzo grammo in meno al giorno, cioè la quantità di un sacchettino di patatine fritte).
 
È probabile, concludono gli autori, che i bambini che consumano più sale e zucchero siano anche quelli che mangiano meno frutta, verdura e latte e più cibo spazzatura. Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che i ragazzi che assumono più sale (pari al 23% del totale) sono anche quelli che hanno più probabilità di avere un peso superiore alla norma (per la precisione, hanno il 26% in più di probabilità rispetto agli altri).
 
È dunque arrivato il momento – così ritengono gli autori dello studio – di controllare nei bimbi il consumo di sale e alimenti salati, accanto a quello di bevande dolci e cibi pieni di grassi. E per ridurre l’assunzione quotidiana di sale, il primo passo consiste nello spingere bambini e ragazzi a consumare più pasti preparati in casa, meno infarciti di cloruro di sodio.
 
Negli Stati Uniti, le campagne di educazione alimentare e quelle destinate a combattere l’obesità infantile iniziano a dare qualche frutto, come riferisce il New York Times. Non si tratta di una tendenza nazionale, ma di dati emersi da città di vario tipo, grandi e importanti come New York, Filadelfia o Los Angeles, e piccole come Achorage, in Alaska. Tra il 2007 e il 2011, i teenager obesi di New York sono diminuiti del 5,5%, quelli di Filadelfia del 5% e quelli di Los Angeles del 3%. Come si è invertita la tendenza?
 
Lo si comprende analizzando come è stata condotta a Filadelfia la guerra totale all’obesità infantile. Qui, a partire dal 2004, i tè freddi, le bevande zuccherate alla frutta, gli sport drink sono scomparsi dalle scuole. Nel 2005, sono stati imposti limiti più severi alle calorie e ai grassi degli snack e i produttori sono stati costretti a confezionare porzioni inferiori di patatine fritte. Nel 2009, infine, queste ultime sono scomparse dalle caffetterie delle scuole che hanno anche sostituito il latte intero con quello parzialmente o totalmente scremato.
 
L’eliminazione di chips e patatine fritte della mense è stata lentissima: questi prodotti, su cui le scuole guadagnavano parecchio, rendevano le mense più attraenti, almeno secondo i gestori. Nondimeno, gli interventi si sono realizzati e stando ai dati, qualcosa è cambiato: tra il 2011 e il 2012 il tasso di obesità infantile è ulteriormente sceso del 2,5%.
 
Naturalmente non è importante solo quanto accade a scuola: i ragazzi americani ogni giorno comprano nel negozio di quartiere junk food per almeno 350 calorie; è stato quindi varato un programma federale che spinge i negozianti a limitare le vendite di cibo spazzatura e già 640 corner store vi hanno aderito. Molto resta da fare, se è vero, come riferiscono i maestri di scuola, che tanti studenti non hanno mai visto un cavolfiore in vita loro. Tuttavia, esistono interventi efficaci ed è proprio dalla loro azione congiunta che possono scaturire effetti positivi a lungo termine.
Fonte: Il fatto alimentare

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