Non c’è estate senza pentoloni di marmellate!
Oggi ci sono diverse scuole di pensiero su come andrebbe confezionata una marmellata: c’è chi la vuole senza zucchero, chi vuole farla cuocere 5 minuti perché vuole sentire il sapore della frutta fresca, chi ci mette dentro tutte le polverine del mondo.
Giovanna Olivieri, autrice di
“Io lo faccio da me” (Terra Nuova Edizioni), fa la marmellata così: «Metto sul fuoco frutta e zucchero e aspetto che si cuocia, si addensi e sia pronta da versare nei barattoli. D’altra parte, se la frutta è buona, il sapore si sente anche se cuoce parecchio tempo e, in ogni caso, a mio parere la marmellata non deve sapere di frutta fresca, altrimenti si chiamerebbe purea di frutta: la marmellata deve sapere di marmellata».
«Non ho mai utilizzato la pectina perché secondo me non serve: per conservare la frutta basta lo zucchero e basta farla bollire il tempo sufficiente (in genere 3 ore). Per certi tipi di frutta più liquidi aggiungo una mela a pezzi e poi passo il tutto al passaverdure (la pectina non è altro che l’equivalente industriale di una sostanza con potere addensante presente nella mela, quindi se dobbiamo usare questa sostanza, tanto vale prenderla dove madre natura l’ha sapientemente collocata)».
«Quanto allo zucchero, secondo me ne va messo né poco né troppo, perché se ne metti troppo poi la marmellata stomaca, ma se ne metti poco non si conserva. Poi ognuno ha le sue preferenze. In genere io mi regolo così: se la frutta che utilizzo è piuttosto zuccherina (come le more, le albicocche, l’uva, i fichi), allora la proporzione tra la quantità di frutta e lo zucchero sarà di 2:1 (per fare un esempio: 500 g di zucchero per ogni chilogrammo di frutta pesata già privata del nocciolo, se del caso); per la frutta più aspra come qualche varietà di prugna e le amarene aumento un po’ la quantità di zucchero».
«E poi il bello delle marmellate è sperimentare, anche se non sempre i risultati sono squisiti. Per esempio una volta sono stata indotta a confezionare barattoli su barattoli di marmellata di pomodori verdi perché era ormai novembre e non c’era speranza che maturassero: ebbene, ora quella marmellata non ho il coraggio di usarla nemmeno per fare le crostate!».
«Ma altre volte mi è andata decisamente meglio: per esempio, stan-ca di fare marmellata di prugne tout court, ho provato a variarne un po’ il gusto aggiungendo melone oppure albicocche, more o bacche di sambuco e i risultati sono stati tutti ottimi. Tra l’altro ho scoperto che il melone, anche se sembra un frutto molto acquoso, in realtà aiuta la marmellata ad addensare meglio. Quanto ai contenitori, in genere riciclo barattoli di vetro usati e non sterilizzo il tappo, ma mi limito a lavarlo accuratamente e versare la marmellata finché è ancora bollente, arrivando fino all’orlo; poi pulisco bene con un panno umido intorno all’imboccatura del barattolo in modo da non lasciare residui di marmellata e avvito il tappo. Una volta raffreddato, incollo l’etichetta (basta un foglio di carta e un po’ di colla vinilica), se ho tempo decoro il tappo con uno scampolo di stoffa fantasia ritagliato con le forbici a zig-zag e attaccato con la solita colla vinilica, stringo intorno al bordo un nastrino riciclato da qualche pacco regalo o qualche abito dismes- so e lo ripongo in dispensa. C’è chi consiglia di mettere i barattoli a testa in giù finché la marmellata non si è raffreddata, ma se li riempiamo fino all’orlo, questa operazione non è necessaria».
Marmellata di bacche di sambuco
Tanto per cominciare, bisogna saper riconoscere il sambuco (Sambucus nigra) e distinguerlo da una varietà tossica (Sambucus ebulus), le cui bacche sono drasticamente lassative e quindi non commestibili.
Il sambuco «buono» si riconosce perché ha il portamento di un albero, mentre quello tossico è una pianta erbacea e quindi alta al massimo 1,5 m; nel sambuco commestibile, i «grappoli» di bacche pendono dall’alto, mentre quelli dell’ebolo hanno piuttosto l’aspetto di ombrelli. Infine, le bacche di Sambucus nigra maturano verso la fine di luglio-prima metà di agosto, mentre quelle di Sambucus ebulu maturano più tardi, in genere in concomitanza con le more di rovo. Bene, una volta che avrete capito qual è l’albero del sambuco, potrete raccoglierne le bacche, facendo attenzione a scegliere soltanto quelle giunte a maturazione completa, ovvero di colore nero, scartando quelle ancora verdi o rosse, perché tossiche (non mortali, ma tali da causare un’intossicazione).
Ingredienti
• 1 kg di bacche di sambuco
• 1⁄2 kg di zucchero integrale di canna • succo di 1⁄2 limone
Procedimento
Sgranate le bacche, mettetele a bagno in una bacinella in modo da eliminare la polvere e lo sporco (il sambuco, infatti, cresce soprattutto ai margini delle strade di campagna, quindi spesso è impolverato), eliminate tutte le bacche verdi e rosse, pesate quelle buone e aggiungete lo zucchero, il succo di limone e versate tutto in pentola. Lasciate cuocere per circa 3 ore, ma dopo un paio d’ore eliminate i semini con il passaverdura a fori piccoli (se non lo fate, la marmellata sarà immangiabile!). Rimettete sul fuoco, terminate la cottura e versate la marmellata ancora calda nei vasetti di vetro. Le bacche di sambuco si possono utilizzare anche per insaporire altre marmellate, per esempio quella di prugne.
Marmellata di pesche e fiori di lavanda essiccati
Ingredienti: 1 kg di pesche, 1 manciata di fiori di lavanda secchi, ½ cucchiaino di agar-agar o 1 mela.
Sbucciate le pesche, privatele del nocciolo e tagliatele a fettine. Aggiungete un po’ d’acqua e cuocete in pentola per circa 20 minuti schiumando spesso. Continuate a cuocere fino a che le pesche non si saranno completamente disfatte, e a questo punto aggiungete i fiori di lavanda secchi e l’agar-agar sciolto in poca acqua e lasciato riposare per 15 minuti, terminando la cottura in 10 minuti.
Invasate la marmellata ancora calda. A seconda della varietà di pesche che utilizzerete e del loro grado di maturazione potrebbe essere utile anche una mela sbucciata e tagliata a pezzettini per permettere al prodotto di addensarsi meglio e più in fretta.