Profonda, evocativa e pratica al tempo stesso: la visione del cibo e della cucina di Pietro Leemann, cuoco vegetariano da una stella Michelin, integra spiritualità, sostenibilità e piacere del palato, tre dimensioni fondamentali su cui si fonda Joia, il ristorante milanese che ha fondato alla fine degli anni ’80, e l’accademia di formazione per cuochi cruelty free.
Una scelta di vita radicata in una spiritualità profonda e la consapevolezza di far parte di un mondo vivente in cui non siamo «al di sopra» di ciò che ci circonda, ma parte integrante di un equilibrio armonico che va ricercato e nutrito, anche riparato quando necessario: è ciò che emerge più potentemente di Pietro Leemann quando lo ascolti e ti accompagna attraverso il suo percorso di crescita umana personale, che lo ha portato non solo a essere uno dei più autorevoli chef vegetariani d’Italia e d’Europa, ma anche uomo di coerenza, che esprime nel quotidiano di ogni sua azione il suo profondo rispetto e il suo amore per l’ambiente, la natura, gli animali e l’essenza dell’essere umano.
Il suo ristorante, a Milano, ha un nome evocativo: Joia. Dal 1989, anno dell’apertura, a oggi ha percorso con grandissimi successi una strada niente affatto scontata, arrivando nel 1996 a ricevere, primo ristorante vegetariano in Europa, la stella Michelin. Leemann ha poi dato vita alla Joia Academy, con cui organizza corsi specifici, e all’iniziativa The vegetarian chance, con un concorso aperto a cuochi che vogliono cimentarsi nella sfida di una cucina cruelty free; da qualche anno è stato scelto come responsabile della qualità per il gruppo EcorNaturaSì.
Lo abbiamo intervistato per proporre una visione a tutto tondo della sostenibilità, che diventa modo di essere e di agire, non solo di pensare.
Pietro Leemann, lei è stato capace di rimettere in discussione sistemi e precetti con l’armonia che ha introdotto nella sua cucina. È partito in giovane età dall’interesse per la cucina tradizionale italiana e francese, poi è scattato qualcosa che l’ha sospinta nella direzione di una scelta vegetariana, etica e di salute. Ci vuole raccontare questo passaggio cruciale?
Fin da ragazzino, avevo circa dodici anni, ho sempre provato una grande passione per ciò che era spiritualità e mi sono immerso in ambiti religiosi che avevano per me una forte suggestione. I miei genitori sono atei e io, forse per contrapposizione, ho sentito l’esigenza di dare risposta a quel bisogno; conoscevo una suora che mi passava di nascosto libri sulla storia di Gesù e sulla cristianità. La mia trasformazione è partita da lì ed è poi proseguita qualche anno dopo durante i miei soggiorni in Oriente, dove mi sono immerso in quelle religioni e filosofie, aderendo alla cultura millenaria del Vaishnavismo, legata ai Veda dell’India antica. Da giovanissimo avvertivo una frattura tra ciò che di spirituale e profondo vivevo nella mia intimità e ciò che poi facevo nella vita ogni giorno. Studiavo e cucinavo, ma qua to incontravo non corrispondeva a ciò che sentivo dentro. A un certo punto questa divisione non era più sostenibile e per ritrovare una coerenza dell’essere e del vivere ho ricercato una strada che mi permettesse di costruire la mia armonia. Mi sono dunque avvicinato alla cucina e al cibo vegetali e biologici, che mi permettevano di praticare il rispetto per l’ambiente e per tutti gli esseri viventi, in modo che ciò che mangiavo e cucinavo fosse in sintonia con ciò che provavo e che ero, e lo alimentasse. Per questo ritengo che cucinare sia una grande responsabilità, avendo un forte impatto sugli altri e sul Pianeta. E che sia anche un modo per continuare a migliorare se stessi e le relazioni con tutto il resto che ci circonda; ho unito così quelle due parti di me che, divise, soffrivano. E ho individuato uno degli splendidi elementi che abbiamo a disposizione per trasformarci ed evolvere: il cibo che viene da una terra sana, non macchiato da crudeltà. Sia chiaro: parlando di tutto questo non voglio fare proselitismo. Ognuno di noi ha dentro di sé qualcosa di innato che ci fa sentire ciò che è meglio per noi; dovremmo riappropriarci della capacità di ascoltarlo per poi perseguirlo. Con il cibo ci si mette in gioco e si capisce se ciò che si ha nel piatto ci corrisponde oppure no: accade tutta la vita e tutti i giorni. Quindi ogni giorno è un’opportunità di cambiamento.
Unione, dunque, tra la dimensione spirituale e quella professionale: un’alta conquista personale. Ricorda momenti particolari che hanno segnato tappe fondamentali di questo suo percorso? Per esempio, l’anno sabbatico che si è concesso per studiare psicologia e filosofia? O spazi di riflessione che si è riservato per poi avere le basi per fare determinate scelte che già, in seme, aveva dentro?
Spazi di riflessione, di silenzio, spazi mentali: sì, sono vitali e io me li sono presi. Si pensi solo alla vita frenetica e stressante che si fa. Per me questi momenti si sono rivelati fondamentali, soprattutto quelli in cui ho avuto il coraggio di mettermi in gioco provando a cambiare. Non è facile, perché non si è supportati dal mondo esterno. Quando, a ventun anni, ho deciso di diventare vegetariano, coloro che compivano questa scelta venivano considerati membri di una setta strana, a cui venivano portati via i figli, e dovevano rimanere nell’ombra. Oggi non è più così per fortuna, si mangia meno carne, si riflette sulle proprie scelte alimentari e i vegetariani aumentano. Il mio anno sabbatico è stato determinante. Ho provato su di me cosa significava l’alimentazione vegetariana e sono entrato in piena sintonia con i mondi dell’ecologia e del biologico. Andando in quella direzione, mi sono reso conto che qualsiasi minima fuoriuscita dall’equilibrio cosmo-etico mi affaticava, in particolar modo quando si trattava del cibo. Ritengo che occorra purificarsi da ciò che ci dà dipendenza e ci fa male, è necessario arrivare all’essenza di ciò che si mangia e comprenderla, e ciò vale anche per la natura che ci circonda. Intravedo una generale riscoperta del piacere nel contatto con la natura, che sia una passeggiata nel bosco o un alimento vegetale e biologico; una connessione che la società moderna aveva interrotto. Un altro spartiacque per me è stato, come dicevo, il soggiorno in Oriente, dove mi sono immerso in culture che mi hanno arricchito. Poi, quando ho avuto la mia iniziazione spirituale e quindi sono nato a nuova vita. Tutti passaggi grazie ai quali ogni cosa si è incastrata nel modo giusto e tutto ha acquisito un senso. Ho fatto le mie scelte e quando uno sceglie smette di navigare a vista; non mi sento migliore di altri, ognuno compie le scelte che sono giuste per lui. L’importante è ritrovarsi in verità.
Un filo rosso della sua esperienza professionale sembra essere il desiderio di influenzare lo stile alimentare italiano ed europeo affinché privilegi gli aspetti salutari ed etici. Secondo lei la cucina mediterranea ha aspetti intrinsecamente poco salutari oppure il problema è dato da come si è trasformata in conseguenza del boom economico?
Se a una persona che agisce, e quindi anche mangia, senza un intento profondo si propongono cibi più opulenti, che gratificano, andrà in quella direzione. Il vero cambiamento avviene quando si prende coscienza di ciò che si sta facendo e soprattutto quando si è individuato un proprio personale scopo. Quindi, il problema non è tanto se la dieta mediterranea sia peggiorata o migliorata, quanto la capacità di riflettere degli individui. Dopo la sbornia dell’opulenza post bellica, un numero crescente di persone ha iniziato a riflettere sugli eccessi. Il Joia è un luogo di riflessione, ha contribuito alla trasformazione e alla consapevolezza alimentare che si è diffusa, come ha fatto anche Terra Nuova. L’unica via è l’autonomia di scelta delle persone, che devono poter avere spazi di pensiero non inquinati dal «rumore di fondo» persistente che tende a opprimerci nel quotidiano. Il cibo è anche questo, è uno strumento per collegarsi con se stessi, per distinguere il buono e giusto; un cibo artificiale può essere «buono» in superficie, ma poi si avverte la sua negatività. L’essenza umana sta in quella purezza da riscoprire, ritrovare e preservare.
Anche l’educazione alimentare è cultura. Qual è secondo lei la strada per farla diventare una consapevolezza orizzontale? La scuola può avere un suo ruolo?
Oggi le persone più agiate spesso compiono scelte virtuose dal punto di vista alimentare non solo perché hanno più mezzi economici, ma anche perché hanno più accesso alla cultura. Chi non può scegliere, o non è stato educato a farlo, spesso si butta sul cibo spazzatura, di bassa qualità. Non è tabù affermare che questa differenza sta anche, appunto, nella dimensione culturale. Certamente la scuola può fare la differenza, ma occorre anche che chi è in grado di scegliere e decidere si senta investito di più responsabilità verso gli altri. Bisogna che vengano fornite linee guida alimentari veramente sostenibili e rispettose della salute e del Pianeta. E bisogna contrastare il paradosso attuale che vede il cibo sano costare di più di quello malsano. Bisogna esplicitare che dietro il basso prezzo di quel cibo malsano ci sono costi indiretti non considerati, quelli che poi paga l’ambiente e che paghiamo noi in termini di salute.
Eh già, oggi siamo tutti presi da altri costi: l’ultimo cellulare, l’auto più nuova… E ci siamo abituati a spendere poco per il cibo. È la percezione dei valori a essere in crisi secondo lei?
Tutto apparentemente è più accessibile, ma questo vuol dire che dietro c’è un sistema di sfruttamento che calpesta i diritti e l’ambiente. Bisogna fare educazione vera, le persone dovrebbero essere messe in grado di acquisire cultura, comprendendo che si tratta di un valore esistenziale, non solo di un accumulo di conoscenze sugli aspetti materiali della vita. Pensiamo alla tv, a quanto è inguardabile. Non è solo una perdita di tempo, è anche una forma di inquinamento mentale. Chi possiede i mezzi d’informazione dovrebbe usarli per diffondere vera cultura, ben altro da quanto accade oggi. Purtroppo il peso degli interessi economici ha prevalso in gran parte del mondo.
Lei ha dato vita anche a Joia Academy, una realtà che affianca al ristorante un’attività divulgativa e di formazione.
In questi trent’anni al Joia ho sviluppato modi e tecniche di preparazione che prima non c’erano, non esistendo una vera e propria cucina vegetariana di qualità, non c’erano neanche tecniche e strumenti per realizzarla. L’Academy nasce proprio dall’esigenza di diffondere queste conoscenze per permettere agli altri cuochi e ristoranti vegetariani di affinarsi e migliorare. Peraltro, molti partecipanti ai corsi sono anche cuochi onnivori, ciò significa che poi andranno a proporre e realizzare un nuovo approccio al cibo e alla cucina.
Le scelte etiche legate al cibo e, più in generale, le scelte ecologiche sono spesso associate al sacrificio. Il nome del suo ristorante dice che invece non è così, giusto? Joia: quindi massima attenzione ad associare a determinate scelte uno stato d’animo gioioso, che porti il sorriso.
Spesso si associa la salute a un sacrificio da compiere. La cucina sana viene pensata come punitiva, ma si tratta di un grande errore di fondo: può essere migliore nel gusto, dare piacere e fare molto bene. Semplicemente in ciò che è sano il piacere è un elemento sottile, non grossolano. La grande sfida al Joia è creare una cucina per il benessere, ma nel contempo anche per il piacere.
Come disinnescare l’abitudine ai sapori artefatti ed elementari a cui ci educa il cibo industriale e far comprendere l’importanza dei sapori complessi, di un modo «lento e profondo» di approcciarsi al pasto di ogni giorno?
La cultura del cibo è legata a una maggiore conoscenza degli ingredienti. Si pensi solo all’appiattimento nelle biodiversità dei cibi: un tempo, per esempio, si coltivavano e si usavano decine di tipi di riso, centinaia di tipi di vegetali, mentre oggi ci si riduce a poche varietà standardizzate. Fortunatamente in Italia questa tendenza è ancora contenuta o almeno contrastata, ma nel mondo anglosassone c’è stata una netta riduzione nella gamma di gusti e tipi di alimenti. Nel fast food esistono il dolce, il salato e l’acido, più il grasso, che non è nemmeno un gusto; si ottiene un piacere immediato, ma malsano e poco profondo. Il Joia va nella direzione opposta; basti pensare che in ogni stagione usiamo da ottanta a cento varietà di vegetali. Questa è cultura. Se le persone sono curiose, si aprono alla novità, alla possibilità e scoprono gusti e piaceri. Penso che occorra iniziare alla curiosità e all’apertura i bambini fin da piccolissimi. Ciò non significa plagiarli perché ricalchino le nostre scelte, bensì educarli alla scoperta, affinché poi possano scegliere in consapevolezza.
Anche tra i prodotti vegetariani e vegani ci sono cibi artefatti, con additivi e sostanze che poco hanno a che fare con il biologico e il sano. Cosa ne pensa?
Ritengo sia un paradosso. Penso che ci sia una disconnessione laddove si fa una scelta vegana e non si sceglie il biologico. Ci sono surrogati della carne che contengono cose indicibili, sono alimenti industriali. Anche se magari in una prima fase di passaggio qualcuno può essere rassicurato da questi alimenti. Ora per NaturaSì sto creando una gamma di hamburger e polpette che sono simil-carne, ma senza additivi o sostanze artificiali.
Quanto è importante la dimensione spirituale e sacra relativa al cibo, che forse oggi si è un po’ persa?
A differenza di ciò che alcuni pensano, la spiritualità e la religiosità possono essere una via formidabile per mettere in grado le persone di pensare in modo autonomo; possono essere una forma di liberazione ed emancipazione. Dipende da come vengono «usate» e vissute. Meditando, pregando e organizzando la propria vita si acuisce la capacità di comprendere e si è in grado di indirizzarsi e scegliere, non ci si perde nel caos. Il cibo fa parte della religiosità della nostra vita. Ogni cibo è sacro; nel processo detto della transustanziazione, l’elemento profano diventa sacro e acquisisce sostanza di nutrimento per l’anima e lo spirito, non solo per il corpo. Anche l’attitudine che mi porta a considerare il mondo in cui vivo in modo sacrale diventa una forma di rispetto, quindi sceglierò il biologico e il rispetto di animali e ambiente. Come cuoco uno dei miei riferimenti più alti, per esempio, è il Giappone: in quel paese nelle comunità religiose la persona più importante è l’abate, la seconda è il cuoco, perché se il monaco mangia in modo adeguato, tutto il suo processo di purificazione sarà corretto. Inoltre, il cuoco deve avere una preparazione spirituale adeguata per migliorare personalmente e quindi preparare meglio il cibo. Io seguo questa via, potenzialmente faccio del bene e ricevo del bene.
Lo scrittore e poeta Wendel Berry afferma che mangiare è un atto agricolo: siamo strettamente legati all’agricoltura anche se l’agroindustria vuole farcelo dimenticare e vuole porsi come la sola che magicamente riesce a far comparire il cibo nei supermercati. Qual è dunque il «food system» di cui abbiamo bisogno per rispondere anche nella produzione alla dimensione salutare ed etica del cibo che mangiamo?
È uno scontro fra titani: da una parte l’interesse economico, dall’altra la coscienza. Ma la coscienza vince sempre. Può magari venire sedata, ma nel ciclo successivo per forza riemerge, perché corrisponde all’essenza di ogni persona. Il mainstream pone continuamente l’accento sul modo industriale di coltivare, ma la verità è che nel mondo l’80% della produzione è ancora in mano a piccoli contadini. In Italia, per esempio, abbiamo tantissima superficie coltivata a biologico, poi ci sono mercati locali, filiere corte, zone con grande biodiversità. Peraltro è ormai dimostrato che il biologico rende altrettanto rispetto alle coltivazioni convenzionali. Bisogna alimentare questa dimensione della coscienza e della responsabilità, coltivare la coscienza nelle persone.
Foodwatch, Yuka e Ligue contre le Cancer hanno lanciato una petizione per chiedere alle autorità europee e agli Stati membri di vietare il dolcificante artificiale aspartame.
L’endometriosi e la sindrome dell’ovaio policistico colpiscono un numero elevato di donne e causano un profondo disagio fisico e psichico. Intestino e microbiota hanno un ruolo chiave e si può fare tanto, come prevenzione e trattamento, scegliendo i cibi giusti.
Slow Food Italia aderisce all’appello per fermare l’accordo commerciale tra UE e Mercosur che rischia di spalancare le porte europee ad alimenti che non rispettano gli standard in vigore in ambito comunitario.
Inaugurata la nuova sede di Demeter Italia a Sorbolo Mezzani, in provincia di Parma. L’associazione di tutela e certificazione del biodinamico ha una nuova casa.
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