Vai al contenuto della pagina

Slow Food: «Peste suina: gli allevamenti industriali aumentano i rischi»

homepage h2

Slow Food denuncia: «Contro la peste suina non serve rinchiudere i maiali nei capannoni degli allevamenti industriali intensivi, anzi così è peggio.  Sì invece a piccoli allevamenti biosostenibili, con animali allo stato brado o semibrado».
Slow Food: «Peste suina: gli allevamenti industriali aumentano i rischi»

«Negli ultimi mesi, circa cinquantamila maiali sono stati abbattuti in Italia e le loro carni distrutte a causa della cosiddetta peste suina che colpisce questi animali. Le norme prevedono che si abbattano tutti i capi presenti entro un raggio di tre chilometri dal caso di positività accertato e che gli allevatori colpiti vengano risarciti. Parliamo di decine di milioni di euro di risorse pubbliche: soldi che però arrivano soprattutto ai grandi allevatori, mentre ai piccoli gli indennizzi arrivano con il contagocce»: a denunciarlo è Slow Food. 
Il modello industriale non funziona, anzi peggiora la situazione
«La strategia adottata per frenare la diffusione del virus finora non ha prodotto alcun risultato e il commissario Vincenzo Caputo, entrato in carica un anno e mezzo fa, si è dimesso. È arrivata anche la bocciatura da parte dei commissari europei giunti in missione in Italia per valutare la situazione» spiega Slow Food. 
L’associazione sottolinea come i casi di peste suina africana si siano verificati «negli allevamenti industriali». «Intendere la biosicurezza solo come barriere e recinzioni da innalzare per separare i suini domestici dai selvatici è riduttivo e penalizza chi non alleva in maniera industriale. Biosicurezza significa anche rispettare rigorosamente le norme per evitare di trasportare in modo accidentale il virus all’interno dei capannoni. Che questo non sia accaduto lo ha ammesso lo stesso commissario Caputo».
«I grandi allevamenti industriali, di norma, si trovano all’interno di aree geograficamente ristrette ad altissima densità di capi – prosegue Slow Food – In queste realtà, le occasioni di contatto tra un allevamento e l’altro sono molto frequenti». 
Gli allevamenti di piccola scala
«Gli allevamenti di piccola scala, quelli dove gli animali vivono allo stato brado o semibrado, spesso sono invece isolati, lontani gli uni dagli altri, caratterizzati dal cosiddetto ciclo chiuso (cioè con la riproduzione dei suinetti all’interno dell’allevamento), con pochissimi contatti con l’esterno: di conseguenza, le probabilità che il virus venga portato dall’uomo all’interno sono minori. Il rischio che il contagio si verifichi attraverso un contatto con il selvatico c’è, ma un’eventuale positività avrebbe conseguenze decisamente ridotte e sarebbe più facilmente isolabile» spiega ancora Slow Food.
Dopo il silenzio delle istituzioni a fronte delle richieste delle associazioni del biologico, Slow Food si rivolge nuovamente ai ministeri della Salute e dell’Agricoltura: «Davvero si intende continuare a privilegiare un modello di allevamento industriale che, oltre a vedere negli animali dei meri mezzi di produzione, ha dimostrato la propria vulnerabilità all’avanzata della peste suina africana? Insistere su questa strada non è privo di conseguenze e a farne le spese sono gli allevatori più piccoli: quelli che lavorano in modo estensivo, valorizzando razze suine autoctone – che sono alla base di produzioni storiche della norcineria italiana eppure si trovano a rischio d’estinzione – e salvaguardando il loro prezioso patrimonio genetico. L’alternativa all’allevamento industriale esiste: va difesa, sostenuta e promossa».
_____

LETTURE UTILI

Una vera rivoluzione oggi può e deve partire dalla produzione del cibo, un grande campo di azione dove il sistema agroalimentare globalizzato ha cancellato la biodiversità, avvelenato il suolo e reso la nostra dieta sempre più omologata e insostenibile.
Il cambio di paradigma si impone anzitutto nella produzione agricola e nella salvaguardia dell’ambiente, da cui dipende il mantenimento degli ecosistemi e della salute dell’uomo.

Gli autori del libro, tra cui spiccano le figure di Vandana Shiva e Franco Berrino, tracciano un’inversione di rotta a cominciare dal nostro stile di vita: bisogna dire sì ai sistemi agricoli naturali su piccola scala, per recuperare la vitalità del cibo e garantire un accesso più democratico alle risorse della terra.
E bisogna dire no all’avanzata di un modello produttivo basato sullo sfruttamento dei popoli e degli ecosistemi.
In gioco c’è la nostra salute e la sopravvivenza pacifica sul pianeta Terra.
____

Grassi, zuccheri, diete, sale sì o no, proteine per dimagrire… quanta confusione!
Il web, i social, la tv, i giornali: si legge tutto e il contrario di tutto. Come orientarsi dunque in questo caos di “informazioni” spesso superficiali e approssimative, quando non addirittura false e fuorvianti? Questo libro aiuta a fare chiarezza.

Lineare, chiaro, diretto, permette di districarsi nei meandri di una propaganda alimentare sempre più spregiudicata che non fa “il bene” del consumatore. 
Troverete risposte documentate ai tanti interrogativi che oggi arrivano sulle nostre tavole ancor prima degli alimenti. Uno strumento indispensabile per scegliere il proprio cibo in sicurezza.
Silvia Petruzzelli vive a Barga, in Toscana. È biologa nutrizionista e tecnologa alimentare.
Ha collaborato con Franco Berrino, con cui ha scritto libri e condiviso seminari. Ha fondato il sito  www.ilcibodellasalute.com, svolge attività di formazione e divulgazione legata all’alimentazione.

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!