Il neo presidente del Brasile ha tolto la gestione dei confini delle terre alla Fondazione Nazionale per gli Indigeni (Funai) e l’ha affidata al ministro dell’Agricoltura Teresa Cristina, leader del gruppo parlamentare “ruralista” che rappresenta gli interessi dei latifondisti. Nel Paese vivono circa 900mila indigeni, che hanno subito annunciato azioni di protesta.
In campagna elettorale aveva promesso di aprire la
foresta amazzonica allo sfruttamento agricolo e minerario e alle grandi dighe idroelettriche, riducendo tutti i vincoli posti a difesa della natura e dei popoli indigeni. Ora
Jair Bolsonaro ha fatto il primo passo in questa direzione. Con un provvedimento firmato poche ore dopo il suo insediamento, il neo-presidente del
Brasile ha tolto la gestione dei confini dei loro territori alle
popolazioni indigene e l’ha affidata alla ministra che rappresenta le lobby dei
proprietari agricoli, come spiega
Il Fatto Quotidiano.
Con un provvedimento provvisorio destinato alla riorganizzazione dei ministeri, Bolsonaro ha tolto alla Fondazione Nazionale per gli Indigeni (Funai, Fundaçao Nacional do Indio) una delle sue funzioni più importanti e significative: l’identificazione e demarcazione dei territori delle diverse popolazioni indigene del Paese. Con il testo firmato martedì e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale poche ore dopo l’inaugurazione del suo mandato a Brasilia, il presidente ha disposto che nel suo governo questa funzione del Funai sarà assicurata dal ministero dell’Agricoltura, dicastero che ha affidato a Tereza Cristina, una delle due donne del suo gabinetto.
Cristina, finora deputata eletta nel Mato Grosso do Sul, era anche leader del gruppo parlamentare della “Bancada Ruralista“, la potente lobby che rappresenta in Parlamento gli interessi dei grandi proprietari agricoli, frequentemente in conflitto con gli indigeni per lo sfruttamento dei loro territori.
Durante la sua campagna elettorale, Bolsonaro ha promesso anche che la stessa Funai passerà dalla sfera del ministero della Giustizia – ora parte del superministero della Giustizia affidato al magistrato anticorruzione Sergio Moro, titolare dell’inchiesta Lava Jato che ha portato alla caduta del governo di Dilma Rousseff e all’arresto dell’ex presidente Lula – a quella del ministero per i Diritti Umani, che sarà gestito da Damares Alvares, avvocata e pastore evangelista.
“Avete visto? Lo smantellamento è iniziato, il Funai non è più responsabile dell’identificazione, delimitazione e demarcazione delle terre indigene”, ha scritto su Twitter Sonia Guajajara, candidata nel ticket del Psol alla vice presidenza di Guilherme Boulos. Bolsonaro aveva intenzione di fondere i ministeri di Agricoltura e Ambiente, ma ha fatto marcia indietro per le forti proteste. Anche rappresentanti della lobby agricola si sono detti preoccupati, temendo sanzioni commerciali sui prodotti agricoli brasiliani da parte dei Paesi attenti alla tutela ambientale.
Le riserve dei popoli indigeni, vietate allo sfruttamento agricolo e minerario, sono da tempo nel mirino dell’ex capitalo dell’esercito. “Non un centimetro sarà demarcato per le riserve indigene”, aveva detto in campagna elettorale. Il nuovo capo del governo vuole anche far ripartire i progetti per le grandi dighe idroelettriche in Amazzonia, bloccate per le preoccupazioni relative alla loro sostenibilità ambientale e le proteste dei nativi.
In Brasile vivono circa 900mila indigeni, l’1% della popolazione. Le loro terre sono costantemente minacciate dalle occupazioni abusive di agricoltori, allevatori e minatori, e molti indios vengono massacrati perché si oppongono.
Non sono comunque mancate le immediata manifestazioni di protesta degli indigeni a fronte del provvedimento di Bolsonaro e la
Articulación de Pueblos Indígenas de Brasil (APIB), la maggiore associazione rappresentativa delle popolazioni autoctone dello Stato,
ha già annunciato azioni e prese di posizione.