Corre il fenomeno della fusione dei ghiacciai per il mix di caldo e inquinamento che impatta anche sul nostro paese. Intanto in val Ferret una porzione di ghiacciaio di oltre mezzo milione di metri cubi di ghiaccio rischia il crollo e ha costretto le autorità a decidere evacuazioni. AGGIORNAMENTO 9 AGOSTO: Emergenza finita in VAL FERRET, riaperta dal sindaco di Courmayeur.
AGGIORNAMENTO 9 AGOSTO: Emergenza finita in VAL FERRET, riaperta dal sindaco di Courmayeur.
Una volume di oltre mezzo milione di metri cubi di ghiaccio rischia un “crollo istantaneo” dal massiccio del Monte Bianco e di finire su un tratto della Val Ferret. Ne sono convinti i tecnici che dal 2013 monitorano il ghiacciaio di Planpincieux: la loro relazione ha indotto il sindaco di Courmayeur ieri a far sgomberare con urgenza una trentina di case e a chiudere l’accesso alla vallata per almeno tre giorni. Sono 75 le persone evacuate, tra cui una quindicina di residenti.
“E’ un volume veramente imponente che come potete immaginare nella sua caduta è in grado di fare molteplici danni e anche molta strada”, ha detto Valerio Segor, dirigente della struttura Assetto idrogeologico dei bacini montani della Regione Valle d’Aosta. Da aprile a oggi “ci sono stati numerosi crolli, per 176 mila metri cubi complessivi”. Ma da due settimane si sta delineando una nuova situazione che riteniamo “particolarmente preoccupante” – aggiunge Segor – per un blocco da 510 mila metri cubi. L’allerta è legata a “trend anomali delle temperature“, uno shock termico che può incidere sul delicato equilibrio dello strato d’acqua tra la roccia e la massa glaciale.
Pare dunque che sia proprio il mix di caldo e inquinamento ad accelerare la fusione dei ghiacciai e non solo in Italia. Gli studiosi lo hanno capito da tempo, almeno da 40 anni, attraverso la telerilevazione satellitare, e si cerca di “correre ai ripari” coprendo la neve per alcuni mesi con teloni bianchi di feltro come sul Presena in Trentino, oppure mettendo delle barriere che deviano il vento evitando che spazzi via la neve come in Cile, o con il ripascimento di neve artificiale.
Ma di fronte a una situazione ormai “drammatica di un arretramento impressionante dei ghiacciai la soluzione più duratura è cambiare stile di vita” avverte Guglielmina Adele Diolaiuti, docente di Geografia nel Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università Statale di Milano ed esperta di Glaciologia e Climatologia Alpina. I ghiacciai, aggiunge, “fondono più rapidamente e in modo più intenso sia per le temperature sempre più alte provocate dai gas serra sia per il darkening, cioè lo scurimento dovuto all’inquinamento industriale, alla fuliggine degli incendi, ai detriti e alle polveri, per cui riflettono meno le radiazioni del sole”.
Di aumento delle temperature si parla sempre di più a proposito dei cambiamenti climatici e luglio scorso ne è ulteriore conferma essendo stato il terzo più caldo mai registrato a livello globale, dopo il 2016 e il 2019, secondo le rilevazioni del Copernicus Climate Change Service (C3S) con un’estensione dei ghiacci del mare Artico pari al minimo del luglio precedente, quasi il 27% al di sotto della media del periodo 1981-2020. In Europa ci sono state temperature inferiori alla media nel nord e superiori alla media nel sud; nel sud-ovest hanno raggiunto quasi il record durante l’ondata di caldo della fine del mese.
L’annerimento dei ghiacciai, spiega Diolaiuti all’ANSA, “è stato dimostrato dal telerilevamento fatto per 40 anni dai satelliti Landsat che hanno evidenziato il fenomeno anche in Groenlandia, e sulle nostre vette lombarde prima e poi su tutte le Alpi”. L’arretramento in Alaska, ricorda la docente, è stato fino a 50 chilometri mentre in Italia, ad esempio, il ghiacciaio dei Forni è rimpicciolito di due chilometri oltre ad avervi trovato l’anno scorso microplastiche, prevalentemente fibre trasportate da vento. Ma risultati simili si sono avuti anche su altri dei 2009 ghiacciai lungo le Alpi e su altri in Europa.
Al momento gli interventi per ridurre lo scioglimento dei ghiacciai vanno da quelli “geotessili, ovvero coprendoli con teloni bianchi di polipropilene, tipo feltro che non è fibra naturale e poi non si possono ‘incartare’ tutti, alle barriere che deviano il vento ma con un impatto sul paesaggio, oppure con il ripascimento di neve artificiale. Ma la soluzione più duratura – avverte la glaciologa – è cambiare stili di vita, riducendo l’emissione di gas climalteranti, quindi usando meno l’auto, mangiando in modo più equilibrato”, insomma “riducendo la propria impronta di carbonio”.