«La strategia di bioeconomia della Commissione Europea (del 2012 aggiornata nel 2018) e la conseguente strategia italiana sono distanti dall’idea originaria di bioeconomia teorizzata da Georgescu Roegen, ovvero una bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura»: la denuncia arriva a conclusione del momento nazionale di confronto organizzato dalla Società Geografica Italiana con il patrocinio, tra gli altri, anche di Isde e Università di Foggia e di Firenze.
«La strategia di bioeconomia della Commissione Europea (del 2012 aggiornata nel 2018) e la conseguente strategia italiana sono distanti dall’idea originaria di bioeconomia teorizzata da Georgescu Roegen, ovvero una bioeconomia compatibile con la vita e le leggi della natura»: la denuncia arriva a conclusione del
momento nazionale di confronto organizzato dalla Società Geografica Italiana con il patrocinio, tra gli altri, anche di Isde e Università di Foggia e di Firenze.
«Abbiamo raccolto i contributi di storici, geografi, economisti, urbanisti, costituzionalisti, biologi, biologi forestali e medici – spiegano i membri del comitato organizzatore, Massimo Blonda del CNR di Bari, Margherita Ciervo dell’Università di Foggia e Daniela Poli dell’Università di Firenze – ed è emerso che la strategia della UE, promossa come la nuova frontiera dell’economia “verde” e basata sulla sostituzione delle fonti fossili con la biomassa, presenta forti contraddizioni rispetto agli stessi obiettivi che si pone, ovvero la riduzione dell’uso di fonti non sostenibili e non rinnovabili e della dipendenza dalle importazioni. Infatti, la mera sostituzione delle fonti (che non prenda in considerazione anche la riduzione dei consumi di energia, materia e acqua) non solo non è sufficiente ma può essere dannosa. Questa si basa sulla produzione di biomassa su larga scala – e, quindi, sulla necessità di suolo fertile (sottratto anche alle foreste), acqua e input chimici – prodotta secondo il modello (e le logiche) dell’agro-industria che, come ampiamente dimostrato in letteratura, ha un forte impatto su ambiente, biodiversità ed economia territoriale».
«La Strategia, fondandosi sulla produzione energetica prevalentemente via combustione di sostanza biologica, compromette il recupero di questa per la compensazione dei suoli incidendo, così, sul clima a causa de bilancio di CO2 sfavorevole – proseguono i ricercatori e studiosi – Con riferimento all’Italia, è stata rilevata una stretta connessione fra la Strategia di Bioeconomia e il Testo Unico Forestale (TUF) del 2018, il cui impatto sul patrimonio forestale e la biodiversità appare piuttosto negativo. Con l’aggiornamento del 2018, la Strategia di bioeconomia si connette strettamente al processo di digitalizzazione aumentando esponenzialmente il fabbisogno di minerali essenziali alla produzione di alta tecnologia, come le terre rare che – oltre a non essere rinnovabili – sono fortemente impattanti per l’ambiente e la salute (ad esempio, la produzione di una tonnellata di terre rare genera fra 1 e 1,4 tonnellate di rifiuti radioattivi) e rendono, inevitabilmente, l’UE dipendente dalle importazioni (considerato che oltre il 90% delle terre rare sono prodotte in Cina)».
«Pertanto, la Strategia di bioeconomia risulta dipendente da risorse non sostenibili, non rinnovabili e dalle importazioni, motivo per cui richiederebbe una rielaborazione sistematica partendo dall’imprescindibile adeguamento alla Strategia europea sulla biodiversità» ha concluso il comitato organizzatore dell’evento.