Barriera corallina sempre più a rischio in Giappone. Il trasferimento delle basi USA nella baia di Henoko sposterà le piste di atterraggio proprio sopra i coralli, che ne verrebbero ulteriormente danneggiati.
Non solo la caccia alle balene è stata riaperta mettendo a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di cetacei ogni anno: in Giappone è a rischio anche un consistente spicchio di barriera corallina nelle isole
Okinawa. La minaccia arriva dalle basi militari statunitensi che, da tempo, nell’arcipelago sono una presenza controversa e al centro di accesi dibattiti non solo tra due superpotenze mondiali, ma anche tra cittadini e associazioni ambientaliste. Dopo uno stop lungo anni, infatti,
il governo ha riavviato i lavori per il trasferimento delle sedi Usa di Okinawa nella baia di Henoko, sulla costa orientale e il progetto vede
la collocazione delle piste di atterraggio proprio sopra la barriera corallina.
Le basi militari Usa in Giapponesi
Le ragioni della presenza delle basi militari Usa sull’isola
sono da far risalire al 1945, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, quando gli alleati sconfissero gli avversari nel corso della sanguinosa battaglia di Okinawa durante la quale furono trucidati oltre 150mila giapponesi che si batterono con ogni forza, ricorrendo anche a operazioni kamikaze. A quanto pare proprio la violenza inaudita della battaglia di Okinawa spinse gli americani ad abbandonare le operazioni anfibie e pensare di fare ricorso alla bomba atomica che fu fatta brillare sopra Hiroshima e Nagasaki. Da ormai 74 anni, insomma, i marines Usa sono insediati in maniera stabile sull’isola. Ad oggi sono ancora migliaia i militari che utilizzano questa area del Giappone come base in una convivenza decisamente difficile con gli abitanti del luogo che li vorrebbero fuori dalle loro città.
Marines, ospiti sgraditi
Da ormai molti anni sono nati movimenti popolari che si scagliano contro la presenza della base a Okinawa. Gli scontri e i dibattiti sono culminati nel 2006, in una decisione presa di concerto dal governo giapponese e quello americano: la base di Futenma, località densamente popolata dell’arcipelago, sarebbe stata drasticamente ridotta e trasferita alla baia di Henoko, sempre ad Okinawa, ma nella costa orientale. Qui la popolazione sarebbe decisamente inferiore rispetto a Futenma, perciò la presenza dei militari
potrebbe essere meno impattante per i giapponesi. Il trasferimento effettivo delle basi, però, ha subito diversi stop e rallentamenti dovuto in larga misura a proteste e manifestazioni popolari che trovavano inadeguata la soluzione e, ad oggi, deve ancora essere completato.
L’impatto ambientale
Il trasferimento della base sulla costa orientale rappresenta una soluzione vantaggiosa solo se non si considera il danno ambientale: la baia, infatti, è una riserva naturale protetta (il divieto di edificare è stato rimosso, come hanno confermato a mezzo stampa i portavoce del governo). Qui insiste una barriera corallina sviluppata e Greenpeace ha più volte dimostrato come sui fondali siano riscontrabili evidenti tracce del passaggio dei dugonghi, mammiferi marini molto simili ai lamantini
la cui estinzione sembra essere ogni giorno meno lontana. L’insediamento delle basi Usa a Henoko comporterebbe interventi particolarmente invasivi, come la costruzione di piste di atterraggio sul mare. Sarebbero proprio quei blocchi di cemento, quindi, che finirebbero per schiacciare irrimediabilmente i coralli e a tenere la fauna marina lontana dalla baia.
Dugonghi e coralli, addio. Nonostante le proteste
Da un capo all’altro del Sol Levante si sono avute
le proteste degli ambientalisti. A fine agosto scorso a Okinawa si sono raccolte oltre 70mila persone che hanno addirittura sfidato un tifone in arrivo nel tentativo di dare un segnale forte alle istituzioni e bloccare i primi lavori: si trattava di operazioni di scavo per creare una discarica funzionale all’insediamento della base militare. Il governo, però, ha tenuto duro: “Ci dispiace per la riserva, ma il trasferimento a Henoko è l’unica soluzione”, il ritornello dei portavoce che hanno ignorato la richiesta dei cittadini che proponevano il trasferimento in una località a sud del Giappone, a loro avviso meno delicata dal punto di vista della salvaguardia ambientale. I cartelli dei manifestanti, però, hanno continuato a lungo a venire alzati al cielo: “Non ci arrenderemo”, la frase più frequente che campeggiava a lettere cubitali. Non si sono arresi, i manifestanti, ma, a quanto pare, hanno fallito contro le dinamiche della politica internazionale: dopo un periodo di stop, infatti, i lavori nella baia di Henoko sono ripresi e flora e fauna marine si troveranno a fare i conti con impietose calate di cemento che le seppelliranno forse per sempre.