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Tartalife, per salvare le tartarughe marine dalla pesca selvaggia

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Prosegue, e si concluderà il 30 settembre prossimo, il progetto Tartalife per salvare le tartarughe del mar Adriatico dalla pesca selvaggia. Il progetto è finanziato dal programma LIFE+ della Commissione Europea e coordinato dall’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Ancona (Cnr-Ismar).
Tartalife ha l’obiettivo di contrastare gli effetti della pesca selvaggia che uccide le tartarughe ‘Caretta caretta’ per via degli ami utilizzati per la pesca al pescespada e per le reti a strascico. Il progetto coinvolge le quindici regioni italiane che si affacciano sul mare, con due obiettivi principali: da un lato, la riduzione delle catture effettuate con palangari, reti a strascico e da posta. Dall’altro invece, la diminuzione del tasso di mortalità ‘post cattura’ degli esemplari di tartaruga marina.

La strage

Oltre 130 mila le tartarughe marine — la Caretta caretta, già protetta da convenzioni internazionali, direttive comunitarie e leggi nazionali — catturate involontariamente dai pescatori professionisti nel 2013 nel Mediterraneo (dati TartaLife). Delle quali 70 mila per avere abboccato agli ami per la pesca al pescespada, oltre 40 mila intrappolate nelle reti a strascico e circa 23 mila in quelle da posta. Con un bilancio totale di 40 mila esemplari deceduti. «Fuori dai calcoli ufficiali», puntualizza il biologo, «ci sono migliaia di piccole imbarcazioni da pesca che operano nei Paesi africani affacciati sul Mediterraneo. Se li contassimo, si arriverebbe a una stima di 200 mila catture e a circa 70 mila decessi».

Si parte dalle attrezzature

Si parte dalle attrezzature. Come le reti a strascico. «Per ridurre la cattura accidentale», spiega Giganti, «alcune marinerie italiane sperimenteranno un dispositivo meccanico denominato Ted (Turtle Exculder Device, letteralmente «meccanismo di esclusione della tartaruga») già diffuso in molti Paesi oltre oceano per la pesca dei gamberi». In pratica, una griglia cucita all’interno della rete (prima del sacco terminale) con il compito di sbarrare la strada alla tartaruga ma non al pesce. «Per evitare interferenze con le reti da posta», prosegue Giganti, «si usa lo Star (Sea Turtle Acoustic Repellent). Un dispositivo elettroacustico da mettere sulla rete che si usa già per tenere lontani i mammiferi marini dalle attività di pesca».

Nuovi strumenti

Oltre all’intervento sulle attrezzature classiche da pesca, il progetto prevede anche l’introduzione di nuovi strumenti mai sperimentati in Italia, come una nassa di nuova generazione, già utilizzata nel nord Europa per la pesca al merluzzo. Senza contare, il lavoro fatto anche sugli ami. In modo particolare nella zona adriatica e nel canale di Sicilia: le più rischiose per le tartarughe. Il nuovo approccio dei pescatori non riguarda solo le attrezzature da pesca, ma anche il pronto soccorso se per sbaglio viene pescata, insieme al pesce, una tartaruga. «Se catturata accidentalmente», spiega il biologo, «la tartaruga ha bisogno di rimanere un po’ di tempo sulla barca per riprendersi». Una pratica che però si scontra con la normativa italiana: il decreto ministeriale della marina mercantile del 1989, che vieta il trasporto e la detenzione delle specie protette a bordo delle imbarcazioni. E tra i motivi principali per cui le tartarughe, in qualsiasi stato si trovino, vengono ributtate dai pescatori nel mare. «Per dare soccorso alle tartarughe», spiega Giganti, «i pescatori potranno richiedere la richiesta di ospitare a bordo l’animale. In modo da evitare le sanzioni e salvargli la vita».

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