Un gruppo di associazioni ha diffidato il ministero dello Sviluppo perchè faccia decadere le concessioni per l’estrazione di gas e petrolio su terraferma e mare già scadute non rinnovate.
Il Coordinamento Nazionale No Triv, A SUD, MareVivo, LIPU, Italia che Cambia, Forum Ambientalista, CDCA, Primalepersone, Fondazione UniVerde, Adusbef e Comitato Abruzzese per la Difesa dei Beni Comuni hanno inviato una diffida al Ministero dello Sviluppo Economico per chiedere la decadenza delle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio su terraferma e mare, scadute da tempo e mai rinnovate. “Abbiamo atteso che venisse reso noto il nome del nuovo Ministro dello Sviluppo Economico per presentare questa iniziativa” dichiara Marica Di Pierri di A SUD. “Si tratta di una azione autonoma rispetto al referendum del 17 aprile, che tocca il piano della legittimità e non del merito della questione petrolifera nel nostro Paese. Nessuno può dirsi sopra la legge, neppure le società petrolifere o chi dovrebbe controllarle”. A illustrare i contenuti della diffida è il costituzionalista Enzo Di Salvatore, già estensore dei quesiti referendari sulle trivelle: “la diffida riguarda 61 concessioni: per tre di esse, le società petrolifere interessate non hanno mai presentato richiesta di proroga; per quindici la richiesta di proroga è inammissibile, in quanto presentata nel periodo di vigenza dello Sblocca-Italia, che aveva abrogato le norme della legge n. 9 del 1991 sulle concessioni e, quindi, tacitamente, anche la durata riferita alle stesse e la disciplina delle proroghe; per tutte le altre, e dunque, per ulteriori 43 concessioni, per le quali era stata presentata la richiesta di proroga, si applica sì una norma ad hoc del 2012, approvata dal Governo Monti, che proroga ex lege ed automaticamente le concessioni, ma in questo caso la norma è fortemente sospetta di illegittimità costituzionale. Il dubbio riguarda la violazione degli articoli 3, 97, 117, comma 1, e 113 della Costituzione. In quest’ultimo caso, in particolare, il problema è dato dal fatto che, in assenza di un provvedimento amministrativo di proroga ad hoc, i cittadini, gli Enti locali e le Regioni verrebbero privati della possibilità di ricorrere al TAR. Rispetto al silenzio o al diniego del Mise si potrà promuovere un giudizio dinanzi al TAR e successivamente davanti alla Corte”.A rafforzare l’iniziativa, interviene il deputato Marco Baldassarre, che annuncia di aver depositato una interrogazione parlamentare al MISE. Ma non è tutto. Enrico Gagliano del Coordinamento Nazionale No Triv aggiunge: “Occorre verificare con massima sollecitudine ed urgenza lo stato di salute dei sistemi di controllo tecnico, legale-amministrativo ed ambientale delle concessioni. Ci sono troppe opacità e sintomi di irregolarità. Il sistema normativo è assolutamente insoddisfacente, pensato per interventi alla bisogna e questo apre spesso a soluzioni schizofreniche. Basti pensare al caso Vega di Edison: lo scorso novembre, dopo il giudizio positivo sull’impatto ambientale del progetto avutosi il 15 aprile 2015, il Mise ha concesso la proroga per “buona gestione del giacimento” fino al 2022. Eppure, Il Ministero dell’Ambiente si è poi costituito parte civile e ha richiesto un risarcimento di 69 milioni di euro a Edison per aver iniettato illegalmente in un pozzo sterile enormi quantità di rifiuti petroliferi tra il 1999 e il 2007, nell’ambito delle attività collegata alla piattaforma Vega A. Tradotto: il Ministero dell’Ambiente ti chiede un risarcimento milionario perché inquini, mentre il Mise ti fa continuare a estrarre per ‘buona condotta’. Ma è solo un esempio tra i diversi possibili”. Per questo Gagliano chiede, a nome delle associazioni presenti, l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sulla regolarità dei controlli.A seguito del referendum del 17 aprile – conclude Roberta Radich di Primalepersone – si creato un ampio fronte di associazioni e comitati, volto a tutelare la legalità in materia ambientale ed energetica e deciso a portare avanti una proposta alternativa allo sfruttamento delle fonti fossili al fine di promuovere una politica energetica sostenibile”.“Gli stessi” – prosegue Radich – “potrebbero anche convergere nella campagna di contrasto alla riforma costituzionale, specie per la parte che interessa il Titolo V della Costituzione. La riforma, infatti, proprio in materia energetica (ed anche ambientale), finisce per espropriare le collettività regionali e locali della possibilità di esprimersi sulle scelte che lo Stato compie al riguardo”.