In India, tra ashram ed ecovillaggi
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Da Roma ho volato a Madras, come la chiamano gli inglesi, o Chennai, come l’hanno sempre chiamata gli indiani. Ma non mi sono fermata nella capitale del Tamil Nadu, perché non volevo che il mio primo impatto con l’India fosse con una grande città, con l’enorme povertà che affligge i paesi del terzo mondo; non me la sono sentita…
In aereo, avevo conosciuto un simpatico signore cileno che da quindici anni vive ad Auroville, uno dei più grandi ecovillaggi al mondo, con oltre 1500 residenti provenienti da ogni parte del mondo. Costruito su un’area costiera di venti chilometri quadrati bonificata e rimboschita, che si affaccia sul Golfo del Bengala, Auroville si trova ad una decina di chilometri da Pondicherry e a circa centocinquanta da Chennai (più o meno tre ore di strada).
Mahabalipuram
Aver conosciuto questo signore ha accresciuto la mia curiosità per questo ecovillaggio unico al mondo, che avevo già deciso di andare a visitare. Ma prima di Auroville mi sono fermata a Mahabalipuram (o Mamallapuram all’inglese), un piccolo paese di scultori e pescatori, cinquanta chilometri a sud da Madras. Gli spostamenti sono lenti in India, molto lenti, e anche cinquanta chilometri possono richiedere più di un’ora di viaggio in taxi, molto di più con l’autobus o con uno dei tipici richò che corrono frenetici tra il caotico traffico indiano.
Il mio primo incontro con l’India è stato dunque con Mahabalipuram, ed è stato un abbraccio… La gente è ovunque in India, poiché spesso le case sono baracche o capanne, i negozi sembrano garage e il sole, escluso il periodo dei monsoni, splende sempre. Si vive per la strada. Non c’è un «dentro» dove stare, a parte i templi, dove gli indiani si recano ogni giorno. E poi gli indiani sono tanti, tanti che è difficile da immaginarli tutti insieme.
A Mahabalipuram ci sono templi molto antichi risalenti al I-V sec. d.C., le loro facciate sono decorate con rappresentazioni di maestose divinità dell’Induismo, animali giganti scolpiti nella roccia, e un mondo di storie che subito danno il senso dell’immenso passato di questo grande paese. Poi c’è il presente, l’impatto con la cultura occidentale, i viaggiatori e i turisti, e tutto ciò che l’industria del turismo si porta dietro: ristoranti, negozietti, piccoli alberghi, centri internet e tutti che vogliono venderti qualcosa o farti da guida o comunque i tuoi soldi.
La delusione di Auroville
Non c’è una povertà tremenda nel Sud, come invece c’è al nord dell’India, tuttavia le condizioni di vita sono incomparabili alle nostre. Dopo alcuni giorni, necessari per ambientarmi e iniziare ad abituarmi a quel misto di odori di spezie e immondizia, ho preso un autobus di linea, una massa di lamiere su quattro ruote, per raggiungere Pondicherry e da lì Auroville. Gli autobus sono sempre un’esperienza forte! Un mucchio di persone stipate, le une sulle altre e continuamente «shekerate» dalle improvvise frenate e poi accelerate dell’autista, col sottofondo del clacson quasi costante. Mi hanno detto che non esistendo un vero e proprio codice della strada, suonare è uno dei pochi mezzi per capirsi e quindi si usa sempre!
Auroville, più che un villaggio, sembra una foresta con qualche casa e qualche villetta nascosta tra gli alberi e i fiori di una rigogliosa vegetazione. Un labirinto di strade sterrate collega le varie guesthouse, fabbriche, scuole, mensa e qualche negozio e al centro splende lo spaziale Matrimandir, anima spirituale del villaggio e simbolo della Madre Universale.
Fu tra il 1964 e ’65 che alcuni seguaci del filosofo Sri Aurobindo (1872-1950), ispirandosi ai suoi insegnamenti e sotto la guida della Madre (Mirra Alfassa, 1878-1973) iniziarono a costruire questa «città dell’utopia». Così nacque Auroville, città dedicata all’ideale dell’unità umana, e negli anni gli aurovillini si sono moltiplicati, venendo da ogni parte del mondo (tra cui una buona percentuale di italiani). Certo, la differenza tra sogno e realtà è sempre enorme, e nonostante l’ammirazione che ho per tutti coloro che hanno dedicato la loro vita a questo «laboratorio vivente», questo grande villaggio-fantasma non ha catturato il mio cuore.
Molte le differenze culturali, sociali ed economiche tra i Tamil (gli indiani locali) e gli occidentali; troppe forse le contraddizioni del quotidiano, tra chi si dedica all’arte (gli occidentali) e chi fa i lavori più faticosi e meno gratificanti (gli indiani), tra chi abita nella villetta con piscina e chi nelle capanne. Non ho trovato un’unica comunità umana, ma tante realtà diverse e alla fine mi sentivo molto sola e un po’ spersa, così dopo un paio di giorni sono andata via. Troppo pochi, forse, per capire la complessità di questo enorme ecovillaggio, ma abbastanza per rendermi conto di come sia difficile il passaggio tra un’idea e la sua realizzazione.
La punta dell’India
Credo che molti dei viaggiatori sono attratti dall’India proprio per la ricchezza spirituale che da sempre nutre questo paese, e forse anch’io cercavo questa «luce»… Così, un po’ delusa da Auroville, sono andata fino alla punta dell’India, a Kanyakumari, dove i tre mari s’incontrano: il Mare Arabo (che bagna la costa occidentale), l’Oceano Indiano che separa l’India dallo Sri Lanka e il Golfo del Bengala (che bagna la costa orientale). La punta estrema dell’India è un luogo prescelto da molti filosofi e pensatori e proprio per questo tutt’oggi meta di pellegrinaggi e di «ricercatori» spirituali. Su un isolotto, di fronte al tempio principale di Kanyakumari, si erge una statua di dimensioni giganti dedicata alla memoria del filosofo Swami Vivekananda, che prima di esprimere le sue idee politiche, sociali e religiose passò molto tempo a meditare in questo luogo. In un altro isolotto accanto è stato costruito un tempio e una sala di meditazione con un grande simbolo dell’Aum. È un luogo, dove le persone sono solite fermarsi in silenzio per qualche minuto…
C’è un’energia molto forte, ma non è qualcosa che si può veramente descrivere con le parole. Le barche partono e tornano dalla costa ogni 20 minuti, così si può andare e restare quanto si vuole. Tornata a riva nel paese di Kanyakumari, sono andata a visitare un luogo speciale, una sorta di semplice mausoleo dove furono poste le ceneri del Mahatma Gandhi fino a quando furono disperse nell’oceano. Qui, ogni anno, il 2 ottobre, giorno del compleanno di Gandhi, i raggi del sole battono precisamente dove furono deposte le sue ceneri. L’edificio è una strana costruzione rosa di forma irregolare che si affaccia sul mare; all’interno una serie di fotografie mostrano Gandhi in vari momenti della sua vita, dedicata all’India e all’umanità intera.
Gandhi
La figura di Gandhi è molto popolare in tutto il Sud dell’India, sebbene egli originariamente fosse del nord, del Gujarat. Credo che l’unicità della sua lotta sociale e la fondamentale importanza della sua dottrina della «non-violenza» non verranno mai scordate, anche perché forse ne abbiamo ancora molto bisogno. Così nel 1940 rispondendo ad un giornalista americano, Gandhi osservava: «La democrazia occidentale, nelle sue attuali caratteristiche, è una forma diluita di nazismo o di fascismo. Al più è un paravento per mascherare le tendenze naziste e fasciste dell’imperialismo. Perché oggi vi è la guerra, se non per la brama della spartizione delle spoglie del mondo?».
Sembra passato tanto tempo dal 1940, ma ho ritrovato una grande attualità nei discorsi di questo «uomo speciale». Continuando il mio viaggio nella rigogliosa regione del Kerala, ho per un momento trascurato lo spirito per i piaceri più materiali: cibi deliziosi, spiagge infinite, foreste di palme, i volti, i colori, i profumi così diversi… sentendomi quasi rapita da un vortice di emozioni. Poi d’improvviso la realtà, con la sua crudezza, un uomo che cammina trascinandosi sui gomiti, perché non a gambe… Un uomo ricoperto di bolle giganti, ovunque, sul viso, le braccia, le mani, le gambe… Un cane che guaisce per il peso delle bastonate, forse cercava solo un po’ di cibo… Ecco l’India, il paese delle contraddizioni, dove forse è più facile che in Occidente vedere contemporaneamente le due faccia della medaglia: gioia e dolore, ricchezza e povertà, spiritualità e materialismo.
«…si dice che l’occidente sia materialista, ma in verità non sa niente di materia, per questo sa così poco di spirito» scrive Sandra etrigani, nel suo bel libro intitolato Ultima India, un pensiero espresso, anche se in altra forma, dallo stesso Aurobindo. L’Ashram di Amma Continuando a risalire la costa del Kerala, tra i canali d’acqua che la caratterizzano e il mare Arabo, sono arrivata all’Ashram di Amma (Mata Amritanandamayi Devi), considerata «Madre divina» e guru.
Questa donna indiana, con i suoi abbracci e il suo dedicarsi alla vita, insegna l’amore altruista e la gioia autentica. Incontrarla è un’esperienza senza confini. Dopo tanto cercare tra le ombre di Baba, Guru, pensatori e filosofi che in passato hanno dato lustro all’India, poter finalmente incontrare un maestro ancora vivente è stato come passare dal sogno alla realtà. Avevo letto e sentito parlare di Amma, ma adesso ero lì, dentro la «favola», che favola non è.
Un insieme di grandi costruzioni e grattaceli rosa, affollati da migliaia di persone (tra cui moltissimi indiani, ma anche tanti europei), coi volti sorridenti, i modi cordiali e lo sguardo profondo di chi impara a guardarsi dentro. Al centro il tempio, intorno gli alloggi, la grande mensa comune e i servizi d’accoglienza. Negli anni Amma ha realizzato moltissimi progetti umanitari, costruendo in tutta l’India orfanotrofi e scuole per bambini, ospedali e moltissimi altri istituti e servizi per i bisognosi. La sua casa è il tempio, la sua vita è dedizione per gli altri, le sue parole seguono i suoi gesti e questi le confermano, ancora una volta spirito e materia, inscindibili.
Per rendersi davvero conto di quello che questa donna è stata capace di fare, bisogna anche ricordarsi che in India prevale una cultura profondamente maschilista, dove la donna è relegata ad un ruolo di madre e domestica, senza diritti e senza grandi possibilità. È con le parole di Amma che vorrei concludere questi appunti di viaggio, un viaggio che va oltre il partire e il tornare, perché credo che viaggiare in India è risvegliarsi al viaggio della vita.
«…L’amore è altruista […] abbracci tutto e sei sempre nella beatitudine. […] La donna è la creatrice della razza umana. È il primo Guru, la prima guida ed educatrice dell’umanità. […] Sono le madri le più capaci a seminare i semi dell’amore, della fratellanza universale e della pazienza nella mente degli esseri umani. C’è un legame speciale tra madre e figlio […] L’essenza della maternità non è limitata alle donne che hanno avuto dei figli; è un principio intrinseco sia nelle donne che negli uomini. È un’attitudine mentale. È amore, quell’amore è il respiro stesso della vita».
(da Il Risveglio della Maternità universale, un discorso di Sri Mata Amritanandamayi Devi, Ginevra, 2002).
Articolo tratto dal numero arretrato di Terra Nuova Aprile 2004
Le nostre riviste: TERRA NUOVA e SALUTE E’