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La montagna siamo noi

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Ostana, un paesino dell’alta Valle Po, è tornato nuovamente a vivere, diventando punto di riferimento sul tema del riuso e di una sapiente valorizzazione dell’architettura alpina.
Ne parliamo con Giorgio Diritti, che nell’Occitania piemontese ha ambientato il film «Il vento fa il suo giro».
Lo chiamano «il caso Ostana», e Giorgio Diritti ha contribuito a crearlo. Oggi condivide con il sindaco, Giacomo Lombardo, e con l’amico sceneggiatore Fredo Valla la pazienza e la tenacia che si richiedono al momento della semina. Il luogo, 1200 metri di boschi e alpeggi con vista sul Monviso, è di una bellezza mozzafiato, ma non ci sono caroselli sciistici né grandi alberghi a salvare la montagna «povera» dall’abbandono.
Giorgio, quale segnale può dare l’interesse concreto per un paesino montano, di neppure cento abitanti, in un periodo in cui è richiesto con urgenza un cambiamento di rotta a livello nazionale e internazionale?
La logica di un sistema basato sul consumismo ad oltranza considera valore soltanto il profitto mentre la vera scommessa del futuro, il vero valore, è il bene delle persone da cui deriva la qualità della vita. Un piccolo borgo di montagna, dove tutto è stato costruito nei millenni con grande armonia, ha in sé il senso delle cose fatte per la gente. La sua rinascita è un valore. E questo è un segnale forte.
Poiché in natura esistono gli opposti, se esiste il bello esiste anche il brutto. Secondo te che cos’è brutto?
Il brutto è bello in modo diverso. È il nostro sguardo che lo definisce. Certo l’armonia smuove, e penso a Ostana, ma non solo, come un affascinante equilibrio matematico che genera partecipazione. Tuttavia anche l’asperità, la meno armonica, ha in sé qualcosa che emoziona e nel contrasto sta la valorizzazione di entrambe.
A proposito di brutto, ci sono persone che vivono in città e la considerano piena di brutture, per cui pensano alla campagna come luogo salvifico dove un giorno forse si trasferiranno per depositare gli affanni quotidiani. Non è che abbiamo un quadro un po’ troppo bucolico di questo altrove campestre?
Fa parte della dimensione cittadina pensare a un altrove meno congestionato. Credo che ognuno abbia una sua naturale disposizione al rapporto con la natura e, se è vero che il cittadino spesso si comporta da colonizzatore, è vero anche che da una partenza non perfetta si può arrivare a scoprire l’autenticità con se stessi e di conseguenza con l’ambiente. Sappiamo che ambiente non significa soltanto natura, ma anche educazione.
A questo proposito, un personaggio del tuo secondo film, L’uomo che verrà, dice che «siamo quello che ci hanno insegnato ad essere». E dove va a finire la responsabilità personale?
Il personaggio che dice quelle parole è un gerarca nazista che di quella responsabilità vuole disfarsi trincerandosi dietro a un ruolo, ma la società che vogliamo per i nostri figli richiede la responsabilità di tutti, adulti in prima linea. Responsabilità significa partecipazione. In altre parole: essere nelle cose a partire da ciò che realmente siamo. E l’essere umano è molto più di un ruolo.
Giorgio Gaber cantava «libertà è partecipazione»…
E infatti libertà e responsabilità sono sorelle… La proposta culturale dei vari media non ci aiuta. Quei pochi film, libri e spettacoli di valore sono surclassati da una gran quantità di prodotti insignificanti e di dubbio gusto. Sommersi da tanta spazzatura, rischiamo di non accorgerci di ciò che invece potrebbe essere nutrimento. Occorre fare resistenza, fare scelte
personali per tutelare la propria integrità mentale e non stancarsi mai di cercare. I due accusati oggi sono il mondo della scuola e il mondo adulto in generale. Se vogliamo sperare in una società migliore per i nostri figli, se vogliamo provare a costruirla, le persone devono essere formate non soltanto dal punto di vista tecnologico. Ignoranza è sinonimo di debolezza.
Riusciamo a trovare almeno un aspetto positivo di questa grave crisi?
Più d’uno! La paura fa sì che ci si ritragga, ma poi crea solidarietà. E poi, dopo decenni di produzione, accumulo e consumo scriteriati, ora sono tornate evidenti le vere priorità della vita. Di conseguenza le scelte diventano più consapevoli. Non si verificano dall’oggi al domani, ma è un movimento lento che è già cominciato.
Per concludere, dove porta il cammino di Giorgio Diritti?
Porta a continuare la ricerca con il desiderio di parlare delle giovani generazioni, disperatamente castrate dal sistema egoistico dei padri e dei nonni che continuano a dimostrare disinteresse per chi verrà dopo di loro. Tantissimi giovani oggi sentono il senso dell’impossibile sulla pelle e si rassegnano. Non parliamo di voli pindarici. Parliamo della concretezza della vita, avere un lavoro stabile, costruirsi una famiglia. Pensando ai giovani, il mio cammino mi porta a fare tappa proprio a Ostana, dove l’intento è di creare una scuola di cinematografia per insegnare un lavoro profondo. L’ambiente mi è complice perché l’armonia, così visibile e tangibile, agevola il racconto di sé e delle cose del mondo. Raccontare dell’uomo e della vita. Costruire qualcosa che sia un segno culturale. È questo che vorrei fare.
Il tuo è quindi un progetto in controtendenza, considerato che oggi la cultura riceve tagli più che finanziamenti…
Un contadino che ha tanti semi che cosa fa in tempo di crisi? Se ne tiene metà in tasca o ne semina di più? Lo sviluppo e la qualità dipendono non solo da che cosa si è seminato, ma anche da quanto è stato seminato.
Articolo tratto dal numero arretrato del mensile Terra Nuova Aprile 2013, in vendita nello shop online www.terranuovalibri.it sia come copia cartacea che come eBook.

 

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