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Uganda: un paese che produce sogni

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“…perché lo Stato… peggio che da noi, solo l’Uganda.”cantava quasi 20 anni fa Giorgio Gaber.
Questo testo compariva all’inizio degli anni ‘90 in Italia, e chissà se davvero Gaber sapeva cosa stesse succedendo in quel piccolo paese dell’Africa equatoriale, che fin dal ’62, data in cui gli inglesi avevano deciso di concedere l’indipendenza, era stato scosso da una serie di avvicendamenti violenti al potere e da una delle dittature più sanguinose del secolo scorso, quella di Idi Amin. 
Negli anni 90’ il paese era di fatto separato in due: a sud del Nilo, nelle province centrali e occidentali molto popolate che si affacciano sul lago Vittoria dove sorge la capitale Kampala vigeva una calma apparente mantenuta dal giovane presidente che dopo qualche anno di guerriglia era riuscito ad arrivare al potere e che lo stava mantenendo con il cipiglio del rivoluzionario moderato, aperto agli scambi e alle partnership politiche di alto livello. 
A nord del Nilo invece imperversava uno dei conflitti civili più fumosi della storia dell’Africa: un piccolo esercito di ribelli (poco più di qualche centinaio) metteva a ferro e fuoco le terre già povere e meno sviluppate del nord del paese e lo faceva in modo sanguinoso, creando di fatto una di quelle situazioni in cui tutto è lecito, la vita non ha valore e tutti si guardano come possibili nemici, la situazione perfetta per poter commettere tutte le peggiori atrocità.
Dietro una coltre fatta di misticismo africano e la solita foglia di fico del “conflitto etnico inspiegabile per l’opinione pubblica occidentale”…lo stesso giovane presidente così “benvoluto all’occidente” consumava la sua vendetta privata nei confronti delle zone di provenienza dei suoi predecessori, schiacciava un popolo fiero e da sempre militarmente ben organizzato come gli Acholi (e guarda caso gruppo etnico di appartenenza del suo rivale politico Milton Obote) facendolo annientare dal suo interno, richiudendolo in minuscoli campi profughi per “proteggere i civili dagli attacchi efferati dei ribelli”, che egli stesso foraggiava.
Il massacro e il suo lento e imperterrito scorrere si sono svolti per quasi 22 anni (1986 – 2008) sotto gli occhi della “sempre attonita” comunità internazionale, dell’ONU che ancora deve capire e verificare come inspiegabilmente abbia fatto Joseph Koni (responsabile di milioni di morti e comandante di uno dei più numerosi eserciti di bambini del mondo) a scappare prima in Repubblica Centrafricana, poi in Chad ed ora in Congo DRC. La comunità internazionale ha però agito tempestivamente aiutando la giovane Repubblica dell’Uganda a istituire minuscoli campi profughi in cui per 20 anni un intera generazione è appassita vivendo in gruppi di qualche decina di migliaia di persone che dovevano contendersi appezzamenti di poche migliaia di metri quadrati sparsi in una delle più belle e fertili savane del mondo, vessati prima ancora che dai ribelli proprio dall’esercito del loro paese, che avrebbe dovuto proteggerli.
Questa era per sommi capi l’Uganda degli anni ’90, quella di cui parlava Gaber, quella di cui non parlavano i giornali.
Oggi, nel 2013, sia l’Italia che l’Uganda del paragone sono molto cambiate, non è sicuro se il paragone sia ancora valido così come inteso in quella canzone, di sicuro alcune cose stanno cambiando per l’Uganda e per la sua meravigliosa gente.
Dal 1986 il presidente è ancora mr. Yoweri Museveni, che da giovane presidente rivoluzionario e illuminato è passato attraverso più fasi: riformista filo americano, filo indiano, filo russo, filo cinese (di sicuro mai filo ugandese). A 76 anni si presenterà nuovamente alle prossime elezioni politiche 2016, dopo aver già cambiato la costituzione del suo paese per poter essere rieletto.
Il quadro fin qua sembrerebbe tristemente e stabilmente relegato ad una di quelle situazioni di impenetrabile corruzione a tutti i livelli della società e di mesta rassegnazione al “nulla può cambiare” e non si spiegherebbe il senso di un viaggio in queste zone così complicate e prive di ogni speranza.
Invece… Per fortuna l’Africa ha i suoi modi per aggirare l’immanenza; l’Africa si adatta flessuosa sorridendo e non si deprime, prende sempre quello che c’è di buono come un dono meraviglioso da cui rigenerare vita, amore, condivisione, empatia, simpatia (nella sua accezione più etimologica). E quindi in Uganda la gente guarda sempre avanti, i giovani studiano fra mille difficoltà e chi può cerca di costruirsi un futuro migliore (attenzione che il concetto di futuro li è diverso), chi non può, invece…sogna!La quantità di sogni che si attraversano passeggiando in una città come Kampala è infinitamente superiore di quella che si incontrerebbe oggi a Milano, Bruxelles, Parigi, Berlino…Atene!
L’Uganda ha un buon PIL è innegabile, la crescita che galoppa sulle sorgenti del Nilo è fin troppo evidente, ma a che pro? A vantaggio di chi?
È un’annosa questione, la sensazione è che abbiamo obbligato per decenni tutto il mondo che non cresceva come noi occidentali a ragionare in termini di crescita economica; ora che la crescita li c’è (più o meno trasparente, sempre in nome di un liberalismo sfrenato!) non ci resta che osservare e fare analisi oggettive.
Se invece volessimo fare uno sforzo in più e volessimo smettere di restare ad adorare il nostro modello potremo scoprire che quello che conta davvero in Africa, ben più di PIL rigonfi o di mega progetti di sviluppo, più di tutte le strategie geopolitiche sono i…sogni. Il prodotto interno lordo di sogni che produce un paese come l’Uganda è grande e solido, in costante crescita e non è assolutamente legato alle agenzie di rating internazionale, è patrimonio innato ed inalienabile di ogni africano e di ogni africana (e di ognuno di noi), non è stato intaccato da quattrocento anni di colonizzazione violenta o da sanguinose guerre civili e non lo sarà da 10 anni di crisi economica.
Quello che davvero fa la differenza, in un viaggio di conoscenza in Uganda è quindi secondo chi scrive il rigoglioso prodotto interno lordo di sogni. I nostri sogni si alimentano anche viaggiando e si sono sempre esportati scambiandoli con idee. A prescindere da tutte le analisi socio-economiche è per quello che fa bene viaggiare in quelle terre difficili, stare con la gente, umilmente chiedere a loro come si fa ad essere felici…ascoltando poi le risposte.
Per questo Viaggi Solidali, da quest’anno organizza due percorsi di turismo responsabile in Uganda, per andare a condividere un po’ di vita con chi quelle terre le abita e che sorridendo ci accoglierà.
In Uganda al momento si viaggia in tutta sicurezza, la guerra non è più nel paese dal 2008 e nessuno la vuole di nuovo come concittadina e tutti sperano davvero che l’aria di pace che vi si respira duri ancora per molto soprattutto per la gente di quei luoghi che ne ha avuto già decisamente abbastanza.
Con i dovuti accorgimenti le questioni igienico-sanitarie di un viaggio in un paese dell’Africa equatoriale si ridimensionano parecchio e la possibilità di avere problemi igienici in Africa è subito messa sotto controllo.
Il paese offre bellezze incommensurabili: in poche ore si attraversano paesaggi talmente diversi, dalle savane aride del nord all’impenetrabile foresta pluviale del sud, alle scarpate erte della parte più meridionale della Rift Valley, alle colline strabordanti di caffè e té delle pendici del monte Elgon, alle foreste rigogliose del Rwenzori.
Viaggiando in un paese che rappresenta la Natura nel suo vestito più bello sarà facile incontrare la biodiverstità più maestosa del pianeta e si potrà scegliere fra centinaia di specie di uccelli differenti, decine di simpatici primati, tra cui i maestosi gorilla di montagna, oltre a tutti i grandi e piccoli mammiferi e rettili. Per questo Viaggi Solidali ha da poco stabilito un partenariato con WWF Italia e WWF Uganda per rendere ancora più significativi i suoi percorsi andando a conoscere da vicino alcuni progetti di conservazione e valorizzazione del territorio e del patrimonio naturale in Uganda.
Ma soprattutto in Uganda si incontrano e si conoscono gli Ugandesi, gente fiera, affabile, amichevole, scherzosa, che riuscirebbe a far sorridere anche il più triste dei pessimisti nordeuropei, che riuscirebbe a far ballare il più pigro degli occidentali, che riuscirebbe a risuscitare la troppo sopita voglia di giocare e di mettersi in gioco in noi europei sempre abbottonati.
Un viaggio responsabile in Africa serve soprattutto all’Africa: compensi e riconoscimenti equi per i soggetti e realtà coinvolte in questa dinamica, un confronto trasparente e sincero con i viaggiatori per capire che non tutti gli europei sono come si immaginano e che non tutto quello che fanno è solo pervaso da dinamiche di guadagno efferato, serve a noi per sperimentare quella dinamica che, come dice Amin Maalouf , fa si che siamo proprio noi, che con il nostro sguardo imprigioniamo chi abbiamo di fronte in strette dinamiche di appartenenza, ma siamo sempre e solo noi che con solo il nostro sguardo possiamo liberarlo.
di Dario Ferroni
accompagnatore e referente viaggi Uganda
collaboratore di Viaggi Solidali
Il programma dettagliato dei nostri viaggi, le caratteristiche di ogni tour e una risposta a quasi tutte le domande che possono sorgere a chi stia pensando ad un viaggio responsabile in Uganda si trovano sul nostro sito: www.viaggisolidali.it alla pagina Uganda oppure potete scrivere a africa@viaggisolidali.it
corso Regina Margherita 205/a
10144 Torino
tel. +39.011.4379468 – fax +39.011.4379755
sito internet: www.viaggisolidali.it

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