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Viaggiare etico

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Il turismo responsabile rappresenta una straordinaria opportunità di viaggiare nel pieno rispetto dell’ambiente e delle popolazioni locali.
«L ‘occhio dello straniero vede solo quello che già conosce» recita un proverbio africano: una sintesi molto realistica di tanto turismo di massa, in particolar modo quello che va alla disperata ricerca dell’esotico. Ogni anno l’industria del turismo sposta più di sei miliardi di persone nel mondo, diventando così, con un fatturato pari al 6% del Pil del pianeta, la principale attività economica del globo. Oggi sono ben noti gli effetti negativi del turismo di massa su ambiente, cultura, società ed economia nei paesi di destinazione, in particolar modo quelli del Sud del mondo, dove la perdita di valori e tradizioni, la sottrazione di risorse, il disagio sociale non vengono compensati da un’equa redistribuzione del reddito generato. Un atteggiamento critico in questo senso nasce negli anni Settanta tra gli antropologi delle università americane, arrivando in Europa negli anni Ottanta. È lo stesso periodo in cui si iniziano a diffondere i principi dell’agricoltura biologica e del commercio equo; è in effetti proprio dalla ricerca di un rapporto diverso con l’ambiente, unita alla volontà di creare uno scambio diverso con i paesi del Sud del mondo, che si vanno definendo i principi del turismo responsabile, un modo diverso di viaggiare caratterizzato dalla duplice preoccupazione per l’ambiente dei luoghi visitati e per il benessere delle popolazioni che vi abitano.
Il nostro paese è il pioniere di questo nuovo modo di fare turismo. Uno dei protagonisti è stato Renzo Garrone, autore dei principali libri sull’argomento («Turismo responsabile», «Povero outgoing») e fondatore di Ram Viaggi. «Come con il biologico e il commercio equo, ma anche altri movimenti di questo secolo» ci spiega Garrone, «da una parte c’è un cambiamento di coscienza fatto di ricerca e di attivismo, dall’altra c’è la proposizione di un mercato alternativo». A partire dagli anni ’90 nascono infatti le prime associazioni che portano avanti un modo di viaggiare la cui prima caratteristica è la consapevolezza: di sé e delle proprie azioni, anche quando sono mediate dall’acquisto di un biglietto, di un souvenir, di un servizio di ospitalità; ma anche della realtà dei paesi di destinazione, per una scelta meditata e quindi diversa. Nel ’97, undici associazioni impegnate a vario titolo sul fronte del turismo sottoscrivono la «Carta d’identità per i viaggi sostenibili» e nel ’98 nasce l’Associazione Italiana Turismo Responsabile (Aitr). «Il turismo responsabile» si legge nella Carta, «è il turismo attuato secondo i principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori».
«Una realtà come la nostra non esiste all’estero» spiega Maurizio Davolio, presidente di Aitr «e siamo visti quindi come un punto di riferimento a livello internazionale. Il nostro paese è già molto internazionalista, attivissimo nel campo della solidarietà, sia in ambito cattolico che laico. Su questi temi c’è addirittura una concorrenza al rialzo! Ci aiuta poi il fatto di avere una storia coloniale più marginale rispetto per esempio alla Francia, la cui attività di turismo responsabile finisce con l’essere limitato alle proprie ex- colonie».
Un viaggio speciale
Una vacanza di turismo responsabile parte innanzitutto da una fase preparatoria su ambo i fronti: da una parte le comunità locali ospitanti vengono coinvolte nello sviluppo del turismo nella loro zona, dall’altra ai viaggiatori si offre una documentazione approfondita e si organizzano degli incontri preparatori. Si privilegiano sempre i piccoli gruppi, con itinerari in cui il numero delle mete sia ragionevolmente limitato, in modo da consentire un maggiore approfondimento. Un ruolo importante di mediazione in questo senso è svolto durante il viaggio da un facilitatore interculturale. L’agenzia o associazione del paese di origine si impegna a privilegiare alloggi e ristoranti di carattere familiare o su piccola scala, strutture e trasporti compatibili con l’ambiente e la cultura del luogo e dove minore sia il divario di possibile fruibilità tra il viaggiatore e la gente del posto; nei partner locali si verificherà inoltre il rispetto delle norme sindacali minime stabilite dall’Ilo (International Labour Organisation). Sarà incoraggiato l’acquisto di un artigianato autentico e con prezzi trasparenti, nonché la partecipazione a manifestazioni, feste e spettacoli tradizionali nel rispetto dell’autenticità e del consenso. Per ogni viaggio organizzato, si prevede una quota minima da destinare a un progetto di sostegno attivo delle popolazioni visitate. Questo fa in modo che ci sia una continuazione nei rapporti con il paese che si visita anche quando si torna a casa: «Spesso i nostri clienti rimangono in contatto», ci racconta Daniela Cazzaniga di Pindorama, «per continuare a sostenere a livello autonomo i progetti conosciuti in prima persona durante il viaggio».
I numeri delle vacanze etiche
I continenti più visitati da questo turismo alternativo sono nell’ordine America Latina, Africa, Asia e in misura minore l’Europa. I dati sono incoraggianti: nel 2005 i viaggi all’estero promossi dalle associazioni aderenti all’Aitr italiano hanno interessato circa 4.000 persone. La maggioranza è composta da donne (oltre 60%) e l’età media è quella dei giovani adulti (30-40 anni). Si deve tenere conto che a questi dati sfuggono tutti i casi di turismo responsabile «fai-da-te», cioè di tutti quelli che, pur mettendo in pratica tutta una serie di principi etici, non si appoggia a un’organizzazione specifica.
Un fenomeno di nicchia?
Come spesso accade con il mondo cosiddetto «alternativo», che si tratti di alimentazione, medicina, economia o appunto di turismo, il rischio è sempre quello di rimanere un fenomeno di nicchia. Un rischio che nel nostro paese non viene sottovalutato: in Italia infatti l’Aitr sta cercando di attivare un dialogo con i tour operator aperti al confronto. Questo non perché le agenzie inseriscano nell’ambito del turismo tradizionale qualche vacanza di tipo responsabile – «questa sarebbe solo un’astuzia per catturare una nicchia di mercato» precisa Davolio – ma perché introducano gradualmente nella propria programmazioni degli elementi che migliorino gli standard etici di tutti i loro viaggi. «In questo modo» continua Davolio «iniziamo concretamente ad innalzare lo standard etico dall’interno del sistema turistico di massa».
C’è poi la questione della certificazione. Come col termine ecoturismo, infatti, anche la definizione «turismo responsabile» è certamente soggetto ad abusi e mistificazioni e, a differenza del termine «biologico», non esiste una tutela internazionale. «Abbiamo aderito ad un percorso europeo per la certificazione» spiega Davolio, «con l’obiettivo di un marchio unico che possa avere un riconoscimento anche dalla stessa Unione europea».
Viaggiare al contrario
Resta la contraddizione di fondo che la maggioranza delle persone che viaggia proviene dai paesi più «ricchi»: infatti ancora l’85% dei viaggi viene compiuto dal 20% della popolazione mondiale. Anche in questo senso tuttavia si stanno creando delle alternative: da cinque anni Lo Spirito del Pianeta organizza un festival musicale a Bergamo, chiamando gruppi di musica etnica provenienti dalle aree più isolate e povere di paesi quali Burkina Faso, Messico, Niger, Perù. «Attraverso questi ingaggi si innesca un importante processo di autostima» afferma Davolio, «offrendo ai musicisti innanzitutto l’opportunità di viaggiare, ma anche di incontrare un pubblico entusiasta e di tornare a casa con dei soldi. Quando queste persone tornano nel proprio villaggio, diventano dei ‘miti’». «Questo può rappresentare spesso la difesa più efficace nei confronti dei falsi miti dell’Occidente» aggiunge Manuela Bolchini, che lavora per Lo Spirito del Pianeta, «ma è stata anche l’opportunità per concretizzare anche in questo contesto una forma di turismo responsabile. Attraverso la fiducia reciproca che si è instaurata, è nata infatti l’idea di invitare i gruppi che partecipavano al festival musicale a ricoprire il ruolo di guide per visitare il loro paese».
Questa forma di turismo più che mai richiede una doppia preparazione, visto che spesso i villaggi da dove provengono i musicisti invitati al festival sono isolati. Se quindi da una parte i viaggiatori devono essere informati di tutto quello che la cultura che visitano può comportare per evitare stereotipi ingenui, si deve preparare soprattutto chi riceve. «Quando siamo andati in Kenya per visitare il luogo dove poi dovevamo costruire il pozzo in collaborazione col villaggio» racconta la Bolchini, «nonostante per un mese avessimo detto a tutti i bambini che sarebbero arrivati questi ‘uomini bianchi’, quando sono arrivati c’era tutto il villaggio in lacrime, i bambini che scappavano e si nascondevano sotto le sottane della mamma».
E se si resta in Italia?
Turismo responsabile non vuole dire necessariamente andare nei paesi del Sud del mondo: è possibile mettere in pratica gli stessi principi restando nel proprio paese, o comunque in Europa. A questo proposito Aitr ha creato la «Carta Italia», dove si rilegge la Carta d’identità dei viaggi sostenibili tenendo conto delle differenze che ci sono nel contesto di un paese ad economia turistica sviluppata come il nostro. «In Italia non c’è per esempio la prostituzione infantile nel turismo» dice Davolio, «ma se allarghiamo lo spettro all’Europa dell’Est, troviamo già dei paesi con problemi più seri: lì il rapporto paritetico turista-residente è tutto da costruire. Nei Balcani o nel Caucaso ci sono ancora delle situazioni di debolezza – ricordiamoci che anche noi abbiamo una storia, nell’Ottocento eravamo un paese povero e venivano da noi con un atteggiamento altezzoso i turisti del nord Europa». «Fare turismo responsabile in Italia» precisa Jennifer Oberosler di Viaggi e Miraggi, «significa proporre un contatto diretto con le comunità del posto, le associazioni, gli agriturismi biologici; elementi importanti sono per esempio la riscoperta dei mestieri, dell’artigianato e della cucina, dei prodotti tipici, delle tradizioni».
Contagio vitale
Ormai si può affermare che il turismo responsabile sia una realtà affermata. Certo, si tratta ancora comunque di un’eccezione alle regole generali del turismo di massa. Questo da una parte può essere una maggiore garanzia della genuinità delle varie associazioni che promuovono questo tipo di vacanza: come con il biologico e il commercio equo, infatti, quando l’offerta si allargherà il problema principale sarà quello di garantire che certi principi siano osservati fino in fondo. L’augurio è che l’entusiasmo di chi opera nel settore, unito al contagio vitale che avviene tra le migliaia di persone che ogni anno si avvicinano a questo tipo di vacanza e la popolazione dei paesi visitati, contribuisca a creare un mondo concretamente più solidale, multiculturale e basato su principi di rispetto reciproco.
di Nicholas Bawtree

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