Luana Bramè, ex infermiera domiciliare decide di mollare tutto ed entrare a far parte dell’ecovillaggio Tempo di Vivere (MO). Proponiamo la lettura del testo scritto da Luana, tratto dal blog dell’ecovillaggio, perchè densa di vita, di sfaccettature genuine, autentiche, che aiutano ad immergersi nel “clima” di un cambiamento così radicale.
“Se negli anni ho imparato ad avere una certa cautela nel chiedere, unita all’accuratezza dei dettagli e alla giusta disposizione d’animo, non posso negare di esser rimasta spiazzata nell’ultimo anno per la puntualità con cui la risposta mi è arrivata, mi ha avvolta, mi ha travolta.
Tempo di Vivere.
Molto più di quanto avessi messo in conto di chiedere.
La carica, la rincorsa.. era da un po’ che la stavo prendendo, ma lo slancio in avanti, la spinta propulsiva senza ritorno è stato un corso di Cucina Crudista al quale senza esitare mi sono iscritta. Il fatto che non sapessi minimamente cosa fosse il crudismo è un’altra storia… Nello chef ho trovato quello che sarebbe poi diventato il mio compagno. Nella comunità ho trovato quella che a breve sarebbe diventata una frequentazione sempre più intensa, calorosa, nutriente, amorevole e di reciproco sostegno.
Un gruppo di persone in crescita, con dinamiche nuove per me e la grande volontà di mettersi in gioco, di vivere una realtà diversa in modo autentico, partecipando e coltivando un progetto comune nel rispetto della diversità, guardando nella stessa direzione.
Nel casale ho trovato quella che a distanza di un anno sarebbe poi diventata casa.
Un anno fa ero un’infermiera statale che sentiva stretto il proprio ruolo, una naturopata e Operatrice Shiatsu sulla linea dello start, una donna che coltivava sogni restando comodamente seduta su un divano bianco con penisola, con due gatte e una tisana, perfettamente adagiata in una comfort zone che a parole rinnegavo.
Avvicinarmi a Tempo di Vivere mi ha permesso di prendere in mano me stessa in un modo nuovo, accogliendo il sostegno di chi di settimana in settimana imparava a conoscermi e a vedermi via via più integrata in quella realtà.
Frequentando i tre livelli del Corso di Scollocamento ho trovato una nuova direzione, ho rivisitato le priorità della mia vita e ho man mano lasciato andare ciò che non mi era più utile, portando in luce nuovi obiettivi, ho iniziato ad affrontare le mie paure e a permettermi di chiedere aiuto, di mostrare me stessa per quello che sono, di offrire il mio dolore, di accogliere e di essere accolta.
Per un anno intero Montichiari mi ha vista lasciare il fiume Chiese alla volta del Panaro, decine di venerdì a percorrere la stessa strada ogni volta con un assetto diverso, sempre più vicina col cuore a quella collina e sempre più chiara in me la decisione, sempre più vicina a “saltare il fosso”.
La lettera di dimissioni da quello che per tanti anni è stato il lavoro dei miei sogni l’ho presentata a inizio agosto. L’impatto non nego sia stato forte, così come lo è stato il 30 settembre alle ore 16 timbrare per l’ultima volta il cartellino e col cuore in gola salire le scale per riconsegnare il badge nell’ufficio del coordinatore. Per mesi mi ero immaginata la sensazione di leggerezza che avrei provato nel concretizzare quel momento.
E invece no. Niente leggerezza.
Un senso di smarrimento e di vuoto hanno preso il sopravvento e mi hanno accompagnata negli ultimi miei giorni di vita a Montichiari.
Quello è stato il primo dei doni che ho fatto ai miei comunardi.
Quel mio sguardo smarrito, la mia voce incerta, le mie paure nell’approdare qui.
Vivere in comunità permette questo.
Mi permette di lasciare andare, di mostrarmi e di alzare gli occhi verso questi nuovi amici e trovare commozione, conforto, sostegno, presenza.
A distanza di un mese e mezzo da quel viaggio con l’auto per la prima volta ingombra di oggetti quadri lampade libri e vasetti, indumenti e scatoloni, cianfrusaglie colorate e piccoli ricordi che risuonano di sacro e due deliziose miciotte spaventate e miagolose, la mia vita qui inizia a prendere forma, ad arricchirsi di sorrisi e progetti, a conoscere e farmi conoscere anche nella meravigliosa e nutrita quantità di difetti e rigidità su cui sto lavorando.
Che dire…Buona fortuna, comunardi cari!”