Cohousing: il futuro dell’abitare collaborativo urbano in Trentino
homepage h2
Un grande risultato, ottenuto grazie all’opera di sensibilizzazione di un gruppo di cittadini ed esperti di Cohousing Trentino e al prezioso sostegno del Consigliere Provinciale e sociologo Alex Marini.
Un primo passo in tale direzione era già stato fatto a fine del 2019, con l’approvazione di alcuni emendamenti alla legge provinciale 7 novembre 2005 n. 15, “Disposizioni in materia di politica provinciale della casa e disciplina degli interventi provinciali in materia di edilizia abitativa”, seguendo la programmazione tracciata a livello internazionale dall’Agenda 2030. Recentemente, a dicembre del 2021, un ulteriore passo è stato compiuto con la redazione dei criteri attuativi da parte della pubblica amministrazione, che attraverso questa misura mira a promuovere la coesione sociale e a fare del welfare di comunità.
«In sostanza, questo frame giuridico consente di dedicare dei fondi pubblici al risanamento e alla ristrutturazione di immobili al fine di renderli idonei all’uso da parte di comunità abitative che perseguono l’intento di abitare in modo collaborativo», ha sintetizzato Cinzia Boniatti, sociologa, fondatrice di Cohousing Trentino e responsabile per la Rete Italiana Cohousing della proposta di legge nazionale per il riconoscimento giuridico delle comunità intenzionali.
Se un 50% della realizzazione di un Cohousing dipende dall’immobile, adeguato alle esigenze dell’abitare collaborativo e quindi con un buon bilanciamento fra spazi di privacy e spazi comuni, l’altro 50% è costituito dal tessuto relazionale, tutto da costruire per la realizzazione di una comunità intenzionale.
«L’arte del vivere assieme non è da dare per scontata.», ha spiegato Boniatti. «Basta guardare alle liti condominiali. Non sappiamo vivere bene insieme. Un po’ a causa della cultura competitiva e individualista in cui siamo immersi, e un po’ perché nessuno ci ha insegnato a prendere decisioni consensuali, a praticare un ascolto attivo ed empatico, o ancora, a praticare una buona gestione del conflitto.
L’esperienza e la letteratura ci insegnano che, pur con le migliori intenzioni, su dieci progetti bottom up di abitare collaborativo, nove falliscono. Una percentuale alta, che fa emergere l’esigenza che l’acquisizione delle competenze sociali sia resa una parte imprescindibile del processo di nascita di un Cohousing. Il metodo CLIPS (Community Learning Incubator Programme for Sustainability), maturato dall’esperienza delle varie realtà che compongono il GEN (Global Ecovillages Network), rappresenta un insieme di strumenti molto preziosi in tal senso, che Cohousing Trentino ha già avuto modo di fare propri».
«Con questi emendamenti e i criteri attuativi abbiamo fatto tanto e la Provincia Autonoma di Trento potrebbe diventare la best practice alla quale fare riferimento in Italia», ha evidenziato Boniatti. «A nostra volta, però, dobbiamo continuare a guardare alle best practice europee. È fondamentale, per esempio, non selezionare individualmente attraverso bando le persone da inserire nel Cohousing. Serve invece un percorso formativo che agevoli la creazione di una comunità intenzionale solida, altrimenti il modello dell’abitare collaborativo in Cohousing rischia di trasformarsi in un condominio, con le stesse liti e difficoltà abitative. Siamo nell’ambito dell’innovazione sociale, e anche i criteri di selezione da adottare devono essere a loro volta innovativi.»
Fra le esperienze a cui guardare, Boniatti cita quella di Amsterdam. «Il Dipartimento delle Politiche Abitative di Amsterdam è eccellente nel fare rigenerazione urbana. Parallelamente alla ristrutturazione dell’immobile, infatti, attivano un team che si occupa di agevolare la ricerca delle persone e di delineare un processo formativo con dei facilitatori», racconta.
Uno dei Cohousing nati in questo modo è quello di Vrijurcht. Progettato in maniera partecipata, intepellando le 53 famiglie che vi sono andate ad abitare, oggi ha all’interno della struttura un asilo nido, un teatro, un centro velico per le canoe e una caffetteria.
«La caffetteria all’inizio era pensata per il cohousing», spiega Boniatti, «ma nel tempo è diventata un punto di riferimento per il quartiere e poi per la città, perché offre un bell’ambiente e una buona cucina. Così attraggono e sono economicamente sostenibili. Attorno al teatro, invece, ora gravitano varie compagnie teatrali. Nel tempo, poi, è nata un’officina comune per le manutenzioni, con utensili e falegnameria, perché presto o tardi tutti avevano bisogno di fare dei lavori in casa.»
Permeabile, pulsante, vivo, il Cohousing è diventato un hub per il quartiere, la città e oltre.
«Riuscissimo a creare anche in Trentino una sperimentazione così sarebbe già entrare a pieno nel futuro dell’abitare collaborativo», ha concluso Boniatti.