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Comunità, regole, fiducia e responsabilità: l’emergenza Coronavirus osservata con le lenti CLIPS

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In un momento di allarme e incertezza come quello attuale, riportiamo lo spunto di riflessione su ciò che sta accadendo proposto da CLIPS ( Community Learning Incubator), che ha lavorato sul senso della costruzione di comunità per restituirle la sua funzione sociale.
Comunità, regole, fiducia e responsabilità: l’emergenza Coronavirus osservata con le lenti CLIPS
Il CLIPS ( Community Learning Incubator) è un programma di “incubazione” di iniziative sostenibili, elaborato per sostenere gruppi nel percorso di creazione di comunità intenzionali e progetti collettivi, così come per supportare realtà già esistenti che abbiano bisogno di rafforzarsi, rinnovare il proprio intento, strutturarsi meglio o semplicemente migliorare le proprie relazioni.
«È stato ideato un modello che identifica 4 elementi di base che costituiscono lo scheletro dello stare insieme, per costruire un progetto comune: INDIVIDUO, COMUNITÀ, INTENTO, STRUTTURA – spiegano i promotori – Vediamo come possiamo analizzare quello che sta accadendo alla comunità umana in questo tempo così straordinario, attraversando le 4 dimensioni del modello CLIPS. Lo faremo senza la pretesa di offrire soluzioni, ma con l’intento di aprire spazi di riflessione che possano mettere luce su alcuni aspetti dai quali, forse, possiamo far emergere nuove consapevolezze».

INDIVIDUO

Si legge in una nota CLIPS: «Questo tempo di isolamento forzato, rispetto al mondo, ci offre l’occasione di porci molte domande, a noi sono venute in mente queste:
  • Quanto sono abituata/o a stare da solo con me stessa/o, a non fuggire dalle mie emozioni, ad ascoltarmi e capire cosa vogliono dirmi?
  • Quanto sono connessa/o con me stessa/o e con i miei sogni?
  • Quanto la vita che stavo vivendo prima di questo tempo è in linea con i miei desideri?
  • Quanto mi sento realizzata/o dal punto di vista sociale e personale?
  • Come mi fa sentire essere padrona/e del mio tempo (avere la possibilità di scegliere quando e cosa mangiare, quanto tempo dedicare alle mie attività quotidiane: chiacchierare, studiare, leggere, fare le cose ad opera d’arte, dedicarmi al corpo, nutrire lo spirito…)?
  • Se ripenso alla vita che facevo prima: ho davvero voglia di tornare a quei ritmi? Cosa realmente mi manca, delle cose che non ho?
  • Quali sono i miei bisogni reali e quali sono stati indotti dalla società, dai mass media, dal ritmo frenetico della mia “vecchia vita”?
  • Possiamo cogliere questo tempo per capire come ci relazioniamo con il tema della morte, magari provando a esorcizzare questo che è, forse, il tabù più grande della nostra cultura, e  anche uno dei motori che più ci spinge a creare comunità. Cosa sento se penso alla mia morte? E se penso alla morte delle persone a me care?
  • Che rapporto ho con le mie paure più intime? quali sono?
  • Cosa posso “praticamente” fare per migliorare la mia vita e sostenere chi mi sta accanto in questa stessa ricerca?».

INDIVIDUO e COMUNITÀ

«Osservare come le diverse comunità, e più in generale la comunità umana, stanno reagendo a questa sfida può essere molto interessante – proseguono da CLIPS – Cerchiamo di farlo, per quanto ci è possibile, sospendendo il giudizio, e sviluppando curiosità. Quali informazioni possiamo apprendere sullo stare insieme? Ad esempio, questo tempo ci può aiutare a comprendere come individuo e comunità siano interconnessi: prendendosi cura della nostra salute ci stiamo prendendo cura della comunità. Così potremmo pensare che lavorando su di noi, “bruciando” quella che il processwork chiama la ‘propria legna’, stiamo facendo un servizio per tutta la comunità. In particolare ci piacerebbe porre l’attenzione su tre elementi: la paura, la responsabilità e la fiducia. Quali dinamiche si stanno manifestando?».
«La tendenza ad attribuire colpe e responsabilità alle altre persone si manifesta in maniera più estrema in questo tipo di situazioni, e questo va a minare il senso di comunità. Sentirsi ad esempio dalla parte dei “buoni”, di quelli che rispettano le regole, ci fa stare bene; allo stesso tempo percepire nemici intorno a me non mi permette di sentirmi parte di una comunità.
  • Mi isola.
  • Mi fa sentire in pericolo.
  • Genera paura.
  • Avere fiducia che il mio vicino stia facendo di tutto per prendersi cura della situazione genera unione e cooperazione; non avere fiducia e pensare che sia un irresponsabile genera ansia, rabbia e divisione.
Al tempo stesso possiamo riflettere sul senso di responsabilità. Acquisire consapevolezza sull’impatto che le mie azioni hanno sulle altre persone e sul mondo, mi rende capace di misurare e stabilire un confine fra le azioni che appartengono alla cura personale, al sano diritto di sentirsi bene, e quelle che potrebbero innescare una catena di conseguenze dannose per la comunità. In questo tempo il confine è molto labile, e questo ci costringe a porre una grande attenzione e a lavorare sulle nostre zone di confort».

INTENTO

«In questo momento per la maggior parte delle persone l’intento collettivo più forte corrisponde probabilmente alla cura della comunità, delle persone più deboli, di chi si sta mettendo in prima linea per solidarietà, senso civico, missione di vita» prosegue la nota della Community Learning Incubator, che pone questi interrogativi:
  • Siamo realmente tutte e tutti allineati su questo intento?
  • Siamo allineati sugli strumenti e le modalità per perseguire questo intento?
  • L’informazione che circola è coerente con quanto sta accadendo, è chiara e trasparente?
  • Abbiamo fiducia nelle istituzioni e negli attori maggiormente coinvolti nell’emergenza?
  • Possiamo chiederci, ad esempio, quali siano i privilegi personali che si stanno manifestando in questa situazione: non appartengo alle fasce considerate maggiormente a rischio, sono in buona salute, vivo in campagna, ho una famiglia numerosa, vivo in comunità…
  • E ancora ritorniamo allo stesso tema: stare in comunità o no, quanto ti senti interconnesso con la tua famiglia o con la tua comunità di riferimento, quanto si sta realmente agendo come comunità?
  • Qual è il mio intento personale?
  • Per me stesso e per sostenere la mia comunità? Un intento chiaro e forte può smuovere le maree e, oggi più che mai, potrebbe essere un alleato essenziale per portare avanti con determinazione e coraggio le nostre scelte, le nostre azioni, i nostri progetti».  

STRUTTURA

«Riflettere sulla struttura, oggi, ci fa immediatamente pensare alle regole. Come ci insegna l’esperienza di vita comunitaria per essere sostenibili nel tempo e permettere ad un gruppo di fiorire nel proprio intento, più che di regole si dovrebbe parlare di accordi, concertati, condivisi, costruiti ad hoc per rispondere ai bisogni e all’intento del gruppo – proseguono da CLIPS – La struttura include vari altri elementi, come ad esempio l’economia, la struttura giuridica, la governance, per essere funzionale alla collettività deve avere maglie non troppo strette, perchè ciò soffocherebbe l’azione e l’espressione dell’individuo e del gruppo, e al tempo stesso non troppo larghe, per non disperdere l’energia del gruppo ed il suo intento, portando al caos e dell’inconcludenza, mettendone a repentaglio la sicurezza».
«A questo proposito la metafora del tessuto è sempre illuminante: la trama, ossia i fili orizzontali, si intersecano nell’ordito, i fili verticali. La trama crea il disegno, mentre l’ordito è la struttura che la sostiene. Se l’ordito è troppo rigido, sarà molto difficile, a volte impossibile, intersecare la trama. Se l’ordito è troppo morbido, la trama dopo un poco crollerà perdendo la possibilità di mostrare al mondo tutta la sua bellezza. L’arte del tessuto può essere paragonata all’arte di creare strutture e accordi condivisi che permettano a una comunità di esprimere tutto il suo potenziale».
«Guardando la situazione estrema che stiamo vivendo, vi sembra che i decreti legge e le direttive del governo siano vicini a tale equilibrio, seppur nei limiti del realismo? Le maglie vi sembrano troppo strette e troppo limitanti della libertà individuale al punto da spingervi a evadere le regole? O credete che siano troppo larghe e che non riescano a indirizzare i comportamenti delle persone, al punto che vi sentite minacciate/i? Ovviamente l’urgenza esaspera le tendenze culturali, proprio per questo il tempo che stiamo vivendo può essere così rivelatore».
E ancora: «La comunità stabilisce delle regole al fine di prendersi cura del collettivo.
  • Possiamo chiederci se davvero abbiamo questa percezione della realtà e, nel caso di una risposta negativa, possiamo cercare di comprendere perché, cosa sta mancando?
  • Come ci sentiamo quando le regole arrivano dall’alto, quando qualcuno decide per tutte e tutti?
  • Come reagiamo alla sensazione di abuso, di limitazione della nostra libertà personale?
  • Come ci sentiamo davanti all’impotenza e alla mancanza di “controllo” su noi stessi, sulla situazione e sugli altri?
  • Come mi sento io dentro una struttura che non ho deciso/creato io?
  • Quanto, all’interno delle regole che sono state imposte in questo momento, vengono contemplate tutte le diversità di interessi/bisogni? (vogliamo mettere l’attenzione in particolare su alcune delle parti più deboli della comunità: i bambini, le persone con problemi mentali, persone che vivono situazioni di violenza domestica, etc).
  • Come ti fa sentire tutto questo?».
«Questi sono gli spunti di riflessione che sono emersi guardando questo momento con gli occhiali del CLIPS, molti altri ce ne potrebbero essere e ce ne saranno via via che questa situazione andrà evolvendo. Il nostro auspicio, in questo periodo straordinario e sfidante, è di fare tesoro di questo preziosissimo tempo, accogliendo, osservando e ascoltando le paure, senza però cedere allo sconforto. Vi auguriamo di prendere in mano la vostra vita e il vostro tempo, di nutrire fiducia e coraggio, di diventare attori protagonisti della vostra piccola o grande comunità.  Ce n’è bisogno, ora più che mai».

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