Contro lo spreco alimentare: ecco cosa possiamo fare!
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Lo studio, finalizzato ad analizzare i dati disponibili mondiali, europei e italiani per definire le dimensioni e gli effetti ambientali e sociali dello spreco alimentare, fornisce una visione sistemica che evidenzia le connessioni socio-ecologiche in termini di effetti ambientali e consumi di risorse, sicurezza e sovranità alimentare, bioeconomia circolare. Inoltre esso contiene un vasto insieme di proposte di prevenzione a tutti i livelli, dalle istituzioni ai produttori ai cittadini.
Giulio, nella ricerca affermi che “lo spreco è a tutti gli effetti il sintomo della disfunzione dei sistemi alimentari”. Puoi spiegare qual’è il dato più evidente di questa disfunzione?
La tendenza globale suggerisce che a lievi aumenti del fabbisogno medio si risponde con eccessi di produzione, fornitura e consumi, generando aumenti esponenziali di spreco. Laddove calano la produzione e le forniture per i paesi sviluppati, anche gli sprechi scendono. Ciò mostra che tra le cause principali di spreco vi sono la sovrapproduzione, la sovra offerta, il sovra consumo. Questa osservazione porta inevitabilmente a chiedersi quale impatto ambientale può portare questo atteggiamento: il risultato è che per esempio, in Italia, l’impronta ecologica dello spreco alimentare impiega circa il 50% della biocapacità (1) del paese. La malnutrizione e l’obesità sono in rapido aumento e crescono anche la difficoltà di accesso al cibo e le disuguaglianze. L’Italia è in condizioni di non autosufficienza alimentare: con un consumo di suolo agricolo/naturale e un abbandono rurale in continuo aumento, un deficit di suolo agricolo che è il 5° più grande nel mondo, un tasso di auto-approvvigionamento alimentare inferiore all’80% e per alcune produzioni sotto il 50-60%. Esiste il rischio che l’attuale impostazione politica trasformi in permanenti misure che dovrebbero essere emergenziali o limitate (come l’efficienza tecnologica, il recupero e il riciclo), rendendo implicitamente necessaria la formazione di eccedenze, non affrontando alla base i problemi di disuguaglianza e gli stili di vita non sostenibili. Per esempio, se i prezzi alimentari incorporassero i costi ambientali e sociali e se i sussidi fossero distribuiti diversamente, si avrebbe una netta riduzione dello spreco alimentare.
Credo che sia molto importante focalizzare l’attenzione su obiettivi di autosufficienza alimentare e sviluppo autosostenibile coordinato di sistemi alimentari locali resilienti. L’autonomia alimentare è necessaria per evitare gli effetti che legano lo spreco agroindustriale all’insicurezza alimentare nei paesi in sviluppo e nelle fasce a minor reddito. Gli sprechi sono molto inferiori in filiere alimentari corte, locali, ecologiche, solidali e di piccola scala rispetto ai sistemi convenzionali. Le filiere corte, biologiche e locali abbattono i livelli di perdite in tutte le fasi precedenti al consumo finale fino a solo il 5%, quando normalmente tali livelli sono tra il 30 e il 50%. Le reti alimentari solidali di piccola scala, come l’agricoltura supportata da comunità (CSA), riducono le perdite e gli sprechi complessivi fino al 6,7% rispetto al 55,2% dei sistemi alimentari centrati sulla grande distribuzione organizzata, dalla produzione al consumo. Chi si approvvigiona solo tramite reti alternative spreca in media il 90% in meno rispetto a chi usa solo canali convenzionali. Le prestazioni ambientali e sociali di questi sistemi sono di gran lunga più efficaci rispetto ai sistemi industriali. È necessario creare “ambienti abilitanti” intorno alle reti solidali, incentivandole, risolvendo i condizionamenti socio-economici e le disuguaglianze che limitano lo sviluppo di capacità autonome della società civile e della piccola produzione ecologica.
Nelle filiere corte, locali e biologiche, come la vendita diretta, i mercati degli agricoltori, lo spreco è mediamente 3 volte inferiore a quello dei sistemi convenzionali; in reti alimentari ancor più capillari, su base ecologica, locale, solidale e di piccola scala, lo spreco arriva a essere circa 8 volte inferiore. Rispetto all’agricoltura industriale nelle fattorie agroecologiche su piccola scala, la produttività di medio-lungo periodo è maggiore del 20-60%. La loro efficienza nell’uso delle risorse a parità di condizioni è più elevata di 2-4 volte. È evidente la relazione inversa tra dimensioni delle aziende agricole e produttività (e minori perdite) a parità di unità produttiva, al netto dell’incidenza delle variabili macroeconomiche. Nel mondo la piccola agricoltura contadina è responsabile di una quota della produzione complessiva che arriva fino al 70%, avendo a disposizione circa un quarto delle terre coltivabili ed è più durevole e stabile, fornisce prodotti di qualità molto più elevata e diversificata in nutrienti. Le reti alimentari alternative hanno caratteristiche che vanno incentivate e propagate, come la resilienza, la stabilità, la durata, l’autosostenibilità, l’autonomia, la diversificazione, l’autoregolazione. Alcuni primi studi mostrano che esse avrebbero il potenziale per coprire la domanda alimentare dei singoli paesi.
È necessario passare dalla lotta allo spreco alimentare mediante assistenza sociale, alla costruzione di comunità e sistemi alimentari locali resilienti. Strutturare adeguate politiche socio-economiche partecipate e riconoscere il diritto al cibo come bene collettivo garantendo la sicurezza alimentare e recuperando le radici naturali e culturali del valore del cibo. È necessario evitare la mercificazione e la spettacolarizzazione del cibo in cui le alterazioni dell’uso simbolico lo rendono un bene di status posizionale, generano disuguaglianze, stimolano stili di vita insostenibili e creano spreco. È necessario spostare l’attenzione dal recupero e riciclo delle eccedenze alla prevenzione strutturale per ridurne a monte la formazione. Introdurre incentivi per promuovere forme di produzione ecologica, la diffusione dell’educazione alimentare, il sostegno ai canali alternativi, sono misure urgenti che necessitano anche di essere sostenute da parte dei governi nazionali e locali. Nella mia ricerca potete trovare molte altre proposte di prevenzione e i loro possibili sviluppi per una strategia complessa che garantisca resilienza ecologica e sociale trasformando strutturalmente i sistemi alimentari. È necessaria una progettazione paritaria a livello globale, l’attuazione con forme locali, coordinate, diversificate e cooperanti di autonomia e governo inclusivo e partecipato dei beni comuni, superando eventuali “trappole del localismo” e basandosi su una razionalità in grado di bilanciare valori etici e conoscenza “strumentale”.
Entrare in relazione con i produttori, scoprire la provenienza e l’origine delle merci, informarsi sulle conseguenze, personali e globali, di ciò che si acquista e si consuma: vivere senza supermercato significa tutto questo e molto altro ancora. Significa fare una spesa ecologica, consapevole e responsabile, dando un nuovo valore ai propri gesti e un peso diverso ai propri soldi. Significa cambiare stile di vita e modo di pensare.
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L’Italia di Genuino Clandestino, una rete di agricoltori e artigiani che hanno creato negli anni un mercato alternativo per affermare con il loro lavoro l’autodeterminazione alimentare e il valore della produzione locale di qualità.
Partiti da Monteombraro, nel modenese, gli autori hanno percorso l’Italia in lungo e in largo fino a Ramacca, in provincia di Catania: hanno visitato aziende agricole e laboratori artigianali, hanno dormito sotto il tetto dei protagonisti di questa rivoluzione, mangiando e lavorando con loro per riportare su queste pagine un quadro autentico di volti, gesti e scelte coraggiose di chi lotta per ricordare a noi tutta la necessità di un rapporto più diretto e consapevole con la terra e il cibo. Continua a leggere…