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Ecovillaggi, cohousing e comunità: cresce l’attenzione per queste formule abitative

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Quanto è attuale oggi pensare alla soluzione abitativa dell’ecovillaggio, del cohousing o comunque della comunità intenzionale? Sono in molti a porsi questa domanda. Ne parliamo con Francesca Guidotti, già presidente della Rive (Rete Italiana Ecovillaggi) e autrice del libro “Ecovillaggi e cohousing”.
Ecovillaggi, cohousing e comunità: cresce l’attenzione per queste formule abitative
Quanto è attuale oggi pensare alla soluzione abitativa dell’ecovillaggio, del cohousing o comunque della comunità intenzionale? Ne parliamo con Francesca Guidotti, già presidente della Rive (Rete Italiana Ecovillaggi) e autrice del libro “Ecovillaggi e cohousing”.
Ci sono vantaggi concreti e materiali e anche vantaggi relazionali che possono derivare da questa scelta?
«Oggi più che mai risulta essere una possibile opzione abitativa. La pandemia ha dimostrato il limite delle soluzioni abitative cittadine e molte persone hanno preso coscienza del vantaggio che può dare vivere in un ambiente che offre allo stesso tempo una maggiore libertà di movimento, fosse anche solo una passeggiata nei campi, e una socialità che non può subire il distanziamento. Parallelamente é risultata sufficientemente buona, per molte professioni, la possibilità dello smart working e di conseguenza, solo una necessità saltuaria di andare in ufficio. A questo si aggiunge l’inquietudine dell’approvvigionamento delle risorse energetiche e alimentari verso le quali il gruppo può avere una capacità di risposta più incisiva del singolo».
Qual è la differenza tra ecovillaggio, cohousing e altre modalità di comunità intenzionale che oggi vanno sviluppandosi?

«L’ecovillaggio si caratterizza per l’alto grado di condivisione e un ripensamento a 360° dello stile di vita. Spesso ubicato in campagna, presenta una spiccata identità costantemente definita da processi decisionali collettivi. Aderire a un ecovillaggio significa prima di tutto aderire a una visione che si intende perseguire attraverso obiettivi condivisi. Solo in seconda battuta per soddisfare il bisogno di vicinanza umana e risparmio economico. Per questo la sensazione che si ha visitando ecovillaggi é di alta coesione (nonostante le difficoltà che normalmente ci sono). L’economia prevede sempre almeno un minimo grado di condivisione (cassa comune) e il lavoro può essere svolto nella comunità o al di fuori di essa. Di solito, al membro della comunità è richiesta la residenzialità e un percorso di ingresso nella comunità, mentre la possibilità di fare esperienza per un breve periodo é piuttosto semplice ed accessibile in varie modalità (attraverso il volontariato). Il cohousing, invece, si caratterizza per l’ubicazione tipicamente cittadina e un maggiore grado di autonomia decisionale rispetto al gruppo. Nella maggior parte dei casi, ma non tutti, il gruppo procede all’acquisto dell’edificio atto a ospitare appartamenti di proprietà e spazi comuni. In alcuni cohousing si gestisce collettivamente anche la spesa alimentare, a volte i mezzi di trasporto, un servizio di “scuolabus” o altro, a seconda delle esigenze. Ognuno mantiene la propria economia e lavoro a meno che non scelga di fare diversamente. Se da un lato gli abitanti condividono una sensibilità ecologica e un’attitudine alla relazione, non é detto che condividano la stessa Visione o una particolare identità. Più spesso é la capacità di acquisto del singolo che ne determina l’appartenenza o i requisiti richiesti (ad esempio alcuni cohousing in affitto promossi da enti pubblici). Il condominio solidale, nell’accezione data da una dei suoi principali promotori, è comunità e famiglia, ha caratteristiche più simili all’ecovillaggio in termini di identità e al cohousing rispetto alla tipologia di abitazione. Esiste poi un nuovo modello di coabitazione che non definirei come comunità intenzionale (poiché questo termine indica una precisa volontà di cambiare vita, in un progetto a medio-lungo termine) ma che a mio avviso rappresenta un “ponte” per chi é totalmente digiuno dalla vita comunitaria e vuole concedersi un’esplorazione non radicale. Il coliving é solitamente una proprietà che dispone di stanze o mini appartamenti in affitto per periodi medio brevi (solitamente da una settimana a sei mesi ma accordandolo, in alcuni luoghi si può stare anche di più) con spazi comuni quali la cucina, la sala multiuso, il co-working. Attualmente chi frequenta i coliving sono principalmente i cosiddetti “nomadi digitali” tra i 25 e i 45 anni ma non solo. Obiettivo del coliving é generare uno comunità temporanea in cui sperimentare processi decisionali partecipativi, co-creare momenti di socialità condividendo talenti e competenze e in alcuni casi, prendere confidenza con l’ambiente rurale. Per il resto, ognuno resta indipendente dagli altri rispetto alla gestione del proprio tempo, lavoro, economia. La definizione di queste esperienze é utile per orientarsi in un “mondo” relativamente nuovo e in continua evoluzione. Ogni esperienza, però, può sfumare dall’una all’altra forma in base alla volontà di chi la anima: nessun modo é più giusto o sbagliato di un’altro. Dipende da ciò che si vuole».

C’è un aumento di interesse che riscontri nei confronti di queste scelte? Se sì, secondo te perchè e quali sono le formule che attraggono di più?
«L’interesse é cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni. Aggiungo che la ricerca di senso e l’ecoansia che caratterizzano in particolare le nuove generazioni, spingono fortemente a ricercare questo tipo di soluzione per il prossimo futuro. L’ecovillaggio attrae molto perché ha una capacità di risposta ai problemi più ampia e il senso di famiglia allargata che trasmette é molto ambito. Allo stesso tempo spaventa, c’è ancora l’idea che possa essere un po’ coercitivo e che il singolo sparisca inghiottito dall’entità collettiva e i suoi leader. Per fortuna non é così sebbene l’entrata in ecovillaggio richieda un percorso interiore individuativo consistente prima di farne parte. Senza di esso possono nascere incomprensioni e guai. Per questo la maggioranza delle persone é più orientata al cohousing perché permette maggiore discrezionalità individuale, scegliendo il livello di condivisione col gruppo di volta in volta».
Quali sono le difficoltà che si possono incontrare e quali i vantaggi e le possibili soddisfazioni del vivere in un ecovillaggio?
«La più grande difficoltà é l’intensità con cui la vita di gruppo ti chiede “di fare i conti” con te stesso. Una comunità che prende decisioni su tanti aspetti di vita e condivide la quotidianità richiede un esercizio di presenza e di scelta consapevole costante. É un acceleratore pazzesco di processi interiori e riflette le luci e le ombre di ciascuno. É un amplificatore e talvolta un frullatore che può risultare molto faticoso ed energivoro. Ma anche trovare il proprio tempo di ricarica e il proprio spazio personale é un sano e necessario esercizio. E quando riesci ad accogliere ciò che c’è come un’opportunità di apprendimento, il nutrimento che ne ricavi é impagabile. E la profondità di relazione, estremamente appagante».
Gli errori da evitare se si vuole avviare un progetto di questo tipo?
«Pensare di sapere come si fa. Che le esperienze e le formazioni fatte in passato saranno sufficienti. Che se il sogno é bellissimo qualche energia divina lo realizzerà. Che se si hanno i soldi o la proprietà il più é fatto. Pensare che siamo tutti uguali. Che posso fondare una comunità senza averne mai visitata una. Che noi ce la faremo perché abbiamo delle competenze eccezionali. Pensare di potercela fare sempre da soli».
E quelli da evitare se si vuole entrare a far parte di un progetto già esistente?
«Cercare il luogo “giusto”, con le persone “giuste”, con le idee “giuste”. Portare una critica senza un lungo tempo di osservazione, raccolta di informazioni e aver posto la domanda: “come mai avete fatto questa scelta?”. Essere motivati solo da bisogni materiali o affettivi. Restare attaccati a credenze e abitudini del passato: “sono così”, “ho sempre fatto così”, “questo é il modo”, “non potrei mai…”. Rendere invalicabili i propri limiti o non metterne affatto».
Un messaggio per chi è interessato a fare questa esperienza?
«Invito chiunque voglia intraprendere questo percorso ad avere un atteggiamento aperto, curioso, esplorativo, sperimentale. La coabitazione non é solo una risposta a un bisogno materiale ma l’ambizione a un cambiamento per essere più felici. L’importante è avere coscienza dei processi di gruppo che si susseguono (come siamo arrivati a questo punto?) e della cura delle relazioni, in particolare nei momenti di conflitto e di fragilità. In quest’ottica, il “fallimento”di un progetto é solo un passaggio denso di informazioni, non una perdita. In una città vicina a casa mia si dice “non si nasce imparati”. E io aggiungo: tanto meno quando stiamo percorrendo una strada inedita e trasformativa, dove il valore é provarci, valutare insieme e aggiustare la rotta. Siate indulgenti, con voi stessi e con gli altri». 
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