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Ecovillaggi: la comunità si fa in profondità

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Gennaio e Febbraio sono due mesi che possono mettere in difficoltà chi vive in comunità. Le fredde giornate d’inverno e le lunghe ore trascorse al chiuso tra le mura di casa creano frizioni che fanno spesso emergere conflitti, disagi e rabbia. Quale miglior occasione per scendere in profondità con i propri compagni di viaggio?
Non so se capita anche a voi ma da quando ho scelto la vita di comunità in ecovillaggio mi sono accorta che Gennaio e Febbraio sono i momenti più difficili dell’anno. L’inverno sembra non finire mai, le lunghe giornate trascorse dentro le mura di casa o in generale al “chiuso” cominciano a starmi strette, come anche la stretta vicinanza con le persone con cui voglio, e a talvolta devo, condividerle. In questo periodo dell’anno che suggerisce, e a volte impone, di stare a stretto contatto con gli altri e con se stessi, tutte le “punte degli iceberg” che albergano la mia interiorità vengono a galla e si manifestano attraverso comportamenti insofferenti, pensieri ricorrenti, sensazioni di disagio.
Per dirla alla Freud, per “iceberg” intendo tutti quei comportamenti strettamente connessi alla rabbia o al dolore che si rivelano in modo cosciente solo per una piccola parte mentre la parte più sostanziosa del problema è “sommersa” dentro di noi e risulta molto difficile da vedere, indagare, ammettere, comprendere.
Questo periodo dell’anno sveglia con forza dentro di me tutti quegli argomenti che sento importanti ma di cui è difficile parlare, mi porta ad ostentare uno stato d’animo che è chiaramente opposto alle emozioni che provo e mi conduce ad estremizzare l’insofferenza che ho verso certi comportamenti delle persone intorno a me.
Ho provato a spingere gli iceberg sotto l’acqua ma non serve a niente, perché la loro natura è quella di galleggiare e ogni tentativo oltre che vano, risulta solo un enorme spreco di energie.

Il percorso comunitario dona dei momenti bellissimi di unione e appartenenza, leggerezza e conforto, solidarietà e collaborazione. Ma dona tanta bellezza quanta difficoltà. L’ecovillaggio è un moltiplicatore e acceleratore dell’emersione di iceberg: l’incontro con l’altro è quotidiano e la relazione è inevitabile; provate a pensare a quante possibilità ci sono di incomprensione, di dubbio, di riapertura di vecchie “ferite”. I “non detti” sono mostriciattoli invisibili che si stratificano con una tale rapidità che spesso finiscono per esplodere in una furiosa tormenta di neve.
Nella mia esperienza, la fine dell’inverno o dopo un periodo molto denso di attività e di accoglienza prolungata di numerose persone, quando il tempo di riposo e lo spazio di intimità vengono estremamente ridotti, è il momento più fertile per l’arrivo della tempesta. Grazie al percorso nella mia comunità, la Torre di Mezzo, e nella comunità allargata della Rete italiana villaggi ecologici – Rive, ho scoperto che mantenere una costante attenzione su come ci si sente e darsi un tempo per esplorare insieme ai propri compagni di viaggio l’interiorità, guardando anche i lati in ombra, è come mettersi il salvagente: non aiuta ad evitare il pericolo ma tiene a galla quando si finisce in acque sconosciute e tempestose. Quelle acque in cui ci troveremmo a navigare comunque nella vita, sia scegliendo di vivere in famiglia o da single, a cui nessuno può sfuggire.
La bellezza della vita comunità, per me, sta proprio nell’avere accanto delle persone che vogliono vedere insieme a te che cosa c’è sotto la fine linea di superficie del mare, che non si spaventano davanti all’iceberg con reazioni di rifiuto o cieca accoglienza assistenzialista, che minimizza il problema. Per demolire i piccoli e grandi iceberg, formati attraverso lo stratificarsi di situazioni di disagio, frustrazione, rabbia e “non detti”, è necessario mettere tutti insieme la testa sotto l’acqua e scendere nel profondo del mare per andare a vedere dove tutto questo ha origine. Come potrete immaginarvi l’operazione non è facile ed è ad alto rischio, nuotare in acque gelide ci fa tremare dalla testa ai piedi e può provocare dolore. E non lo si può fare indossando bermuda o bikini, probabilmente c’è bisogno di una muta speciale o di una nave rompighiaccio con qualcuno che la sappia guidare.
In Rive e nella mia comunità, ci stiamo sempre più affidando alla pratica della condivisione profonda e, laddove le acque sono troppo ostiche, ci rivolgiamo a chi ha strumenti ed esperienza di comunità per navigarle.

Dall’inizio dell’anno mi sono fatta accompagnare in quattro momenti nell’immersione interiore e mi sono affidata a qualcuno che poteva aiutarmi a stare nella profondità. E navigando, ho imparato a conoscere il punto in cui “scavallo” da uno strato superficiale a quello profondo: per esempio, quando dal dare la colpa all’altro del mio disagio, comincio a parlare di me, e do un nome alle mie debolezze, alle mie paure, alle mie incapacità. Fa tremare le gambe, sì, ma dargli voce in un ambiente protetto e dichiarare l’un l’altro ciò che sta accadendo dentro di noi, può portare a risultati incredibili, inaspettati e ad una relazione autentica e duratura.
A che cosa servirebbe “fare rete” se non a questo? Molti risponderebbero: per mettere in connessione le persone, scambiare informazioni, sostenersi a vicenda. Vero, ma la connessione tra le persone non la si crea con le mailinglist, lo scambio di informazioni non è solo postare articoli su facebook e il sostenersi a vicenda ha poco a che fare con gli inviti a mercatini, ai corsi o alle feste. Il massimo della bellezza e della potenza della Rete, per me, sta nel contatto diretto con l’altro, nel condividere l’esperienza umana che non fa distinzioni di origini, credenze, colore della pelle o titolo di studio. La Rete è ciò che può sostenere nell’esplorare acque profonde e sconosciute, facendo tesoro dell’esperienza di vita altrui che viene narrata attraverso i propri progressi e cambiamenti ma anche tramite l’ammissione delle proprie umane debolezze che ripropongono, ciclicamente, imperterrite, e a volte anche con un po’ di amara ironia, gli stessi ostacoli sotto forme diverse. La Rete degli ecovillaggi mi ha permesso di incontrare persone dedite al “servizio” e  capaci di mettersi allo scoperto . Ho stretto un forte legame con loro, certa che non avrebbero “fatto sconti” a nessuno per quanto riguarda l’onestà e la sincerità, che avrebbero custodito con onore la mia fragilità e sicura che il mio sforzo di autenticità sarebbe stato pari al loro. Il gioco si conduce alla pari, a carte scoperte, sennò non funziona.  Ecco cos’è nell’essenza, per me, la rete e la comunità: il tempo della profondità, lo spazio del prendersi cura, l’abbraccio che ti dona il coraggio per guardarti allo specchio e un intreccio di sostegno che non ti fa sentire solo in questo terrorizzante ma allo stesso tempo meraviglioso, cammino.

Vuoi saperne più sugli ecovillaggi?
La vita comunitaria e la condivisione dell’abitare si stanno espandendo sempre di più, non solo all’estero, ma anche nel panorama italiano, che offre un ricchissimo e variegato arcipelago di esperienze, dall’housing sociale ai condomini solidali, dal cohousing agli ecovillaggi.
mette a disposizione la sua attività di ricerca, accompagnandoci in maniera dettagliata all’interno delle varie realtà italiane, da nord a sud, fornendo una scheda dettagliata per ogni progetto, dalla personalità giuridica all’eventuale ispirazione spirituale, dall’organizzazione economica alla dieta scelta. Una guida per farsi un viaggio nelle esperienze comunitarie all’insegna non solo del risparmio economico ma soprattutto di uno stile di vita sobrio e a basso impatto ambientale, basato su relazioni autentiche e di solidarietà. Vedi il libro di Francesca Guidotti.

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