Un lettore invia una lettera appassionata a Francesca Guidotti, ex presidente della Rete italiana villaggi ecologici – RIVE chiedendo che cosa stanno facendo gli ecovillaggi per contrastare la tendenza neocolonialista della società. Ecco la risposta.
Cara Francesca,
leggo sempre con grande interesse le
newsletter della RIVE.
Anche io, nel mio piccolo, ho da tempo cambiato i miei stili di vita, pur non vivendo in un ecovillaggio. Cerco di ridurre la mia “impronta ecologica” su questo pianeta e cerco di convincere anche altri a farlo.
Il problema di fondo è che DOBBIAMO farlo non solo per non “consumare” il pianeta Terra, ma SOPRATTUTTO perché dobbiamo smetterla di sfruttare gli abitanti del sud del mondo.
Dopo secoli di colonialismo e neo-colonialismo le popolazioni disperate per fame, guerre e malattie hanno giustamente deciso di “trasferirsi” nel continente europeo, da dove sono originate le loro sofferenze. Noi dobbiamo smettere di seguire il consumismo e smettere di depredare le ricchezze naturali del sud del mondo, per consentire a questi popoli di raggiungere un livello di vita dignitoso.
Dobbiamo smettere di mandare i manager delle multinazionali europee, nordamericane, russe, cinesi, giapponesi, sudcoreane a corrompere le classi dirigenti dei paesi africani, asiatici, sudamericani; essi poi portano le risorse nel nord del mondo e lasciano le popolazioni nella miseria più nera.
Questo è il “mantra” che dovremmo seguire, MA NE PARLANO IN POCHISSIMI. O se ne parlano, di questo non c’è alcuna eco sui media.
E’ giusto dimostrare che vivendo in un ecovillaggio, o in un’ altra comunità intenzionale, un altro modo di vivere e un altro modo di fare economia sono possibili, ma se ciò non lo colleghiamo con la lotta al neo-colonialismo, tutto ciò resta un messaggio monco.
Tanto più che i migranti non arrivano nelle comunità intenzionali dell’appennino tosco-emiliano, ma vengono “deportati” in moltissimi comuni italiani di pianura, creando diverse problematiche per loro e per i cittadini che li ospitano.
Concludo scrivendo che se il mondo degli ecovillaggi non affronta questo tema, o lo lascia sullo sfondo, come se fosse scontato, allora il messaggio degli ecovillaggi sarà sempre incompleto.
Un caro saluto da Marco Mandelli, Nettuno (Roma)
Buongiorno Marco,
grazie per l’appassionata mail che hai mandato.
In parte hai ragione, forse il tema immigrazione-ecovillaggi non ha un eco particolarmente forte. Però voglio metterti a conoscenza di quanto gli ecovillaggi italiani e internazionali stanno facendo a proposito di questo tema.
Probabilmente avrai sentito parlare di RefuGEN, il programma di prima accoglienza sulle coste dell’isola di Lesbo, promossa l’inverno scorso dal GEN-Europa (la rete europea degli ecovillaggi). Puoi trovare
informazioni qui oppure sulla pagina facebook:
RefuGEN. So che qualche settimana fa in un incontro di reti ed ecovillaggi europei, l’assemblea è andata a definire a grandi linee che taglio dare alle prossime azioni di RefuGEN, visto che il compito di prima accoglienza nel momento di emergenza è stato assolto.
Per quanto riguarda l’Italia, considerato che gli ecovillaggi strutturati e capaci di ospitalità non sono molti, abbiamo:
– la Comune di Bagnaia che in passato ha sostenuto campi estivi per ragazzi isdraeliani e palestinesi per sviluppare un dialogo di pace, è attualmente coinvolta con un’associazione del territorio nell’accoglienza dei rifugiati.
– Domenico Maffeo, socio RIVE e membro del cohousing Rio Selva, è in prima linea da anni nell’associazione Sunugal di Venezia e è tra i promotori del partenariato H2Os. Il progetto prevede, da un lato di diffondere e realizzare dispositivi ecologici nei villaggi tradizionali, dall’altro sta lavorando per mettere in connessione capi tribù, Ministero degli ecovillaggi (il Senegal è l’unico paese al mondo che lo ha) e GEN-Africa (la rete africana degli ecovillaggi).
– Casa Lonjer, un’esperienza posta in territorio italo/sloveno, è una comunità di cultura e lingua mista italo/arabo/croata. Non hanno un progetto particolare sull’immigrazione ma senza dubbio un’inclinazione al dialogo interculturale, a livello paritario.
In RIVE è presente un gruppo di lavoro che desidera dare risposte concrete al tema immigrazione. Purtroppo per adesso non è attivo per mancanza di energie ma conto che con l’arrivo di altri interessati si possa dare il via a progetti significativi. Nel frattempo il gruppo RIVE internazionale sta mettendo molte energie e tempo in progetti in partnership con associazioni e ecovillaggi d’Europa, che coinvolgono anche altre nazionalità, per la formazione in ecologia e processi decisionali partecipativi.
Parallelamente, un gruppo di soci, a seguito del terremoto avvenuto in centro Italia lo scorso Agosto, si sono attivati immediatamente per trovare ecovillaggi disponibili ad accogliere temporaneamente i terremotati. Non sarà un servizio rivolto all’immigrazione ma ha in sè la stessa linfa. Inoltre, burocraticamente parlando, risulta più facile e immediato.
Ci tengo a sottolineare che queste azioni non si riducono a mero assistenzialismo. Al contrario: puntano allo scambio di saperi e all’incoraggiamento verso l’autodeterminazione e l’autosussistenza, valori alla base delle comunità intenzionali italiane.
Anche tutta l’enfasi che nel mondo degli ecovillaggi si pone sull’autoproduzione, l’approvvigionamento di risorse e alimenti locali, la scelta di comprare cibo “solidale” in cui nessun lavoratore è sfruttato, pagare il giusto prezzo un prodotto, va esattamente nella direzione che indichi: basta sfruttare, basta corrompere, basta rubare al prossimo e alla Terra.
Può non sembrare molto ma nel nostro piccolo il tema è presente. Certo è che come ecovillaggi abbiamo ancora molto da fare per consolidarci e allenarci alla coerenza del nostro percorso. E personalmente credo sia bene attivarci nel momento in cui ci sentiamo “pronti” invece di rincorrere un’ideale quando ancora non siamo totalmente in grado di accogliere, perchè abbiamo questioni interne da “sistemare”. Rischiamo di fare più danno che bene.
Grazie dello stimolo e buona vita,
Francesca