La RIVE per la Decrescita a Venezia
homepage h2
Di lì a poco, entrati nella gigantesca struttura dell’ex cotonificio veneziano, sede dell’università IUAV di Venezia, centro dello svolgimento della III Conferenza internazionale della Decrescita, hanno ritirato i pass e via, in plenaria!
Così, è iniziata loro esperienza e con sé hanno portato tutta la Rive.
Lavoro: la transizione verso modelli più equi e creativi di produzione, lavoro, cura, sicurezza sociale e previdenza, oltre il post-fordismo, la logica del precariato e la crisi del welfare.
Democrazia: decrescita e transizione delle istituzioni democratiche verso modelli partecipati, decentrati e di responsabilità ecologica e intergenerazionale.
Alfredo (la Comune di Bagnaia), ha esordito nel workshop The idea of sobriety and economic self-sufficiency from the monastic civilization to new monasteies and eco-village, che ha visto la partecipazione di una ventina di persone e il cui report è riportato in fotografia.
Nel pomeriggio, nello spazio dedicato agli eventi paralleli, nell’Aia in laguna, è stato il momento della presentazione della RIVE e degli ecovillaggi a cura di Anna (Paradiso ritrovato) a cui è seguito l’intervento di Mario (Avalon, comunità elfica) sul tema: Teniamoci la terra!la dismissione delle terre demaniali in Italia e le proposte alternative.
Poco distante, intanto, cominciavano a diffondersi in laguna le note delle danze popolari europee e balcaniche, liberate dalle leggere dita dei “nostri” Elfi (Francesco, Serge, …).
Nello stesso momento, poco più in là, Eduardo (Rays/E’comunità), nel workshop Comunicazione empatica-un linguaggio che sostiene la decrescita felice, faceva praticare ad un nutrito gruppo di persone un modo di comunicare che non serve solo a migliorare la qualità del passaggio delle informazioni fra persone, ma rivoluziona totalmente il nostro stesso modo di considerare l’altro e noi stessi.
(fonte: ufficio stampa della Conferenza, Il movimento per la decrescita si allarga.)
5 giorni
785 partecipanti provenienti da 47 paesi del mondo;
88 relatori,
128 tra volontari e organizzatori
31 giornalisti,
migliaia di cittadini
22 presentazioni di libri;
2 rassegne cinematografiche;
un mercato di economia solidale a Mestre e alle Zattere; l’Aia in Laguna, evento dedicato ai temi della terra e della sovranità alimentare,
15 seminari dedicati ad attività pratiche-manuali,
alcuni eventi culturali come la serata intitolata “Spiritualità e immaginazione”, dialogo tra Serge Latouche e due esponenti cristiani come padre Alex Zanotelli e Marcelo Barros, teologo della Liberazione brasiliano.
Età: il 60% dei partecipanti era al di sotto dei 39 anni (di questi il 38% meno di 30 anni).
Genere: equa la distribuzione tra uomini e donne.
Mezzi di trasporto: la maggioranza è arrivata in treno (55%), ha preso l’aereo il 17%, mentre un 10% è arrivato a piedi o in bicicletta, l’8% in auto, il 7% in autobus, il 2 per cento condividendo l’auto.
Materiale prodotto: 60 poster, con numerose idee partorite dai partecipanti all’interno dei workshop e tutti i paper presentati dai relatori.
(venerdì, 21 settembre 2012 Ufficio stampa Conferenza sulla decrescita, http://www.venezia2012.it/archives/8447 )
Venezia, 21 settembre_ Un migliaio di persone hanno affollato ieri sera la basilica dei Frari di Venezia per assistere al dibattito su “Immaginazione e spiritualità: per una conversione ecologica della società” evento culturale parallelo alla 3° Conferenza internazionale sulla decrescita in programma fino al 23 settembre.
Serge Latouche, tra i massimi esponenti della teoria della decrescita, era seduto tra padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, ora al rione Sanità di Napoli, noto per il suo impegno sociale e nei movimenti, e Marcelo Barros, brasiliano, teologo della Liberazione, priore del monastero de la Annunciation Goìas Veldho.
L’incontro, organizzato da Bilanci di Giustizia, è stato introdotto da don Gianni Fazzini, della Pastorale degli stili di vita e moderato da una donna, la teologa e pastora valdese Elisabetta Ribet che ha sollecitato gli ospiti sui temi più vari, dalla fede al cambiamento, dall’immaginario all’ecologia, dalla speranza alle azioni concrete che non si possono più rimandare.
“De-colonizzare l’immaginario”, come ha più volte scritto nei suoi testi, significa per Latouche “prendere coscienza che le nostre menti sono colonizzate dall’idolatria dell’economia alla quale l’Occidente si è convertito con la modernità. Ora è tempo di de-economicizzare la nostra mente”.
Marcelo Barros si è detto convinto che movimenti come quello della decrescita e dei Bilanci di giustizia possono cominciare questa opera di “conversione”, possibile “tornando a parlare la lingua del Vangelo. Io vengo da un paese dove gli indios sono stati schiavizzati, quindi, quando ci chiediamo se il cristianesimo può decolonizzare l’immaginario, dobbiamo intenderci su quale cristianesimo”.
Per Zanotelli siamo un po’ tutti prigionieri del sistema e “solo quando ne esci ne vedi i limiti”. Il missionario ha accennato alla sua esperienza a Korogocho, baraccopoli di Nairobi, in Kenya: “Per me ci sono voluti 12 anni di lavoro lì per capire: il futuro del Cristianesimo dipende della abilità dei cristiani di assumersi le proprie responsabilità nei confronti della Terra, perché salvare la Terra, la prima Bibbia che abbiamo, è parte essenziale del salvare la presenza divina nel mondo. Se la tribù bianca non si converte, non c’è speranza per nessuno”.
Quanto alla speranza, ciascuno la invoca nella propria religione, con evidenti trasversalità: la sacralità della natura accomuna il pensiero della decrescita (“abbiamo perso la capacità di meravigliarci della bellezza della natura – ha detto Latouche – come delle opere dell’uomo: il computer è un oggetto straordinario, ma come possiamo meravigliarci di qualcosa che dopo 6 mesi è già obsoleto?) a quello cristiano, anche se, ha aggiunto Zanotelli “in tanti anni mai nessuno mi ha confessato un peccato contro l’ambiente”. Zanotelli intravede segni di speranza in tante piccole esperienze che, se diventano mobilitazione, come è successo per i referendum sull’acqua, producono risultati. “La speranza nasce dal basso, dall’alto non aspettiamoci più nulla”, ha chiosato il missionario.
Ampio il confronto sul Sud del mondo, che per ragioni diverse ha plasmato il pensiero dei tre interlocutori. Latouche ha ricordato che è stata la sua esperienza professionale e di vita prima in Congo poi nel Laos a fargli abbandonare la fede nella religione dello sviluppo che negli anni Sessanta permeava tutta la cultura occidentale. “Nel Laos non c’era né sviluppo né sottosviluppo. C’era piuttosto la grande gioia di vivere di questo popolo che non aveva bisogno di lavorare tanto per la propria sussistenza e aveva molto tempo da dedicare allo svago. Lì ho capito che il mio lavoro di “sviluppista” era quello di distruggere l’equilibrio di una società tradizionale e creare dei bisogni in funzione del mercato. Allora sono tornato in Francia e ho cominciato il mio percorso di critica allo sviluppo che ho poi approfondito ancora in Africa dove si può vivere bene anche fuori dall’economia, fuori dalla società dei consumi che genera solo frustrazione”. Barros ha invece sottolineato l’importanza della rinascita dei movimenti delle popolazioni indigene in America Latina che ha dato nuova dignità a popoli che negli anni Settanta venivano dati per estinti che invece “stanno dimostrando grande vitalità”.
“La rivoluzione bolivariana non è di Chavez, ma del popolo. Un giorno, in uno stadio affollato con 28 mila persone, un soldato indio mi ha chiesto “sei tu il prete che benedice la nostra rivoluzione? In quel momento ho avuto una rivelazione: non è la rivoluzione che va benedetta, è la rivoluzione che benedice noi, la rivoluzione è sana, spirituale”.
Tante le indicazioni sulle azioni da non procrastinare: non perdere la gioia, la convivialità, l’affetto, la fratellanza per Barros; chiedere perdono ai giovani per lo scempio ambientale che è stato fatto negli ultimi decenni e dare loro fiducia, ha detto padre Zanotelli, mentre l’ecologista Zanotelli ha chiesto la riduzione degli imballaggi (“in Germania gli stessi prodotti in vendita in Italia li trovate con meno incartamenti”) e delle bottiglie di plastica; Latouche invita a buttare la televisione (“il vero strumento della colonizzazione dell’immaginario”) e a fare un po’ di tecno-digiuno: vivere senza cellulare, senza automobile, senza computer “è un atto politico”.