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Meraki: racconto plurale di una comunità

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Meraki è un progetto di ecovillaggio e di centro formativo-educativo il cui nome significa “fatto con amore”. A un anno dalla sua nascita siamo andati a conoscerli per farci raccontare la loro esperienza.
Meraki: racconto plurale di una comunità
Lungo la Via degli Dei, abbracciato dall’appennino emiliano, c’è un casolare nel quale, nel corso dell’ultimo anno, è germogliato il progetto di ecovillaggio e di centro formativo-educativo Meraki.
Fra i primi a immaginarlo e a desiderarlo tre viaggiatori: Carlo Taglia, anche detto “il Vagamondo”, Antonio Di Guida e Luca Verri.
«Ricordo che già ci pensavo a 28 anni, però continuavo a dirmi “non avere fretta, prima di prenderti delle responsabilità continua a viaggiare, osa”. E mi era rimasto un “a 35 anni cambio”. Poi, a fine del 2019, mi sono ri-detto “a marzo, quando farò 35 anni, cambierò e mi devo preparare”, e ho fatto un percorso di pulizia interiore con le tribù sudamericane del Perù. Rientrato in Italia, il giorno dopo il mio 35esimo compleanno è arrivato il lockdown», ha raccontato Carlo.
«Ho passato quei primi mesi con Luca. Stavamo in casa chiusi a progettare e a sognare, facevamo le videochiamate con Antonio, che era invece rimasto bloccato in Bolivia. È stato il periodo perfetto per studiare i libri di permacultura, capire che tipo di luogo cercare e iniziare a progettare.»
«Quando poi a giugno ci hanno dato il via libera, ho preso il mio furgone e ho iniziato un viaggio di studio e ricerca. Ho girato 15 progetti, facendo il volontario. A volte mi fermavo pochi giorni e a volte dei mesi. Poi, mentre ero a Yana Casa Portale una ragazza mi ha parlato di questo luogo, così ho preso il furgone e sono venuto qui. L’impatto è stato potentissimo, fin dal primo momento, perché ovunque guardassi attorno a me vedevo una scena del futuro. Vedevo i bambini che correvano, il sole, le piante, i fiori, il vento, le persone che ballavano, facevano arte… È stato così che, dopo neanche un mese, siamo venuti a vivere qui.».
I primi ad arrivare sono stati amici e conoscenti. Era la fine di gennaio del 2021 e attraverso di loro il Progetto Meraki iniziava a prendere forma e concretezza.
«Quando siamo partiti eravamo in otto. Gli spazi erano da pensare e da costruire, e tutti noi ci siamo messi d’impegno a fare un po’ tutto quello che era necessario, sia per l’avviamento del progetto che per la quotidianità», ha raccontato Chiara, fra i primi membri del progetto.
«Ora che siamo già avviati stiamo facendo un lavoro perché ognuno di noi possa dedicarsi ad individuare e ad esprimere la propria missione all’interno di questo spazio. Io per esempio sento di portare qui l’arte terapia, in particolare la canto terapia. Durante i raduni ho già avuto occasione di sperimentarmi in questo ruolo e in futuro mi piacerebbe iniziare a lavorare con i bambini e i contesti sociali con più difficoltà. Sogno, questo che si inserisce nel nostro desiderio comune di rendere Meraki un centro formativo ed educativo permanente», ha spiegato Chiara.
«Un altro progetto che ci interessa avviare è un laboratorio artistico. Molti di noi fanno arte e artigianato e ci piacerebbe condividerle come pratica e terapia.»
«Io trovo che la bellezza di questo progetto sia la diversità delle persone che lo vivono», ha affermato Fabio. «Ci sono comunità in cui prevale un’impronta agricola o artistica o di crescita personale… Qui invece c’è un po’ di tutto, e il lato positivo di questa diversità è che ci permette di risolvere un po’ tutte le necessità che si presentano, perché alla fine c’è sempre qualcuno capace di apportare un’esperienza chiave. Io nello specifico porto il contatto con la terra, la cucina, l’accoglienza e il fatto di essere il più grande, con quel che comporta, inclusa una certa leggerezza.»
Uno strumento che a Meraki si è dimostrato cruciale per riuscire a portare avanti nel giro di poco tempo tante attività diverse fra di loro è stata la definizione delle focalizzazioni.
«Ognuno di noi si assume la responsabilità di seguire determinate attività. Chiara, per esempio, attualmente segue la semina, quindi deve progettare i tempi, cercare i semi e richiamare la nostra attenzione quando è il momento di seminare. Poi magari all’atto pratico non è neanche lei a farla, o lo facciamo tutti insieme, però segue lei il processo, focalizzandolo», ha spiegato Fabio.
«Questo ci ha permesso di portare avanti idee che altrimenti sarebbero rimaste solo idee, senza concretizzarsi. Perché spesso se ne dicono tante, e poi rimangono lì.»
Altri elementi cardine di Meraki sono la Permacultura e l’espressione della cura attraverso ogni gesto.
«È nel nostro nome, lo spirito di Meraki. Meraki vuol dire “fatto con amore”. Ed è il motivo per cui non abbiamo, per esempio, i turni in cucina. Perché non deve essere un obbligo, ma un piacere, e così le cose vengono fatte con presenza e cura», ha spiegato Matteo, viaggiatore e membro della comunità.
«E per il lavaggio dei piatti come vi organizzate?», ho chiesto loro sorpresa.
«Di base, anche per una presa di responsabilità individuale, ognuno lava il proprio piatto. A fine pasto, però, c’è anche la possibilità di mettere in gioco il proprio piatto e giocarselo a carta sasso forbice. Così, a volte, capita che li lavi tutti a uno. Qualcuno sostiene anche che ci siano delle tattiche per poter vincere! Comunque, per evitare rischi, si può sempre decidere di non giocare e di lavare solo il proprio piatto», ha risposto Matteo.
«Capita anche che uno vinca, ma per solidarietà decida di andare a lavare le pentole, o che qualcuno ti prenda il piatto, per cura, e te lo lavi», ha aggiunto Gigi.
Giocosità e cura la fanno da padroni dunque, ma non c’è da pensare che qui sia sempre “tutto rosa e fiori”.
«Quando si passa dal sogno alla realtà, arrivano difficoltà che non avevi previsto. Parlo di difficoltà perché quando sogni, sogni il bello, mentre nella realtà c’è un equilibrio fra il bello e il difficile», ha raccontato Carlo.
«Una difficoltà, per me, è stata sicuramente la burocrazia. Dopo anni con lo zainetto ritrovarmi ad aprire partita iva, parlare con il notaio, il commercialista, avere a che fare con l’inps… ecco, è stata dura. Io sono anche preciso, di origini Svizzere, quindi se mi si dice come fare io so organizzarmi, ma in Italia ci sono tremila intoppi e imprevisti, e su questo mi sono scoperto fragile. Ho avuto tante giornate difficili, mal di testa, un po’ di crisi di nervi, e quella mia fragilità si è ripercossa anche nelle comunicazioni con gli altri. Però sono qui perché ho tanta voglia di mettermi in gioco, in discussione e di crescere. Sono in cammino, e ancora mi scappa di dire delle cose per cui poi mi chiedo “ma perché?”, ma vedo quanto questo posto possa aiutare a crescere me e gli altri. Alla fine siamo tutti qui per diventare migliori rispetto a quando siamo arrivati, e vedo come questo posto faccia bene a tutti coloro che ci passano», ha aggiunto.
«Io penso che gli ostacoli che viviamo e che ci ritroviamo ad affrontare quotidianamente, che non sono piccoli, vengano sempre accompagnati da una grande soddisfazione, che ripaga tutto lo sforzo che ognuno di noi fa per stare qui quotidianamente a contatto con altre 11 persone e con altri 11 punti di vista», ha raccontato Matteo. «È impegnativo, nessuno dirà mai che è facile, perché non è così, però è gratificante più che impegnativo.»
«E oggi, a distanza di un anno, a che punto è il progetto Meraki?», ho domandato.
«L’anno scorso è stato un po’ l’anno zero, nel quale ci siamo sperimentati con delle piccole attività: un piccolo orto, delle piccole attività di ritiro», ha raccontato Fabio.
«Quest’anno da un orto piccolo passiamo a tre orti, fatti con tre modalità differenti di coltivazione – tutte sperimentali. Poi stiamo progettando dei ritiri più ampi e la missione verso cui stiamo facendo confluire il nostro impegno è quella di rendere tutto questo un centro educativo e formativo per adulti e bambini. Far sì che le persone possano venire a portare qui i propri talenti e a imparare dagli altri.», ha spiegato Fabio.
Per andare a dare un primo occhio curioso al progetto Meraki, un’ottima occasione sono gli open day.
«In mezza giornata, ovviamente, non si vede la vita comunitaria, ma si ha un piccolo assaggio del progetto. È quella cosa che ti può mettere la curiosità di dire “ok, vengo a farmi un’esperienza”», ha chiarito Fabio.
«Per il volontariato sono previsti tempi di circa 10/12 giorni», ha chiarito Gigi, che si prende cura dei volontari. «Mi piace farli sentire a casa, in comunità con noi e che in armonia con lo spirito di Meraki, possano fare ciò che hanno la passione di fare.»
«Oltre agli open day e al volontariato, poi, per chi volesse conoscerci ci sono i ritiri, durante i quali tutti noi membri di Meraki proponiamo delle attività. E a luglio, quando saremo alle prese con la raccolta della lavanda e la sua trasformazione, ci piacerebbe organizzare delle giornate di community work», ha aggiunto Chiara.
«Cosa chiediamo a coloro che vengono qui?», ha detto Fabio. «Che buttino giù le maschere e che abbiano il coraggio di mostrarsi per quello che sono. Questo è un passo fondamentale. Avere il coraggio di tirare fuori chi si è, con tutte le paure, i difetti, gli scheletri nell’armadio, le emozioni. Tirarle fuori perché qui non vengono giudicate, strumentalizzate. E poi di osare, di esprimere i propri talenti»
Se volete restare aggiornati sulle attività di Meraki:
Facebook https://www.facebook.com/progettoecovillaggio
Instagram @progetto_meraki
E-mail info@progettomeraki.com

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