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Rete degli ecovillaggi: spazio di diffusione di nuovi saperi e pratiche condivise

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di Simona Gigliottiantropologa e counselor professionista

La Rete degli Ecovillaggi italiani è uno spazio di diffusione di nuovi saperi e pratiche condivise. Qui parliamo di metodologie e sistemi che sono stati raffinati per gestire determinate problematiche o per costituire un approccio comune rispetto a questioni centrali della vita comunitaria.

Rete degli ecovillaggi: spazio di diffusione di nuovi saperi e pratiche condivise

Quando si parla di ecovillaggi e comunità intenzionali, si parla anche di pratiche degli ecovillaggisti. Che cosa si intende per pratiche negli ecovillaggi? Come si creano? Come vengono condivise?

A elaborare il concetto di “pratica” fu il sociologo Pierre Bourdieu nella seconda metà del ‘900 che, studiando la società algerina cabila, superò le regole sistematiche dell’antropologia strutturalista del suo maestro Lévi-Strauss comprendendo che la pratica costituiva la spina dorsale del sistema culturale di ogni società. Bourdieu definì la pratica come “un sistema di azioni mediante le quali l’individuo si confronta con la realtà in cui vive” (Bourdieu, 1956), ed è mediante la pratica che il singolo riesce a muoversi, stringere relazioni ed evolvere.

«Per pratica intendiamo una risposta concreta ad uno stimolo sorto nell’ambiente in cui viviamo», spiega Debora (Gaia Terra, Rivignano, Friuli). «Abbiamo, cioè, osservato delle cose nella comunità e intorno a noi e abbiamo tentato di dare una risposta, una forma e uno spazio regolare alle esigenze che sentiamo, possono essere relazionali, ecologiche, economiche, di comunità…. Ne parliamo e tentiamo di fare dei cambiamenti che ci portino più vicino ai nostri desiderata» continua Debora. Le pratiche in ecovillaggio nascono quindi dalla relazione tra l’ambiente, il contesto sociale e il desiderio di andare oltre abitudini apprese e non più condivise verso una cultura che rispetti più coerentemente i propri valori.

Le pratiche in condivisione

«Piantumare gli alberi, fare il bagno nel fiume, coltivare gli orti, costruire in bioedilizia, elaborare oggetti con plastica riciclata, lavare i piatti con i fondi di caffè, sono comportamenti condivisi diventati pratiche comuni nel nostro ecovillaggio per cui siamo riconosciuti come fortemente attenti all’ambiente. Sono azioni del quotidiano che portiamo avanti coerentemente con il nostro pensiero e che richiediamo anche agli ospiti che sostano da noi. Pratica vuol dire fare, lo devi proprio fare per capire, per questo è importante che anche chi viene in visita si attenga ai nostri sistemi di comportamento” afferma Debora. Sebbene apparentemente possa sembrare banale, modificare abitudini apprese e radicate, non è per nulla scontato. Scegliere di non utilizzare più la carta igienica, così come preferire detergenti probiotici fermentati e non usare agenti chimici, proprio come i residenti di Gaia Terra, o altri ecovillaggi, hanno scelto di fare in modo duraturo, è più impattante di quanto si immagini. Ancor più complesse da integrare e naturalizzare sono le pratiche socio-relazionali che gli ecovillaggi si propongono di diffondere, come la comunicazione non violenta, la sociocrazia e il linguaggio inclusivo, pratiche che nella quotidianità richiedono molta presenza e attenzione perché ricadere nelle dinamiche relazionali precedentemente introiettate è naturale. Per questo gli ecovillaggi sono, per me, luogo evidente dell’habitus di cui Bourdieu scriveva. Da non confondere con le abitudini (ripetizione sistematica di pratiche già elaborate e sedimentate nella profondità dell’individuo), l’habitus è l’insieme di pratiche spontanee che ha in sé una duplice forza, da una parte quella conservatrice di ripetere sé stesso, dall’altra parte quella innovatrice di poter fare scelte diverse che determinano il cambiamento culturale». 

Metodologie per gestire la vita comunitaria

«Quando parliamo di pratiche in RIVE, parliamo di metodologie e sistemi che sono stati raffinati per gestire determinate problematiche o per costituire un approccio comune rispetto a questioni centrali della vita comunitaria. Si può parlare di governance, di relazioni, di ambiente o di economia: nel vivere comunitario si sono generate una serie di domande su questi temi che hanno avuto in risposta un set di pratiche diverse in base alla comunità» spiega Riccardo, presidente di RIVE e membro di Comunità Etica Vivente. E prosegue: «Ogni comunità sviluppa le sue pratiche in base al contesto e al gruppo, però ciò che abbiamo riscontrato è che ci sono dei pattern che funzionano e sono proprio quelli che RIVE è interessata a trascrivere e a diffondere in modo che realtà più giovani con un’impostazione simile possano adottarle per risolvere questioni che creano difficoltà nel loro sviluppo». 

RIVE è costituita da due livelli, uno è l’associazione in sé, comprensiva di un consiglio visione, una missione, uno statuto, e una struttura composta da diversi gruppi di lavoro; l’altro livello è la rete stessa, rappresentata da tutte le comunità che ne fanno parte. «Al momento credo che la RIVE sia più una rete per gli ecovillaggi, che degli ecovillaggi – sostiene Riccardo Clemente (Comunità degli Elfi ed ex presidente di RIVE) – per questo l’associazione cerca di organizzare più occasioni in cui le singole comunità possano partecipare in modo attivo, confrontarsi e imparare le une dalle altre, come i raduni che vengono proposti tre volte all’anno e la recente app che stiamo testando».

Gli obiettivi della Rete

Gli obiettivi a cui punta RIVE sono molteplici e concreti: non solo creare occasioni e condizioni affinché le comunità si incontrino e condividano, ma anche fare sì che possano creare una rete territoriale con altre realtà del contesto in cui si trovano: associazioni, aziende e centri culturali, con i quali scambiare pratiche e saperi. Tutto questo oggi già avviene, ma non ancora in modo esteso e sistematico. La partecipazione delle singole realtà ai raduni non è così massiva e le occasioni di scambio tra ecovillaggi, sebbene riconosciute come preziose, sono ancora rare a causa dell’intensa attività che la gestione di ogni singola comunità prevede. La rete territoriale, soprattutto nel sud Italia, è già una realtà, ma ancora informale e saltuaria. «Non tutti gli ecovillaggi sono aperti e disposti ad imparare, alcuni sono presenti solo quando si tratta di insegnare e spesso accade che vi sia giudizio rispetto alla società esterna da cui si proviene e questo genera chiusura» afferma sempre Riccardo Clemente. 

«La mia speranza è che ciò che RIVE si impegna ad offrire alle comunità sia efficace al punto che esse sviluppino sempre di più la forza e la volontà necessaria per nutrire a loro volta la rete, in modo che questa possa sostenere la creazione di nuove realtà. Allora non sussisterebbero più i due livelli citati, dove è l’associazione che supporta i nuovi progetti, ma che sia la rete stessa, solidificata e connessa ad avere spazio per sostenere nuovi gruppi e diffondere così una nuova cultura fatta di pratiche innovative ed efficaci in cui crediamo» aggiunge Riccardo, attuale presidente RIVE. «Il mio appello alle comunità – conclude – è quello di connettersi con l’essenza del percorso che abbiamo scelto e di staccarsi un po’ di più dalla forma con cui cerchiamo di raggiungere lo stesso obiettivo». 

In risposta a coloro che nella enunciazione di leggi sociali intese come destino vorrebbero trovare l’alibi di una rassegnazione fatalistica o cinica, condividere e consolidare nuove pratiche vuol dire diffondere nuovi significati rinnovando l’habitus, cominciando a porre le nostre responsabilità là dove si pongono realmente le nostre libertà (Pierre Bourdieu, 1956). 

                                                                                                                                             

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