La lotta esemplare degli operai della Gkn di Firenze, basata su principi di giustizia climatica e sociale li ha portati a sperimentare nuove forme di vita comunitaria; incastonate nel sogno e nella pratica di un modello economico e sociale diverso per gli uomini e le donne che camminano su questa terra.
Tutto è iniziato il 9 luglio del 2021. Siamo nell’anno della pandemia, molti perdono lavoro altri sono costretti a lavorare in smart working, gli operai della Gkn ricevono una mail dalla direzione della fabbrica dove gli si comunica che dal giorno dopo il loro contratto di lavoro è sospeso: un’anticamera di licenziamento.
La Gkn era una una multinazionale che costruiva semiassi per auto e camion con delle commesse internazionali e nazionali come Fiat, Renault, Porsche e altre marche di lusso. Nessuna spiegazione, nessun commento, nonostante il mercato delle auto tirasse, la fabbrica funzionasse bene; il padrone Stellantis aveva appena acquistato sistemi moderni di produzione come i robot giapponesi che montano i semiassi. Eppure si parla di chiusura e delocalizzazione.
Il collettivo di fabbrica si organizza velocemente: Dario, Francesca e altri decidono di occupare la fabbrica e lanciano uno slogan efficace: “Da qui non esce neanche uno spillo”. E da questo momento inizia la storia della Gkn occupata, che diventa un’esperienza umana di conflitto di comunità e di reinvenzione del presente. Se andate a visitare questa fabbrica non trovate certo un villaggio immerso nelle campagne e tosco-emiliane, anzi si tratta di un capannone abbastanza brutto nella periferia di Firenze, nei pressi di Campo Bisenzio. Un luogo che un antropologo da poco scomparso Marc Auge, definirebbe un non-luogo, denso di capannoni, centri commerciali, strade e rotonde, magazzini.
E’ qui che oggi la fabbrica sperimenta l’avventura di comunità dopo l’occupazione. Gli operai si organizzano per abitarla giorno e notte e diventa per loro la principessa da cullare che deve risvegliarsi. Chi ha vissuto per anni un’esperienza di fabbrica e una sicurezza economica ha deciso di non lasciare che il neoliberismo decida di chiudere di un luogo che gli operai sentivano come loro.
Oggi potete visitarla quella fabbrica: ci sono corsi di scrittura narrativa su come la classe operaia può produrre letteratura; ci sono esperimenti di counseling per le ripercussioni che ci sono state nelle famiglie di chi si è trovato in quella situazione; c’è l’assistenza terapeutica per tutti coloro che devono dare tante ore della loro vita giorno e notte a presidiare e a fare vivere la fabbrica; ci sono progetti di riconversione orientata alla produzione di pannelli solari e biciclette elettriche; c’è la relazione con le associazioni di mutuo soccorso italiane; c’è un impronta che loro chiamano di mutualismo, che significa per esempio far funzionare la mensa senza appaltarla a cooperative che sfruttano o lavoratori e le lavoratrici. Oggi sono gli operai stessi che cucinano, e non solo per loro, ma anche per i migranti del quartiere, per persone a rischio povertà, per gli ospiti. In fabbrica si può andare a mangiare da lunedì alla domenica; il cibo è acquistato da cooperative di agricoltura biologica della zona.
La Gkn non è ovviamente assimilabile a un ecovillaggio, ma si può parlare certamente di una esperienza di comunità. Che sperimenta, tra l’altro, strumenti nuovi, utilizzati in ambienti a noi più famigliari: per esempio non si vota in assemblea, ma si discute finché nessuno è così in disaccordo rispetto a una data decisione. Dietro c’è l’idea che è meglio sommare, integrare punti di vista diversi, piuttosto che togliere, dividere, rischiando di rompere un equilibrio che è anche affettivo, emotivo. Fa effetto vedere un’assemblea di fabbrica in cui ci sono facilitatori, che aiutano anche nell’utilizzo di un linguaggio non aggressivo e non giudicante.
La Gkn occupata ha anche creato rete. Gli operai e le operaie di Campo Bisenzio hanno battuto l’Italia e altri paesi (in particolare Germania e Argentina) per incontrare associazioni, circoli, e altre esperienze di fabbrica occupate.
Come è stato possibile finanziare tutto questo? Stiamo parlando di operai che non hanno neanche avuto la cassa integrazione e l’avrebbero se mollassero la fabbrica se si arrendessero. Eppure attraverso un grande moto di solidarietà, il crowdfunding, l’aiuto di cittadini, associazioni, sindacati di base; con la musica, anche di gruppi famosi come gli Assalti frontali o i 99 Posse o Willie Peyote, hanno raggiunto una capacità di resistenza anche economicamente significativa.
Ciò non toglie che incontrando i protagonisti io abbia percepito un senso di fragilità al limite dell’impotenza di fronte ai meccanismi economici internazionali. A cui reagiscono con enorme dignità e anche irriverenza verso il Capitale e i suoi meccanismi. Per esempio quando quando i giornalisti o i curiosi gli chiedono come si sentono nella loro difficile situazione, ho sentito come risposta domanda che ti scalza che ti lascia senza parole. “E voi come state a vivere in questo tipo di società, arrabattandovi per arrivare alla fine del mese? Come state voi giornalisti con contratti precari e la paura a raccontare la verità? Non chiedeteci come stiamo noi chiedetevi come state voi. Questo ribaltamento di paradigma lascia intravedere che dietro al progetto della Gkn c’è molto di più di una lotta per il posto di lavoro: c’è l’idea di sovvertire e ripensare questo modello politico-economico, sognando uno sviluppo diverso per gli uomini e le donne che camminano su questa terra. E’ questa la sfida più interpellante dell’esperienza Gkn occupata.
Per concludere, io ho la definirei un’esperienza operaia che possiede quella loro capacità di leggere la complessità della realtà e restituirla in forma semplice. Con l’obiettivo di rompere l’egemonia del pensiero neoliberista, rendendo senso comune la visione delle contraddizioni e la disumanità del sistema.
E cercano di farlo con una buona dose di ironia, affettività e leggerezza.