Storie dagli ecovillaggi: “Le cose che possiedi ti possiedono”.
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Appena diplomato ho trovato lavoro come dipendente e ho iniziato a dedicarci tutte le mie energie. Facevo più straordinari possibili e non andavo mai in ferie, nemmeno un giorno. Lo facevo per avere uno stipendio il più alto possibile. Ho smesso di uscire con gli amici, non andavo al bar o al ristorante, e riducevo sempre più il numero di concerti a cui assistevo, che erano sempre stati la mia passione. Continuavo a vivere in casa con i miei genitori. In questo modo risparmiavo e, viste le buone entrate, nel giro di qualche anno avevo messo da parte un discreto gruzzoletto. Ma questo non mi bastava: volevo sentirmi più realizzato, mettermi in gioco.
Quindi mi misi in proprio come collaboratore di uno studio. Rinunciai alla sicurezza dello stipendio per dedicarmi a qualcosa di più sfidante. Furono anni pieni di successi. Il mio tempo e i miei talenti valevano un buon prezzo che tutti mi riconoscevano. Decisi di non praticare più nemmeno lo sport che amavo per dedicare maggiore tempo al lavoro. Il lavoro era il mezzo con cui mi sentivo apprezzato, mi identificava. Decisi di fare il passo successivo: cambiai settore e aprii una mia azienda, con dipendenti, strutture e contratti bancari. Investii tutto quanto lì dentro. Tutto: soldi, speranze, tempo. Cambiai città e annullai praticamente tutte le relazioni umane e affettive. Ma l’attività faticava a partire ed ero sempre al limite con il mutuo e le spese. Lavoravo quattordici ore al giorno, senza giorni di riposo, sette su sette, trecentosessantacinque all’anno. Rinunciai completamente a me stesso per garantire un futuro all’attività: niente amici, passioni, tempo libero. Furono anni disperati ed estremi. Nonostante le mie capacità e l’impegno, e nonostante la fiducia e l’apprezzamento dei clienti, fallii. Chiusi con una montagna di debiti.
Non avevo più nulla, dopo dodici anni di dedizione totale al lavoro dovevo ripartire da capo: non avevo più un soldo, niente relazioni, non una casa né un automobile. Nulla.
Porsi una domanda e darsi una possibilità
Tornai subito a casa dai miei e in nemmeno una settimana trovai lavoro come dipendente: tante ore, un buon stipendio. Potevo provare a pagare i debiti e, nel giro di un po’ di anni, forse riprendere a mettere da parte qualcosa per costruire quel futuro che si era terribilmente allontanato da me. Ero già allenato ai sacrifici e alle privazioni e, ancora una volta, dimostrai a me stesso che ce l’avrei fatta.
Ma, ad un passo dal risolvere la situazione, mi chiesi: a quel punto, sarò felice? Me lo chiesi perché mi ero accorto che, nonostante le mie varie vicende economiche, non mi ero mai sentito felice: avevo sempre vissuto nella paura e nel dolore, alla ricerca della realizzazione e della sicurezza. Avevo investito tanto nel futuro da vivere un presente disperato. Il problema non erano i soldi, e la soluzione non sarebbe stata i soldi.
Così presi coraggio e decisi di fare qualcosa che non avevo mai fatto: prendermi del tempo per me e provare una vita diversa da quella che già conoscevo.
Non il prezzo, bensì il valore di me stesso
Iniziai a girare per ecovillaggi con soltanto uno zaino sulle spalle e quattro spiccioli in tasca. Non possedevo davvero nulla e non stavo costruendo nessuna “sicurezza”: eppure mi sentivo completamente libero. In un film si diceva: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Sì, perché più hai e più devi difendere, più “investi” e più puoi perdere. E questo genera paura, senso di scarsità e divisione.
Visitai varie realtà, ma continuavo a tornare a Tempo Di Vivere dove mi sentivo accolto e sereno, praticamente a casa. Alla fine mi ci sono stabilito. Tempo Di Vivere è una comune: niente proprietà privata, tutto è in condivisione. Non vi è la logica dello scambio, bensì della partecipazione. Qua i miei talenti e il mio tempo non hanno un prezzo, bensì un valore. Qua comunità significa: “dare ciò che si può per ricevere ciò di cui si ha bisogno”.
Ora non possiedo nulla, ma non mi manca niente. Vivo nell’abbondanza, che non è possedere mille cose o credere in illusorie sicurezze, bensì sapere che sono in grado di provvedere a me stesso insieme ai miei comunardi. Il singolo provvede alla comunità e la comunità provvede al singolo. E non ci manca nulla. Perché non è uno scambio di tempo o di competenze tra un me e un te, né un dare per ricevere: c’è un grande “noi” che valorizza tutto ciò che viene vissuto nella quotidianità. Si vive il presente pienamente, e il futuro non fa più paura. Insieme non c’è nulla che non possiamo fare.
Un’ospite che è stata con noi per una settimana, affascinata dalla pienezza e dall’intensità positiva delle nostre giornate, ci disse: “con una vita così, anche la morte fa meno paura”. Penso che riassuma al meglio tutte le mie precedenti parole.