A pochi chilometri dalla casa che da studentessa ho lasciato sei anni fa, esiste un Villaggio.
Un anno fa, stavo cercando realtà di coabitazione che attuassero sostegno psicosociale per la mia tesi di laurea magistrale. Ne ho scoperta una che si trovava a due passi da casa mia! Si tratta del Villaggio Solidale di Mirano (VE) (
www.villaggiosolidale.it), a pochi chilometri dall’ospedale, le scuole e il centro di Mirano. Ho deciso di andare a conoscere questa realtà. Arrivata, mi sono trovata davanti ad un grande cancello e una miriade di campanelli. Ho suonato, mi hanno aperto e sono entrata. Incontro una donna con un bimbo che mi dice di tornare il giorno successivo così mi avrebbe potuta introdurre alla vita del villaggio. Torno a casa e piena di curiosità, cerco altre informazioni per arrivare preparata, domani.
Il Villaggio Solidale è il principale progetto della Fondazione Guido Gini ONLUS ed ha la finalità di promuovere la cultura dell’accoglienza, della solidarietà e del mutuo aiuto. Si presenta come una comunità dove abitano più di 100 persone di tutte le fasce di età.
Tra gli abitanti ci sono anche un gruppo di 5 famiglie che sono venute a vivere al Villaggio per scelta volontaria per vivere un forte rapporto tra di loro e un vicinato solidale con gli altri abitanti. Queste famiglie appartengono alla Comunità Solidale Il Grappolo che fa riferimento all’associazione di promozione sociale nazionale Mondo di Comunità e Famiglia (
). La comunità di famiglie condivide principi morali e sperimentano pratiche di condivisione dei beni, come ad esempio la cassa comune in cui tutte le famiglie versano il proprio reddito e da cui ognuno ritira ciò di cui ha bisogno, entro certi limiti.
Accanto alla comunità di famiglie, vivono circa 70 persone. Alcune vivono situazioni di difficoltà: dalla lieve disabilità fisiche e/o psichiche o psichiatrica, a persone o famiglie in difficoltà economiche o a rischio di esclusione sociale. Altri appartamenti sono utilizzati per l’accoglienza di richiedenti asilo politico (i cosiddetti profughi). Altri ancora accolgono una decina di anziani. Ci sono anche spazi per accoglienze di studenti o lavoratori che necessitano di un posto letto e che si riconoscono nei principi del Villaggio.
L’indomani torno davanti al cancello dei mille campanelli. Mi hanno aperto le porte e fatto subito spazio a tavola per il consuetudinario pranzo collettivo. Seduto davanti a me un bambino mi ha detto “ah, ma sei quella di ieri!”. “Si” ho risposto e ho continuato la conversazione con sua sorella che mi ha chiesto cosa stessi facendo là. Volevo raccogliere interviste per capire se coabitare funziona, se vivere ognuno con il suo spazio ma in una rete sociale integrata di spazi e persone, sia una cosa funzionale e positiva anche per coloro che si trovano in situazioni di difficoltà.
Nel pomeriggio ho iniziato il mio lavoro, inizialmente cercando di capire come sono organizzati.
L’economia del Villaggio si basa sulle rette agevolate che versano gli abitanti, sulle entrate pubbliche (Comuni, Prefettura), sulle donazioni private e sui contributi per l’uso degli spazi comuni aperti alla cittadinanza (sale per feste e riunioni, campi sprtivi, parco giochi, giardini): così facendo la rete comunitaria si allarga e si collega all’intera comunità territoriale circostante.
Sono attivi anche il portierato sociale, pranzi comunitari alcuni giorni alla settimana, recupero di prodotti alimentari vicini alla scadenza dai supermercati, il giardinaggio, l’orticultura e a volte attività artistiche o sportive.
Parlando con gli abitanti ho potuto cogliere un’importante caratteristica della comunità di famiglie IlGrappolo: in esse “c’è la consapevolezza che stiamo cercando di fare un pezzetto di strada insieme, puntiamo ad andare nella stessa direzione” racconta un uomo che vive nel villaggio “l’investimento nella relazione è comune, è diverso da un buon vicinato”.
Ogni abitante del Villaggio è tenuto a dare un suo contributo alla vita del Villaggio. Allora, c’è chi si impegna con l’orto, chi in cucina, chi si occupa della gestione dei turni per la pulizia degli spazi comuni, chi fra una sigaretta e l’altra fa da presidio e controlla i bambini, chi tiene incontri di lettura e chi si rende disponibile quando ce n’è bisogno.
Questo stimola un senso di utilità nelle persone e le mette in condizione di essere proattive nella creazione del proprio ambiente di vita, artefici della propria casa e del proprio benessere. Per questo si punta molto al rendere attivi anche i più sedentari e i nuovi arrivati.
Il Villaggio solidale si differenzia dalle comunità terapeutiche poiché punta molto all’autonomia del singolo, accolto e sostenuto dall’intera comunità di famiglie. “Sono più autonoma e indipendente, mi gestisco la mia vita quotidiana” mi confida un’ospite temporanea del Villaggio “nella comunità dove ero prima c’erano momenti in cui stava insieme, però era molto più strutturato, c’era l’educatore 24 ore su 24, tre turni di 8 ore, eravamo sempre coperti. Era meno vita normale, questo luogo è simile ad un contesto esterno”.
L’accoglienza di persone in difficoltà però deve essere ben calibrata. Bisogna essere sicuri che possa dare il suo contributo e riceverlo in maniera onesta e leale ed evitare qualsiasi tentazione di fare male a se stesso o alla comunità. “Quando si hanno persone con un passato di dipendenza (alcol, tossicodipendenze, gioco) il villaggio può non essere un contenitore adatto. Si può provare ma non sempre si può essere d’aiuto” mi spiega una dei referenti della struttura, ricordando alcuni casi in cui il Villaggio Solidale non poteva sostituirsi alla comunità terapeutica perché non detiene né strutture adatte né personale specializzato.
Alla fine della giornata ho notato anche dalle attente osservazioni dei miei interlocutori che l’aspetto più caratterizzante del villaggio è il contesto che vi si crea all’interno, è il senso che prende la parola abitare. È un luogo al quale puoi far concretamente riferimento, è un ambiente eterogeneo e molteplice, pieno di persone, esperienze e storie diverse. È un contenitore sfaccettato e ricco di diversità ma che nella complessità trova la sua forza.
E’ stato sorprendente trovare a due passi da casa mia, in piena pianura veneta, una realtà così attiva e concreta. Credevo che una certa visione sociale delle cose si stesse perdendo. Invece qualcosa c’è e cerca di aprirsi all’intero territorio circostante. Basta semplicemente suonare il campanello: sotto il portico c’è sempre qualcuno che ti apre e se ti perdi fra porte, portoni e giardini trovi qualcuno che posa quello che ha in mano e ti accompagna.