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Adozione: una scelta impegnativa

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Di adozione ultimamente si parla poco, benché resti una scelta che evoca una grande carica umana ed emotiva. E i numeri non sono incoraggianti, dal momento che attestano una drastica diminuzione delle richieste(1). Ciò accade malgrado negli ultimi venticinque anni in Italia sia raddoppiata la percentuale di coppie che non riesce ad avere figli. Ma evidentemente la maggior parte degli aspiranti genitori sceglie una strada diversa dall’adozione, visto che risulta in aumento il ricorso alla fecondazione assistita.
Adozione: una scelta impegnativa
Di adozione ultimamente si parla poco, benché resti una scelta che evoca una grande carica umana ed emotiva. E i numeri non sono incoraggianti, dal momento che attestano una drastica diminuzione delle richieste(1). Ciò accade malgrado negli ultimi venticinque anni in Italia sia raddoppiata la percentuale di coppie che non riesce ad avere figli, oggi si arriva a una coppia su cinque, e ciò per innumerevoli co-fattori, dall’età più avanzata in cui si decide di procreare allo stile di vita e alle condizioni ambientali(2). Ma evidentemente la maggior parte degli aspiranti genitori sceglie una strada diversa dall’adozione, visto che risulta in aumento il ricorso alla fecondazione assistita.
La diminuzione delle adozioni pare essere dovuto a più ragioni, un po’ gli effetti della crisi economica ma anche probabilmente per i tempi lunghi degli iter da seguire, l’età sempre più alta dei bambini e il fatto che, in tema di iter internazionali, in molti paesi è aumentata la domanda interna, fenomeno favorito dalle autorità.
L’adozione è, inoltre, una scelta di grandissima responsabilità, che implica una forte consapevolezza e che «necessità della disponibilità incondizionata della coppia ad accogliere il bambino che arriverà, con tutto il suo vissuto di abbandono, e ciò non è per nulla facile sebbene il percorso sia al tempo stesso molto gratificante» spiega Carla Casini, psicologa fiorentina che collabora con un ente che si occupa di adozioni internazionali. Anche questo incide, con ogni probabilità, sul trend a cui si assiste.
«C’è poi chi arriva alla scelta dell’adozione dopo uno o due tentativi di fecondazione medicalizzata e non ce la fa più, psicologicamente e fisicamente, a procedere in quella direzione» spiega la dottoressa Casini. «Insomma, anche i vissuti degli aspiranti genitori sono differenti e da tenere nella giusta considerazione ed è quello che i servizi sociali e gli psicologi fanno durante tutta la prima fase dei colloqui, quando si valutano e si approfondiscono le motivazioni».

Il lavoro psicologico

«Il grande rischio, di cui va resa consapevole la coppia, è quello di affrontare l’adozione rincorrendo la fantasia del proprio bambino ideale e attendendosi che corrisponda alle aspettative. Qui sta il lavoro psicologico di preparazione, per evitare poi situazioni che possano compromettere irrimediabilmente le relazioni».
«Ciò significa anche occuparsi delle dinamiche di coppia, perché la loro unione verrà messa indubbiamente sotto stress dall’arrivo del bambino e non devono mai sottovalutare la fatica che si troveranno ad affrontare» prosegue Casini.
Quando poi il bambino proviene da un altro paese, «la fatica per lui, e quindi per la famiglia, è ancora maggiore, almeno nei primi tempi, poiché deve adattarsi a un linguaggio diverso e a un ambiente totalmente diverso. Per definire questo periodo, che può andare da 5-6 mesi fino anche a 2 anni, ho coniato il termine disagio da adattamento, che può manifestarsi in vari modi secondo il temperamento di base del bimbo: c’è chi manifesta aggressività, chi rabbia, chi si chiude in se stesso e si isola, chi sviluppa un attaccamento eccessivo o ha crisi di pianto, e via dicendo».
«Mi è capitato di vedere il rifiuto del bambino nei confronti dei genitori o di un genitore in particolare» prosegue Casini, «e l’attaccamento del bimbo a una figura sola facendo scattare nell’altra un sentimento di esclusione, che può portare a covare sentimenti di disagio, delusione, rabbia. E magari, il genitore investito della totalizzante ricerca di affetto può sentirsi troppo responsabilizzato o appesantito. Insomma, ci sono tante evenienze possibili e tutte possono innescare nelle coppie determinati vissuti che possono incrociarsi con quelli del bambino e creare dinamiche negative. L’apporto di uno psicologo può essere fondamentale, talvolta è un ausilio indispensabile; non ci si deve fare scrupoli a chiedere aiuto se si è in difficoltà, perché così i problemi si risolvono più rapidamente».

Accettazione incondizionata

«Io raccomando a tutti i neo-genitori adottivi di tenere sempre presente la storia del bambino, come e quanto parta svantaggiato, perché solo così possono farsi una ragione di eventuali rifiuti, aggressività o problemi di varia natura» continua la dottoressa Casini. «A ciò va unita un’accettazione quasi incondizionata nei suoi confronti, perché la paura più grande è quella di essere abbandonati nuovamente; per questo spesso innescano gli atteggiamenti che mostrano, perché inconsciamente o vogliono scongiurare un nuovo abbandono o si preparano a soffrire di meno se pensano che ciò possa accadere».
«Certamente vanno date delle regole, ma si possono anche introdurre e formulare gradualmente, via via che il rapporto si struttura. Ciò che noto spesso nelle coppie è la difficoltà oggettiva di diventare genitori dall’oggi al domani a tutti gli effetti, senza alcun passaggio graduale; e magari con già un bambino di un anno e mezzo o due, se non di più, avendo saltato tutti i passaggi fisici e psicologici di una maternità e paternità biologica. È destabilizzante e ciò rende ancor più necessario lavorare su di sé per arrivare a un assetto psicologico solido, che predisponga all’accoglienza. I bambini sono molto sensibili su questo fronte, se avvertono anche una minima sensazione di delusione da parte dei genitori, reagiscono male e possono presentarsi problemi maggiori. Va tenuto bene a mente che i genitori adottivi hanno anche una funzione riparativa, per compensare lo svantaggio in cui sono nati e vissuti i bambini che arrivano in famiglia, segnati dalla ferita dell’abbandono».
«Esistono situazioni in cui la coppia manifesta delusione, ma avviene di rado apertamente» prosegue Casini. «Mi sono capitati neo-genitori che mi hanno portato il bimbo chiedendomi se potesse avere qualcosa che non andava; ebbene, vanno rassicurati e sostenuti. È molto più raro invece quello che viene definito il fallimento adottivo, cioè la situazione in cui la coppia restituisce letteralmente il piccolo. Si tratta di un’esperienza devastante per il bimbo, perché per lui è l’incubo più grande che diventa realtà, un nuovo abbandono. In questo caso, le coppie non possono più avanzare alcuna ulteriore richiesta di adozione. Detto questo, nella maggior parte dei casi dopo l’incontro genitori-figli, fin da subito o comunque a breve o medio termine, nasce un’esperienza familiare bellissima, gratificante; le difficoltà, e in particolare la loro risoluzione, non fanno altro che rendere questo percorso ancora più significativo e soddisfacente: è pur vero che il percorso adottivo è un percorso in salita in alcuni momenti, ma arrivare in cima alla salita è veramente emozionante».

Costruire una nuova fiducia

I bambini adottati, dunque, devono imparare, faticosamente, a fidarsi di nuovo, «e di solito è per questo che mettono alla prova i genitori» spiega Mariangela Corrias, psicologa brianzola consulente per un’associazione che si occupa di fornire informazioni sulle adozioni. «Il piccolo fatica a credere che la sua nuova situazione sia qualcosa di reale. Ho visto bambini che per mesi si alzavano di notte per andare a controllare se i nuovi genitori c’erano ancora, perché purtroppo nella loro breve vita hanno avuto esperienza solo di adulti non affidabili».
«I servizi sociali e gli psicologi spesso mettono un po’ alla prova la coppia, a volte arrivano a provocare; i genitori si sentono messi sotto accusa e si generano resistenze, che però vanno superate. La coppia non deve mai dimenticare che il punto di riferimento è il bambino, non i genitori; si lavora per lui».

L’iter e i colloqui

Ma vediamo più nel dettaglio qual è l’iter per arrivare ad adottare un bambino. «Innanzi tutto occorre che la coppia sia sposata da almeno 3 anni, a meno che non dimostri di avere convissuto anche prima del matrimonio per un periodo totale analogo» spiega la dottoressa Corrias. «Il bambino deve inoltre essere stato dichiarato in stato di abbandono, quindi non riconosciuto alla nascita oppure senza parenti in grado di occuparsene, né assistenza materiale o morale, purché ciò non sia dovuto a cause di carattere transitorio e quindi risolvibili. In quest’ultimo caso solitamente si ricorre all’affido temporaneo. Nelle adozioni internazionali, inoltre, non deve esserci possibilità di avere sussistenza nel paese di origine. Esiste poi il vincolo di età, ossia la differenza di età tra il bambino e i genitori deve andare dai 18 ai 45 anni, a parte qualche deroga per casi particolari valutati dal tribunale dei minori».
«La coppia, quando decide, presenta alla cancelleria del Tribunale dei minori quella che si chiama disponibilità all’adozione» prosegue Mariangela Corrias. «Poi i percorsi si differenziano. Per le adozioni internazionali, occorre un decreto di idoneità emesso dal Tribunale, preceduto dall’osservazione e valutazione da parte dei servizi sociali, che presentano una relazione al giudice minorile. Poi la coppia dà mandato all’ente prescelto che si occuperà dell’iter per l’individuazione e l’arrivo del bambino e che ha il dovere di seguire i neo-genitori anche nel periodo successivo. Nell’adozione nazionale, invece, la coppia presenta la disponibilità e aspetta che il tribunale la convochi per la proposta di abbinamento. I giudici hanno 3 anni di tempo per muoversi, dopo i quali la domanda va considerata scaduta e ne va presentata un’altra».
Uno dei punti dolenti del percorso, criticato da più parti, è rappresentato dai lunghi tempi di attesa. «C’è da dire che, malgrado i bambini in istituto siano tantissimi, non tutti vengono dichiarati adottabili. Inoltre, il numero delle domande non corrisponde esattamente alle coppie in attesa, poiché una coppia può presentare domanda in più tribunali».

I colloqui e le insicurezze

«Sì, può creare angoscia avere a che fare con i servizi sociali durante il periodo in cui la coppia viene valutata, ma è bene che gli aspiranti genitori si sentano liberi di comportarsi nel modo più naturale possibile, perché hanno tutto da guadagnare nel mostrarsi così come sono, anche ponendo domande ed esprimendo dubbi»: è il consiglio di Déborah Schouhmann-Antonio, terapeuta ed educatrice perinatale francese, autrice del libro Infertilità. Guida pratica per la coppia (Terra Nuova Edizioni).

«Il percorso è spesso molto lungo, bisogna armarsi di pazienza, confrontarsi anche con altre culture; insomma, è una strada in salita» benché possa rivelarsi estremamente gratificante».

Tempo e pazienza

Poi quando il bambino arriva, «i neo-genitori devono concedergli e concedersi tutto il tempo necessario a trovare un equilibrio, a stabilire una fiducia reciproca, senza esitare a rispondere alle sue domande con totale trasparenza. Chi accoglie fa parte di una famiglia più ampia ed è fondamentale che amici e parenti possano condividere questa situazione, perché il bambino si dovrà integrare in un gruppo, non solo in una coppia».
«L’incontro con il bambino non sarà privo di difficoltà: è raro che si stabilisca una fiducia immediata, ci si dovrà “addomesticare” a vicenda per creare insieme una famiglia» prosegue Déborah Schouhmann-Antonio. «I genitori devono imparare ad avere fiducia in se stessi, ad ascoltare il proprio istinto. Vivranno momenti di dubbio, possono permettersi di abbassare la guardia, non si deve dimostrare di essere perfetti. Ciò che è importante, e che il bimbo si aspetta, è di essere sostenuto, rassicurato, capito».
Anche in questa sfida vincono, dunque, consapevolezza e amore.
1)    https://eurispes.eu/rapporto-italia-2019-non-e-mai-facile-diventare-genitori
2)    Piano nazionale per la fertilità, Ministero della Salute, www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2367_allegato.pdf

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