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Bambini difficili o talenti nascosti?

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«Dietro alla cosiddetta sindrome da deficit di attenzione e iperattività, spesso si nasconde in realtà un talento che noi non siamo ancora in grado di riconoscere ed accettare. Anche se si tratta di risorse di cui la nostra cultura attuale ha estremo bisogno». Intervista al professor Henning Köhler.
Sempre più spesso si sente parlare di bambini «difficili», e delle sindromi da iperattività e deficit di attenzione (ADHD). A fasi alterne si riaccendono i dibattiti circa l’opportunità di autorizzare la somministrazion di psicofarmaci, primi fra tutti il Ritalin, ai bambini. Eppure ci sono altre prospettive su questi temi.
Da un lato, si avanzano prove della connessione fra il consumo di coloranti e zucchero bianco e l’aumento di irrequietezza nei bambini, dall’altra si aprono delle prospettive educative per rispondere a queste domande. Henning Köhler è pedagogista, terapista e ricercatore, fondatore dell’Istituto Janus Korczak di Nürtingen (Stoccarda), nel quale un team di specialisti offre servizi di consulenza e terapia, rivolti a bambini, adolescenti e famiglie, e autore di numerosi libri.
Con il suo lavoro, egli rivolge uno sguardo nuovo ai bambini «difficili», portando all’attenzione come questi comportamenti siano frutto di un disagio, non tanto da reprimere, quanto da ascoltare, e sottolineando l’importanza del recuperare uno sguardo positivo sull’infanzia e sulle risorse che ogni bambino porta in sé, come «progetto di vita».
Incontriamo il professor Köhler durante un seminario, insieme alla sua collaboratrice, la dottoressa Ute Wagner Zavaglia.
Professor Köhler, cosa l’ha portata ad affermare che non esistono bambini difficili?
Prof. Köhler: I bambini vengono al mondo con una fiducia intatta nel fatto che il mondo sia buono, ma sperimentano poi una delusione. Il loro comportamento, che a noi appare difficile, è la conseguenza di questa delusione, di questo disorientamento, del quale essi non hanno alcuna responsabilità.
Ma c’è anche un altro aspetto: oggi abbiamo perso la capacità di riconoscere cosa è l’infanzia, e consideriamo «difficile», ciò che in realtà è genuinamente infantile, anche se non corrisponde alle aspettative degli adulti.
Come mai si osserva un aumento dei bambini considerati «difficili»?
Prof. Köhler: La definizione di «normalità» si sta progressivamente restringendo, e tanto più questo accade, quanto più i comportamenti dei bambini vengono considerati anormali e vengono trovate nuove definizioni di patologie ad essi legate. Ne sono un esempio le diagnosi di legastenia e dislessia. Cento anni fa era considerato normale che i bambini non sapessero né leggere né scrivere fino ad un’età avanzata. Con l’arrivo dell’alfabetizzazione universale si è instaurata una costrizione di modi e tempi per imparare a leggere e scrivere, così è comparso un nuovo problema, ben presto individuato e diagnosticato come patologia.
Analogamente, nel 1986 è stata introdotta la discalculia come quadro patologico: a un certo punto i bambini che non sapevano fare i calcoli venivano considerato malati. Con l’ADHD è accaduto qualcosa di simile. Nelle condizioni di vita attuali, soprattutto nelle grandi città, viene fortemente limitata la possibilità dei bambini di muoversi liberamente, così i bambini particolarmente vivaci vengono etichettati come patologici, anche se in condizioni diverse non sarebbero stati considerati tali.
Dott.ssa Wagner-Zavaglia: Le costrizioni che i bambini sperimentano sono rafforzate dal fatto che il nostro modo di pensare attuale si sviluppa sempre più verso un pensiero organizzato secondo schemi e regole, e questo contribuisce ad allontanare dalla comprensione di ciò che è infantile, poiché infanzia significa anche movimento ed assenza di regole.
Se le sindromi da iperattività sono il prodotto delle condizioni di vita attuale e frutto di un’immagine distorta che gli adulti proiettano sui bambini, che significato ha l’utilizzo del Ritalin?
K: Bisogna innanzitutto chiarire che quando al bambino viene attribuito un disturbo da parte degli adulti, questo nasce come una proiezione degli adulti su di lui. Ma proprio per la presenza di questa diagnosi, il bambino si trova in una situazione di pressione interna, che provoca paure, angosce ed insicurezze, e genera in lui comportamenti veramente distorti, frutto di un’aumentata confusione. Il Ritalin è un farmaco forte che cerca di reprimere ed eliminare questi comportamenti, i quali in realtà andrebbero considerati come espressione di un disagio per il contesto in cui si trovano.
W-Z: Questo tipo di diagnosi si interessa al cervello del bambino, va a cercare la disfunzione o la malattia. Così facendo, però, si perde di vista l’ambito delle relazioni all’interno del quale è sorto il problema, e si dimentica di porre attenzione ai rapporti stessi.
K: I bambini ai quali viene diagnosticata l’ADHD sono per lo più quelli con un ricco mondo emozionale, quindi al contempo molto impulsivi, ma anche dotati di una grande capacità di amare. Il Ritalin inibisce la capacità del bambino di muoversi all’interno del mondo emozionale, ed in questo modo gli impedisce di imparare a gestire le proprie emozioni. Il farmaco prende il posto di un compito che è proprio dell’io del bambino, impedendo questo processo di apprendimento emotivo, che in re- altà è proprio l’ambito in cui il bambino ha più bisogno di maturare.
Quali sono le alternative terapeutiche?
K: Se noi riconosciamo per tempo le necessità e la sofferenza del bambino senza inquadrarlo come patologico, in realtà non abbiamo nemmeno bisogno di una terapia in senso stretto. Tutto ciò che promuove la vita creativa diventa terapeutico: attraverso l’attività artistica si può raggiungere proprio ciò di cui questi bambini hanno bisogno, ovvero acquisire la capacità di gestire le proprie emozioni. Se nelle nostre scuole l’insegnamento fosse compenetrato di attività artistiche, e si offrisse la possibilità di sperimentare, creare, dipingere, e se i bambini avessero la possibilità di muoversi in maniera del tutto libera, danzare, essere nella natura, allora non ci sarebbe proprio bisogno di terapia. Naturalmente, se i bambini si trovano già nello stato di costrizione di cui abbiamo parlato, è necessario agire in maniera terapeutica mirata, e la via maestra è una combinazione di terapia artistica e corporea, ed un sostegno nell’elaborazione dei conflitti, utilizzando strumenti adeguati ad ogni età.
W-Z: Quando si lavora con questi bambini bisogna tenere presente che la loro ricchezza emotiva li rende fortemente empatici verso il mondo. Essi sono animati da un forte impulso ad aiutare gli altri ed impegnarsi a fondo in qualcosa, perciò è bene non creare per loro un ambiente infantile artificiale, ma piuttosto sostenere la loro relazione al mondo ed infondere in loro la sensazione di essere accettati e la sicurezza che possano rendersi veramente utili.
K: Vorrei presentare un setting terapeutico come esempio: un bambino di 10 anni ha problemi di apprendimento scolastico, e ci si interroga sull’opportunità di somministrargli il Ritalin, oppure già lo sta prendendo. Per lavorare in maniera alternativa con questo bambino bisogna innanzitutto dargli la possibilità di parlare dei propri conflitti, in un rapporto di fiducia con il terapeuta, attraverso il racconto e la creazione di fiabe e storie, oppure giochi di rappresentazione. In secondo luogo dovrebbe beneficiare di una terapia artistica: pittura, musica o altre attività che il bambino faccia volentieri. Infine, è necessario lavorare sul corpo, ad esempio proponendo dei massaggi ritmici, oppure il tiro con l’arco, fatto secondo l’antico metodo zen. Insieme a questo, è indispensabile che le principali figure di riferimento per il bambino, genitori, insegnanti, educatori, collaborino in quello che noi chiamiamo «il cerchio protettivo», ovvero si impegnino a prendere coscienza degli aspetti positivi di questo bambino, togliendosi di dosso gli «occhiali» che fanno vedere solo difetti e problemi.
Cosa possono fare i genitori?
K: La cosa fondamentale è che i genitori smettano di avere paura che il proprio figlio sia sbagliato. Dovrebbero diventare consapevoli di essere i veri «esperti» per relazionarsi al proprio figlio. Io cerco sempre di restituire ai genitori la fiducia perduta nella loro competenza genitoriale, e quando questo accade, essi trovano da sé ciò che è bene per il proprio figlio. I genitori possono essere di grande importanza per favorire la maturazione dei sensi basali, soprattutto nel contesto di vita delle nostre città, dove questo sviluppo può essere particolarmente compromesso.
Lavorando con i bambini, lei ha osservato la comparsa di «nuovi talenti» nelle generazioni attuali.
K: Io osservo ormai da 20 anni dei cambiamenti nei «nuovi» bambini, ed in Germania sono uno dei primi che ne ha parlato. Ritengo che dietro al cosiddetto disturbo dei nuovi bambini, spesso identificato con l’ADHD o ADD, si nasconda in realtà un talento. Io mi sto occupando di diverse tipologie di bambini e ritengo che dietro alla cosiddetta sindrome da deficit di attenzione e iperattività, spesso si nasconde in realtà un talento che noi non siamo ancora in grado di riconoscere ed accettare. Anche se si tratta di risorse di cui la nostra cultura attuale ha estremo bisogno.
La prima tipologia comprende bambini con forti angosce, che in realtà sono fortemente dotati dal punto di vista sociale.
La seconda riguarda bambini a cui viene diagnosticato l’autismo o una estrema introversione, mentre in realtà portano con sé una genialità dal punto di vista dell’attività immaginativa: sono delle vere e proprie anime poetiche.
La terza comprende bambini che nel contesto scolastico sono completamente fallimentari, mentre hanno un talento nel lavoro pratico, concreto: essi sono in un certo senso i custodi della realtà, in un’epoca nella quale si è sempre più scollegati dalla realtà.
La quarta tipologia è quella dei bambini iperattivi, che realizzano ciò che Marx affermava, ovvero «bisognerebbe fare in modo che le relazioni danzino».Essi sono i portatori di un’estrema flessibilità ed adattabilità, proprio ciò di cui si parla oggi in economia, riguardo alle future necessità dell’uomo moderno.

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova

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