Francesco Tonucci è l’ideatore del progetto internazionale “La città dei bambini”, che da più di 20 anni promuove l’autonomia e la partecipazione dei bambini alla vita della città. Ed è proprio lui che ci parla della necessità di tutelare i più piccoli dalle auto sulle strade dei nostri centri abitati.
l diritto dei bambini di muoversi sulla strada, in sicurezza e autonomia, è sempre più compromesso dall’alta motorizzazione del Paese. Idealmente in Italia ogni bambino è circondato da 5 auto (40 milioni di auto contro 8 milioni di bambini). Ne parliamo con Francesco Tonucci, responsabile del Laboratorio di Psicologia della Partecipazione infantile dell’ Istc-Cnr, ideatore del progetto internazionale “La città dei bambini”, che da più di 20 anni promuove l’autonomia e la partecipazione dei bambini alla vita della città.
Negli ultimi mesi purtroppo ci sono stati molti incidenti che hanno visto bambini travolti dalle auto. Cosa si può fare per aumentare la sicurezza dei bambini sulla strada?
Non si tratta solo della sicurezza dei bambini ma della sicurezza di tutti. Si dovrebbe cominciare a considerare assurdo morire per un incidente d’auto o di moto. L’auto è nata solo per la nostra comodità e non è ammissibile continuare a tollerare che uccida. E in Italia uccide tre volte quanto il lavoro, uccide specialmente i nostri figli e nipoti, è la prima causa di morte in Europa per i minori. Si possono progettare e realizzare strade dove sia impossibile un incidente mortale, si possono probabilmente costruire macchine che rendano impossibili questi incidenti, si può intervenire con sanzioni molto più severe che impediscano questa strage. Si potrebbe fare.
Eppure sempre più genitori accompagnano i figli a scuola in auto e così sempre più le strade diventano pericolose, in un circolo vizioso senza fine…
È vero. Basti pensare che in Italia il livello di autonomia dei bambini è fra i più bassi del mondo e il numero di auto per abitanti fra i più alti (637 auto ogni 1000 abitanti ndr). Certamente fra i due fenomeni c’è una relazione e gli amministratori delle nostre città dovrebbero interpretarla e capire che è urgente restituire autonomia ai bambini e contemporaneamente ridurre il numero delle auto private e il loro potere. Si tratta di programmi urbanistici ben più ambiziosi che una singola isola pedonale o una ZTL.
Lei quindi crede che per realizzare il sogno “città dei bambini” il tasso di motorizzazione vada ridotto?
Dai dati che abbiamo risulta che gli italiani hanno più auto che figli. Varrebbe la pena riflettere su questo, non solo per i temi di mobilità e sicurezza ma anche per le implicazioni sociali e morali. È evidente che se una città vuol essere “dei bambini”, che significa essere di tutti, dovrà riconoscere le persona come “padrone” della città e quindi restituire proprio alle persone lo spazio pubblico che attualmente è quasi completamente “proprietà” dei mezzi motorizzato. È evidente che numeri così elevati di auto sono incompatibili con città che vogliono essere belle, sane e sicure. Ci sono esempi virtuosi in Europa che possono essere esaminati e imitati. Per esempio l’esperienza della città di Pontevedra, in Spagna, che si è posta questo obiettivo fin dall’inizio della attività di governo di questa amministrazione. Una città di 80.000 abitanti nella quale si è restituito lo spazio pubblico alle persone rendendo difficile l’uso dell’auto in città, favorendo il movimento autonomo. Ha ridotto del 70% l’emissione di CO2 e il numero di incidenti e da dieci anni non ha morti per incidenti stradali. Si può imparare e imitare.
E’ nata una campagna “strade scolastiche” per realizzare aree car free davanti alle scuole, per renderle obbligatorie a livello nazionale. Crede sia una buona idea?
Tutto quello che si può fare per restituire alle persone lo spazio pubblico della città è una buona idea. Da quasi trent’anni però, con il nostro progetto “La città delle bambine e dei bambini” facciamo una proposta più radicale e, credo, urgente e necessaria: che i bambini possano tornare a muoversi nella città senza essere accompagnati da adulti. Che possano andare a scuola con i loro amici e che possano nel pomeriggio andare insieme a giocare scegliendo i loro giochi e i luoghi adatti per viverli. Le cose più importanti nello sviluppo di una persona si fanno nei primi mesi e anni di vita. Una città democratica e preoccupata per il suo futuro si preoccupa che i suoi cittadini più piccoli possano giocare in forme autonome, con gli amici e in un tempo libero, come promette l’articolo 31 della Convenzione dei diritti dell’infanzia.
Eppure ancora troppe scuole primarie non permettono ai bambini di andare e tornare da scuola da soli. Come mai?
La legge del 2017 (la numero 272, all’articolo 19-bis. Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici, ndr) permette ai genitori che lo desiderano di lasciare uscire i propri figli da soli esonerando la scuola da qualsiasi responsabilità (che ovviamente si assume la famiglia). Nonostante questo molti dirigenti scolastici non lo permettono, seguendo la solita logica di non cambiare mai niente per non rischiare niente. Si dovrebbe invece aprire un dibattito nel quale le famiglie dovrebbero essere protagoniste per rivendicare non solo il diritto ma il dovere dei bambini di andare e tornare da soli perché questo richiede un loro corretto sviluppo. Abbiamo problemi come l’obesità infantile che dipende molto dalla scarsa mobilità autonoma e abbiamo problemi di deficit di attenzione che recenti ricerche hanno dimostrato dipendenti in buona parte dalla modalità con la quale i bambini vanno a scuola. I bambini che vanno a scuola a piedi hanno un livello di attenzione significativamente più alto dei bambini che vanno a scuola in macchina con i genitori. Dovrebbero essere sufficienti questi dati per favorire e proteggere la mobilità autonoma dei banbini.