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Dislessia, la “patologia” a tutti i costi

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La dislessia è stata, con ostinazione e pervicacia, trasportata in ambito patologico e sanitario con iter e prassi di dubbia liceità. Lo dice il vicepresidente dell’Unione Italiana Pedagogisti.
La letteratura, i pronunciamenti e le esperienze cliniche “affermano univocamente” che la dislessia “non comporta ritardo mentale, disturbi percettivi, disturbi psicologici e, complessivamente, non costituisce una patologia”. Malgrado ciò, “si è determinata in Italia una radicale collocazione del problema in ambito sanitario, sulla scorta di norme nazionali e regionali insistenti nel rendere obbligatoria una diagnosi di mano neuropsichiatrica o psicologica per condizioni quasi sempre del tutto estranee a patologie o disturbi di natura psichica”. Lo ha affermato Piero Crispiani, docente dell’Università di Macerata e vicepresidente dell’Unione italiana pedagogisti (Uniped), secondo cui “il fenomeno è stato radicalmente patologizzato e portato in ambito sanitario, caricandolo di significati che non possiede e attivando un percorso di certificazione, o schedatura, di dubbia liceità”. Lo stesso affermato “principio di sottoporre tutti i bambini in odore di Disturbo specifico di apprendimento (Dsa) alla valutazione neuropsicologica appare in forte contrasto con i costumi e i principi delle pratiche professionali sanitarie- ha proseguito il professore- che riservano gli esami ai casi che ne denotano motivi di sospetto, non ‘erga omnes'”.Secondo Crispiani, sono “molteplici i motivi che meriterebbero rianalisi critiche, o aggiornamenti, da parte degli estensori di documenti pur importanti, che rileggano temi fondamentali: come si legge e scrive, cos’è il vero ‘errore fonologico’, quale compromissione prassico-motoria, cos’è veramente il visuo-motorio, quali i sintomi grafico-motori, spazio-temporali, cosa c’entra la discalculia, quali gli indicatori della dislessia, quale prevenzione e quali possibili miglioramenti”. Non di meno critica, per il vicepresidente dell’Uniped, è “la concezione tradotta per la scuola, l’invito a ‘misure compensative’ in sè interessanti ma fatalmente confuse con quelle meramente sostitutive (calcolatrice, tastiere, audiolibri). Da ridiscutere con attenzione- ha sottolineato il professore- le ‘misure dispensative’ per gli ovvi inconvenienti connessi ad atteggiamenti di insegnanti, genitori, ecc. I motivi di discussione sarebbero moltissimi, sono presenti nelle convinzioni di moltissimi, appartenenti ad ogni ambito (inclusi psicologi e neurologi), e meriterebbero un allargato consensus”. Anche la scuola, “già prostrata da problemi propri, necessiterebbe di un allentamento della pressione su questo tema e di maggiore chiarezza, evitando l’imposizione di modalità molto discutibili, talvolta in contrasto con la missione propria dell’educazione (supplire, sostituire, evitare, by-passare). In definitiva- ha concluso Crispiani- ripensare per intero il sistema, dal piano teorico alle indicazioni procedurali alle normative, per garantire una migliore ‘presa’ rispetto al problema della sindrome dislessica e per restituire alle competenze pedagogiche e didattiche la pertinenza sulle pratiche educative”.

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