Viviamo un momento storico-sociale in cui il senso del pericolo dovuto a una percezione di continua e cronica emergenza innesca in tanti di noi, ma soprattutto nei bambini e nei ragazzi, un’ansia profonda e una sfiducia pervasiva nel futuro, che spesso mina alla base la capacità di sognare, di progettare, di provare entusiasmo e fiducia.
La crisi climatica, le guerre, i virus noti e non noti, previsioni sempre più fosche per un futuro sempre più incerto, tutto concorre a destabilizzae le giovani generazioni. Cosa sta accadendo? E cosa fare dunque? Cosa mettere in campo per fare in modo che i giovani abbiano strumenti per uscire dall’impasse?
Ne parliamo con Cecilia Fazioli, pedagogista e counselor che da anni lavora con i genitori e con i ragazzi per individuare nuove prospettive e nuove vie nell’educazione.
Dottoressa Fazioli, cosa è bene avere chiaro per comprendere quanto sta accadendo?
«La nostra è un’epoca che si caratterizza per essere letteralmente avvolta dall’informazione che, in ogni angolo, grida messaggi dai contenuti emergenziali, paurosi, catastrofici e violenti. Infodemia qualcuno la chiama, ovvero una sovrabbondanza di informazioni, non sempre accurate, a volte in contraddizione fra di loro. Diviene evidente che a fronte di un tale scenario, c’è un meccanismo di difesa che si innesca nelle persone, ovvero si riparano per poter sopravvivere e fronteggiare le avversità; e l’ansia che sopraggiunge è una condizione di difesa. L’ansia e la paura sono oggi collegate a livello mediatico anche al termine ecoansia, che indica una specifica ansia generata da una narrazione che dipinge scenari futuri senza futuro. Può l’essere umano vivere senza la prospettiva del futuro? Senza avere modo di progettarsi? È forse un attacco alle nuove generazioni, per sgretolare i loro sogni e progetti futuri? Sono quesiti legittimi, che non vogliono andare a indagare le ragioni che sottendono al problema delle condizioni climatiche, ma vogliono piuttosto indagare la qualità esistenziale dei giovani oggi».
Come può agire oggi un educatore che ha consapevolezza di tutto ciò?
«Da operatore dell’educazione, il principio guida che mi conduce nei processi è quello di coltivare il dubbio. Dubitare significa riflettere e continuare nella ricerca; coltivare il dubbio dentro di sé è un atto di rispetto nei confronti dell’altro e di responsabilità individuale nell’agire con e per gli altri. Dubitare non è solo una responsabilità di coloro che si occupano di educazione, ma è dovere di tutti gli adulti e soprattutto di chi ha incarichi rivolti alla collettività, come gli insegnanti, gli scrittori, i giornalisti che attraverso le loro ricerche e i loro scritti alimentano pensieri, opinioni, idee. Oggi manca lo spazio del confronto, dell’approfondimento, della riflessione, non c’è spazio per una ricerca indipendente che consegni al fruitore finale, ovvero il cittadino, l’opportunità di alimentare il proprio libero pensiero. Chi è capace di creare uno spazio interiore critico, attraverso cui muoversi per cercare le possibili risposte e riconoscere il valore della sua ricerca, compie un atto vitale, necessario per interrompere la condizione di dipendenza dagli eventi, dalle opinioni e sbloccare l’ansia. Praticare un pensiero libero significa praticare la verità individuale, contraria all’individualismo che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni perché appesi a una sola parola: “profitto”; è nella pratica libera che riusciamo ad affondare sempre più le radici nel terreno esistenziale e generare benessere per sé e per gli altri».
Come porsi di fronte a bambini e ragazzi che ogni giorno sentono ripetere che per loro non ci sarà futuro?
«La responsabilità della comunicazione e dell’insegnamento è quello di non scrivere a caratteri cubitali “i giovani soffrono di ansia”, poiché è certo che così facendo prima o poi si viene contaminati da uno stato di disperazione. Inoltre, spesso si aggiunge il prefisso “eco”, parlando di ecoansia. Perché aggiungerlo, visto che la sensazione già di per sé contiene il senso del limite, del fallimento? Trovo più azzeccato parlare di epoca delle passioni tristi come la definisce Spinoza, perché segnata da un senso di di impotenza e incertezza. Finora siamo stati educati alla fede nel progresso, a una felicità e libertà improntata sul dominio di sé, dell’ambiente, degli altri. E i termini che si usano oggi per definire il disorientamento dei giovani fanno leva sul bisogno di classificare, codificare affinché le persone si identifichino e perciò si sentano malate con il bisogno di farsi curare. Uno slogan alternativo potrebbe essere costruito con altre parole, che rilanciano in modo costruttivo, per esempio: “Sempre più giovani vogliono cambiare lo stato delle cose, non vogliono essere passivi di fronte alle tante difficoltà che questo tempo storico impone”; parole che restituiscono un senso vitale e non mortifero, perché chi si sente sopraffatto dall’ansia porta dentro di sé sensibilità, responsabilità e rispetto e non desidera dominare, ma mettersi al servizio. Il dubbio che ho è che ci sia l’intenzione di crescere una futura generazione molle, incapace di dare forma al proprio destino, piegata dalle paure, sulla malattia, attanagliata nella morsa di essere solo nella condizione di perdita. Un dubbio che, da educatrice, mi costringe a un’altra riflessione: se i giovani sono smarriti perché impauriti, dove sono gli adulti che possono accorrere in aiuto? È forse che in questa trappola di un futuro senza futuro stanno trascinando tutti?».
Quanto è impattante un clima di ansia e di emergenza per le generazioni che crescono immerse in esso?
«Uno dei compiti fondamentali da portare avanti per l’essere umano è quello di farsi domande. Nel periodo dell’infanzia il pensiero magico/animista accompagna il bambino nel conoscere il mondo che lo circonda, ed è grazie a questa fase che successivamente il bambino approda a un pensiero concreto/logico attraverso il quale negli anni apprende a portare dentro di sé il senso della morale e del bene supremo, ovvero a ricercare e esplorare nell’esperienza di vita il senso della giustizia, della pace, del rispetto, della verità. La ricerca di senso esistenziale, in questo tempo dai contorni incerti e fluidi, come ci ha ben descritto il sociologo Bauman, si compone di un vagare tra incertezza e smarrimento, nel tentativo di trovare ancoraggi utili per sentirsi nutriti, cullati e al sicuro. Cercare senza indossare gli occhiali giusti porta in sé il rischio di essere abbagliati da effetti speciali che solo in superficie quietano, alimentando un senso di insoddisfazione che piano piano porta a spegnersi interiormente. In questo errare si insinua l’ansia, che è la risposta della persona che non trova un punto di approdo, dove so-stare e così avere tempo e spazio per sintonizzarsi con la propria parte volitiva che se bene esercitata è capace di generare speranza per investire sul futuro, sia individualmente che collettivamente. L’ansia è una reazione anticipatoria caratterizzata da preoccupazione, apprensione, paura, manifestazioni fisiologiche e di tensione psicofisica, di fronte a uno stimolo o a un evento negativo futuro, che non è realmente presente o che potrebbe accadere. La tendenza è un comportamento che si esprime nel vivere proiettati sul dopo, anziché sul presente. Mente e corpo si muovono come inclinati in avanti ed è evidente che questa postura fa perdere equilibrio, un equilibrio emotivo disgregato indebolisce la persona. È a partire da questo squilibrio che si innesca un circolo vizioso che alimenta una dimensione mortifera, perché si finisce per percepirsi inadeguati rispetto agli eventi».
Come e in che modo gli educatori possono intervenire per offrire aiuto e sostegno?
«Da pedagogista sento la responsabilità di interrogarmi sui possibili aiuti rivolti ai giovani che sono esposti all’influenza dell’infodemia e mi interrogo anche sui bambini che assorbono, senza ancora essere dotati di una matura consapevolezza, le emozioni legate alla paura che regna sovrana nelle esistenze degli adulti che hanno il compito di accompagnarli, sostenerli e proteggerli. Il bisogno di sentirsi protetti e in sicurezza è proprio del cucciolo d’uomo; per alcuni è una ricerca interiore che non viene abbandonata mai, proprio perché è una sostanza di cui non sono stati nutriti, nei primi anni di vita. E questo spiega come le tante emergenze trascorse in questi ultimi tempi non siano state vissute e interiorizzate da tutti con la stessa intensità di paura, di smarrimento, di ansia e preoccupazione. Solo mettendosi in cammino è possibile trovare quanto serve; il cammino di esplorazione, di ricerca, di riflessione richiede una condizione ci solidarietà con gli altri, affinché la paura possa essere dissolta grazie alla condivisione. Dall’interazione e dal dialogo si trovano le condizioni per proteggersi e proteggere l’altro. È fondamentale non rimanere isolati con la propria ansia e paura; nella relazione le persone sono contemporaneamente contenuti e contenitori e questo innesca un sistema virtuoso che genera benessere. Occorre uscire dall’illusione che esistono coloro che possiedono ricette salvifiche, è invece da recuperare e valorizzare il senso del proprio processo interiore attraverso il quale possiamo cambiare la modalità con cui portiamo dentro l’esperienza e accendere la nostra luce interna. Ognuno di noi può compiere atti vitali, che nutrono sé e gli altri. E l’educatore deve favorure questo processo. Tre direzioni interessanti vanno intraprese per distrarre mente e corpo dall’ansia e coltivare una visione di cuore: riscoprire la gioia del fare disinteressato, dell’utilità dell’inutile, del piacere di coltivare i propri talenti senza avere fini immediati. Seguendo questi sentieri possiamo essere luce per noi stessi. E così ci ricorda Krishnamurti: “Che cosa ci farà cambiare? Altri shock? Altre catastrofi? Altre forme di governo? Immagini diverse? Differenti ideali? Ne avete già una vasta gamma, eppure non siete cambiati. Più sofisticata diventa la nostra istruzione, più diventiamo civilizzati, civilizzati nel senso di sempre più lontani dalla natura, e più diventiamo inumani. Quindi, che cosa fare?. Dato che nessuna di queste cose esterne mi sono d’aiuto, compresi tutti gli dèi, è evidente che devo conoscere da solo me stesso. Devo vedere ciò che sono e trasformarmi radicalmente. Da questo si manifesterà la bontà, e allora potremo creare una società buona”. Ognuno di noi può compiere atti vitali, che nutrono sé, gli altri e l’ambiente. Bambini e giovani hanno bisogno di uno sguardo luminoso».
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LETTURE UTILI
La scuola parentale è una scelta possibile sancita dalla Costituzione, anche se poche famiglie la conoscono. Il termine “parentale” indica proprio che si tratta di una forma di organizzazione e proposta educativa che parte dalla volontà e dalle riflessioni dei genitori; di quei genitori, soprattutto, che cercano una vera e propria alternativa alla scuola statale.
Questo libro offre la possibilità di conoscere che cosa sono le scuole parentali e quali sono i valori pedagogici fondanti.
Il volume contiene anche indicazioni legali e amministrativo-burocratiche, per affrontare correttamente ogni passo nella costruzione e gestione di un progetto educativo.
E propone un paradigma fondato sulla dimensione partecipata e partecipativa al progetto educativo, che si potrebbe riassumere nel termine co-schooling, sottintendendo l’educazione come bene comune.
È una guida utile a genitori, educatori e insegnanti che desiderano mettersi in gioco e pensare fuori dagli schemi.