I delfini che curano
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Sono incontri di questo genere che secondo numerosi studi creano cambiamenti profondi e «guarigioni miracolose» in persone affette da disturbi più diversi dalla depressione all’autismo. Waterplanet di Panama City Beach, in Florida, é uno dei numerosi centri in cui i delfini sono inseriti in un programma terapeutico, ma la sua particolarità è che i delfini sono in libertà.
Waterplanet
Waterplanet ha due programmi specifici per i più piccoli. Il primo, denominato Harmony, è dedicato a bambini e ragazzi affetti da autismo, depressione, sindrome di Rett, sindrome di Turrets, iperattività, difficoltà d’inserimento sociale e malattie terminali (fibrosi cistica, cancro, leucemia). Il secondo, chiamato Serenity, per coloro che sono affetti da ritardi nello sviluppo psicomotorio e disfunzioni fisiche, come la distrofia muscolare.
Entrambi i programmi prevedono uscite in barca al mattino, durante le quali i bambini, accompagnati dagli istruttori, sono incoraggiati ad entrare in acqua e incontrare i delfini. Nel pomeriggio vengono proposte attività creative e psicomotorie condotte da psicologi e terapisti occupazionali e logopedisti per stimolare l’espressività. Da questo punto di vista, i programmi di Waterplanet differiscono notevolmente da quelli proposti da altri centri di delfinoterapia, dove ai bambini vengono assegnati precisi compiti e come premio viene loro permesso di nuotare con i delfini in cattività.
Da Russia e Brasile con amore
Non sono pochi i genitori, provenienti da paesi anche molto lontani, che si rivolgono a Waterplanet nella speranza di ottenere un miglioramento per i propri figli. Durante la mia prima settimana di permanenza in Florida, ho avuto modo di lavorare parallelamente con due casi molto diversi: Rachel, una bimba di sette anni, nata a Chernobyl dopo il disastroso incidente ai reattori e Louis, un piccolo brasiliano, suo coetaneo.
Rachel covava un forte senso di risentimento e di ingiustizia nei confronti della sua condizione: abbandonata a causa delle varie malformazioni causate dalle radiazioni, era stata adottata da una famiglia americana, allora residente in Russia. Louis soffriva invece di una grave forma di autismo. Non guardava mai negli occhi nessuno, non parlava e se qualcosa lo rendeva nervoso afferrava i capelli di chi gli stava intorno e li tirava fino quasi a strapparli.
L’effetto più evidente del lavoro con i delfini si notò con Rachel. La settimana passata in barca alla ricerca dei delfini e le altre attività collaterali, la fecero completamente rifiorire. In acqua si poteva finalmente muovere in libertà, senza le restrizioni della protesi alla gamba e i delfini non sembravano mai stancarsi di nuotare con lei. Per Louis era tutto più difficile. Innanzitutto era abbastanza timoroso dell’acqua, poi gli dava noia il frastuono dei motori e l’eccessiva confusione presente nella barca, dove c’era anche la famiglia di Rachel. I suoi genitori erano molto credenti, fino a sfiorare la superstizione e quindi avevano aspettative altissime per questa settimana con i delfini.
Speravano in un miracolo, cosa che puntualmente non accadde, almeno nella forma spettacolare che si aspettavano. C’è però da dire che nel corso della settimana Louis divenne gradualmente più disponibile e rilassato. L’ultimo giorno poi avvenne un piccolo miracolo, mentre era in albergo con i genitori, puntò il dito sulla foto di delfino e pronunciò la parola magica: delfim (delfino in portoghese).
Scienza o fantascienza?
I delfini prediligono nuotare con i bambini e persone affette da certe condizioni, ma si divertono anche ad interagire con adulti in piena salute. L’unica certezza è che la grande maggioranza delle persone sembrano trarne beneficio. In un’inchiesta effettuata dall’associazione Arion, la quasi totalità delle persone intervistate ha trovato l’esperienza molto positiva, se non entusiasmante; il 76% ha riferito sensazioni di benessere anche dopo l’immersione.
Esami sull’elettrocenfalogramma effettuati negli Stati Uniti su persone prima e dopo l’immersione con i delfini hanno ottenuto i seguenti risultati. Prima dell’interazione: prevalenza di onde beta al 92% (frequenze tipiche in normale situazione di veglia); dopo l’interazione: prevalenza onde alfa all’81%, theta al 10%, beta al 9% sincronizzazione emisferica al 75%. Tali frequenze registrate sono tipiche degli stati di profondo rilassamento, quali la meditazione.
Tralasciando le spiegazioni più fantasiose, due sono le ipotesi plausibili per spiegare tali fenomeni: la prima è che i delfini apporterebbero cambiamenti soprattutto a livello emozionale, la seconda che la loro azione si svolga in modo più significativo a livello fisico.
Cambiamenti a livello emozionale
Per alcuni, il miglioramento del senso di benessere offerto dai delfini deriverebbe da un’efficace distrazione dalla propria condizione di sofferenza. Per altri, il contatto con essi migliorerebbe la capacità di autoaccettazione. La delfinoterapia in gran parte sfrutta la naturale attitudine al gioco dei delfini ed il loro instancabile desiderio di contatto. È proprio questo che sembra riuscire ad aprire uno spiraglio nella mente autistica. Il famoso biologo E. O. Wilson, professore di Harvard e inventore del termine «biofilia», sostiene che il contatto con gli animali è essenziale e apportatore di guarigione.
Per Michael Atlas, co-fondatore del Human-Dolphin institute, spiega così l’effetto terapeutico dei delfini: «L’acqua è nostra madre. Quando siamo in acqua torniamo ad essa». In effetti, il contatto con l’acqua è un richiamo all’origine della vita, sia a livello individuale, dato che passiamo in media i primi 9 mesi della nostra vita a galleggiare in una sostanza liquida, sia a livello planetario, viste le origini della Terra.
Cambiamenti a livello fisico
Più articolata la posizione di David Cole, fondatore della AquaThought Foundation, secondo il quale il fattore chiave è il sonar utilizzato dai delfini. Si tratta di uno strumento molto potente, grazie al quale i delfini sono in grado di localizzare uno squalo a circa 800 metri di distanza e capire se il suo stomaco è pieno o vuoto, e quindi se è a caccia di prede. Secondo Cole, il sonar dei delfini provoca un particolare fenomeno, detto «cavitation», che consiste in un vero e proprio «shakeramento» delle molecole del corpo, stimolando il sistema immunitario e provocando il rilascio di endorfine, ormoni che inducono uno stato di profondo rilassamento.
La cosa interessante è che i delfini, non si sa se per curiosità o altro, sembrano puntare la loro attenzione e il loro sonar alle parti inferme o deformi di chi nuota con essi, come per esempio arti malati. Infine, l’acqua offre sostegno e aiuta la fluidità del corpo. L’assenza di peso che si prova in acqua è una sensazione unica e spesso liberatoria. Grazie a tutti questi fattori, la teoria più plausibile circa l’azione efficace del lavoro con i delfini è che si tratti di una combinazione di fattori. Denis Richard, direttore di Waterplanet sostiene che «La guarigione è un processo olistico, cui concorrono, oltre al contatto con i delfini, diversi fattori quali l’esperienza dell’ambiente marino, il sole, la gradevole temperatura dell’oceano, la sabbia delle spiagge, la calda accoglienza del nostro staff, le forti stimolazioni sensoriali offerte dalle attività espressive, dalla musica e dal lavoro corporeo che rilassano e aprono i bambini, e permettono loro di entrare in contatto con il flusso naturale della vita».
In Italia
In Italia la terapia assistita da delfini viene offerta principalmente dal delfinario di Rimini, dove tuttavia i delfini sono chiaramente in cattività. Fino a qualche anno fa di terapia con delfini in mare aperto non se ne parlava. A settembre 2003 tuttavia é stato presentato un progetto finalizzato alla creazione del primo laboratorio di delfinoterapia all’aperto in Italia. «Il parco ha cominciato a interessarsi di delfinoterapia grazie alle numerose richieste pervenute da parte dei genitori di bambini e ragazzi affetti da autismo» afferma la dottoressa Rolla, direttrice dell’area marina del parco. Il progetto, finanziato dal ministero per l’ambiente, al momento della presentazione, si avvaleva della collaborazione di un team di psicoterapeuti e di biologi marini.
«Purtroppo, a due anni dalla presentazione, il progetto non è ancora stato realizzato» racconta ancora la Rolla, «A causa di una serie di ostacoli, quali il fatto che quando i delfini si trovano in zona sono generalmente impegnati in attività di caccia; il timore legato alla presenza sugli animali di eventuali parassiti e soprattutto la scarsa consuetudine dei delfini in quest’area al contatto con gli esseri umani». Il parco tuttavia ha già realizzato un percorso subacqueo per non vedenti, in collaborazione con il dottor Nardone dell’Istituto dei Disabili Visivi di Roma. «Si tratta di un percorso subacqueo adatto sia ai non vedenti che ad altri disabili, che permette di muoversi sott’acqua tenendosi ad una corda» racconta Nardone, lui stesso non vedente, con alle spalle esperienza di immersioni in tutti i mari del mondo.
Delfini sì, delfini no
La comunità medica cosa ne pensa? Ci sono 150 centri al mondo in cui viene praticata la delfinoterapia, ma l’universo scientifico convenzionale è diviso. Per alcuni medici è assai valida, per altri, come il dottor Bernard Rimland, direttore dell’Istituto di Ricerca sull’Autismo di San Diego, non vi sono abbastanza prove scientifiche sulla sua efficacia. Secondo il neuropsichiatra Michale Westerveld della Yale University Medical school gli stessi risultati che si registrano con i delfini si avrebbero con qualsiasi altro animale; per altri, come lo psicologo David Wolgroch, con una lunga esperienza nel delfinario di Eilat, in Israele, i risultati sono sorprendenti e richiedono studi più approfonditi e dettagliati per valutarne l’efficacia.
Numerosi sono ancora i punti problematici come il costo spesso esorbitante della delfinoterapia interamente a carico delle famiglie; la necessità da parte dei delfini di vivere in gruppo e di poter godere di chilometri di mare aperto. E per questo appare crudele rinchiuderli in delfinari unicamente a uso e beneficio degli uomini. In più la terapia con animali in cattività sembra essere meno efficace, dato che i delfini sono meno felici, ed hanno anche meno necessità di utilizzare il loro sonar.
Lavorare con i delfini in libertà tuttavia non è cosa facile, come hanno scoperto gli autori del progetto nel Parco delle Cinque Terre, dove non esiste un rapporto di fiducia tra delfini e uomini ed è molto impegnativo crearlo. Non ci resta che incrociar le dita perché il progetto nel Parco delle Cinque Terre prenda l’avvio al più presto, da parte nostra ci impegnamo a darne notizie tempestivamente su queste pagine.
Articolo tratto da Terra Nuova – Maggio 2006
Le nostre riviste: TERRA NUOVA e SALUTE E’