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L’importanza dell’educazione all’aperto: esperienza, contatto con la natura e responsabilizzazione

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Se già prima si avvertiva la necessità di “portare fuori” l’educazione e la scuola dalle mura delle classi, dopo questi ultimi tempi difficili questo bisogno è diventato sempre più diffuso. Educare all’aperto, costruendo un contatto con la natura, ricreando relazioni che negli spazi chiusi non riescono a esprimersi appieno è oggi un valore aggiunto importante. Ne parliamo con Selima Negro, esperta di outdoor education e autrice de libro Pedagogia del bosco.
L’importanza dell’educazione all’aperto: esperienza, contatto con la natura e responsabilizzazione
Se già prima si avvertiva la necessità di “portare fuori” l’educazione e la scuola dalle mura delle classi, dopo questi ultimi tempi difficili questo bisogno è diventato sempre più diffuso. Educare all’aperto, costruendo un contatto con la natura, ricreando relazioni che negli spazi chiusi non riescono a esprimersi appieno è oggi un valore aggiunto importante. Ne parliamo con Selima Negro, esperta di outdoor education e autrice de libro Pedagogia del bosco.
Selima, tu che da anni ti occupi di pedagogia del bosco, avverti un maggiore e più diffuso interesse per percorsi educativi in natura?
«All’inizio della pandemia, l’outdoor education è stata presentata come soluzione “pratica” con la quale risolvere i problemi della gestione degli spazi chiusi e le relative difficoltà. Questa visione si è scontrata con le difficoltà organizzative (come identificare gli spazi all’aperto da usare?) e la preparazione degli insegnanti, che avrebbero dovuto stravolgere il loro modo di fare lezione senza formazione specifica. Infatti, rispetto all’iniziale sostegno per l’outdoor education dichiarato anche a livello ministeriale, non si è mosso molto purtroppo. Allo stesso tempo però molti insegnanti ed educatori hanno preso l’iniziativa in autonomia e a distanza di due anni mi sembra che ci sia stato un buon passo avanti. Tra l’altro, mi sembra che la spinta maggiore sia stata proprio a livello pedagogico: sono state più l’esperienza della DAD e in generale la difficoltà di gestire la parte relazionale ed emotiva della scuola che hanno spinto alla ricerca di un nuovo approccio all’educazione, e non solo di nuovi spazi per fare lezione. Il lato negativo è che questo cambiamento è a macchia di leopardo: a seconda della volontà di singole persone (dirigenti, insegnanti e genitori), senza una capacità di sistematizzare e diffondere questo sforzo di cambiamento da parte delle istituzioni».
In cosa consiste oggi il valore aggiunto del “fuori”, della natura, del bosco, dell’esplorazione per bambini che comunque sono abituati spesso a vivere e crescere in città o lontano dagli spazi più selvatici e dal verde?

«Abbiamo tutti sperimentato direttamente come la possibilità di movimento e di esperienze sensoriali soddisfacenti influisca sul nostro benessere, sulla nostra capacità di concentrazione, organizzazione ed equilibrio generale. E’ tanto più vero per bambini e ragazzi, che non possono apprendere solo “con la testa”, ma hanno bisogno di esperienza coinvolgenti e che li impegnino non solo cognitivamente ma anche fisicamente, emotivamente e dal punto di vista sociale. Questo è possibile fuori perché l’interazione con l’ambiente e le persone è più complessa, ricca, varia e sostiene bambini e ragazzi da più punti di vista. Ancora più profondamente credo che si sia rafforzata la consapevolezza che gli apprendimenti basati solo sui contenuti, su materie parcellizzate e nozioni, non corrisponda davvero ai bisogni di bambini e ragazzi che meritano di poter crescere come persone a 360° e non solo in funzione di un ipotetico percorso lavorativo futuro, o ancora peggio in vista delle verifiche e dei voti. Fuori, apprendimento e vita sono due facce della stessa medaglia!».

Quindi ne risente positivamente l’apprendimento nelle varie fasce di età?
«Stare fuori aiuta la creazione di percorsi personalizzati, gli spazi naturali e selvatici sono molto accoglienti… permettono la divisione in piccoli gruppi per interessi, facilitano la compresenza di attività diverse: bambini e ragazzi che osservano l’ambiente, progettano cambiamenti nello spazio, leggono, conversano tra loro o con gli adulti possono convivere e fluire tra le possibilità dell’ambiente, le interazioni con gli adulti di riferimento, il gioco spontaneo, l’esperienza diretta e i momenti di riflessione. E’ fondamentale uno sguardo progettuale intenzionale e consapevole degli adulti, che costruisca una cornice in cui le interazioni tra bisogni e potenzialità dell’ambiente siano facilitate e supportate anche di fronte a difficoltà e mancanze di risorse. Non basta uscire, è necessario che gli adulti lavorino prima sugli strumenti di facilitazione, studino le esperienze esistenti e le riflessioni e le buone pratiche che derivano da esse: la formazione di insegnanti e genitori è imprescindibile, se no si rischia di continuare a fare la stessa scuola, solo senza un tetto!».
Quali ostacoli secondo te oggi frenano l’espandersi delle esperienze di educazione all’aperto?
«Certamente ci sono ostacoli organizzativi: l’eccessiva burocratizzazione spesso irrigidisce la progettualità, spostando il focus sulle responsabilità legali invece che su quelle pedagogiche. La vera chiave penso che sia nella collaborazione tra dirigenti, insegnanti e genitori. Dove si riesce a lavorare come comunità, anche gli ostacoli burocratici si superano facilmente. Il punto credo che sia favorire il confronto e la comunicazione tra tutte le parti in causa, evitando contrapposizioni a valorizzando le competenze che ciascuno porta all’interno di una comunità educante. La pedagogia dovrebbe essere un campo aperto alla discussione di tutti, all’interno di cornici chiare ed esplicite. Insegnanti ed educatori dovrebbero avere maggiori spazi e risorse per poter raccontare la propria visione pedagogica e esplicitare i loro obiettivi e strumenti. Credo che il maggior ostacolo alla diffusione dell’educazione all’aperto siano coloro che impediscono una conversazione a più voci nel mondo dell’educazione. In Italia si avverte la carenza di un confronto aperto, anche critico, ma rispettoso e inclusivo, su queste tematiche: vince spesso la divisione tra “teorici” e “pratici”, chi ricopre ruoli istituzionali e chi lavora all’interno dei movimenti, e le appartenenze valgono più delle idee».
Tu sei co-fondatrice di un asilo nel bosco in Lombardia e ora anche di una scuola primaria nel bosco. Qual è l’approccio che utilizzate con i bambini?
«Per noi il valore più importante è che i processi di apprendimento siano guidati dalla motivazione intrinseca dei bambini, che si esprime attraverso i giochi spontanei, le esplorazioni, le proposte di progetti e le interazioni con persone e ambienti. Gli adulti sono molto presenti, ma sempre al servizio dei percorsi dei bambini, mantenendo l’attenzione alla presenza di opportunità e materiali sempre adatte a sostenere i loro percorsi. Lavoriamo con un programma emergente che si costruisce attraverso l’osservazione e i rilanci progettuali, cercando di valorizzare ogni tipo di apprendimento (cognitivo, fisico o socio-emotivo), senza gerarchie precostituite. Consideriamo la diversità dei modi di apprendere e relazionarsi dei nostri bambini una ricchezza, e il nostro obiettivo è quello di riconoscere e valorizzare ogni capacità, abilità, difficoltà e punto di vista. E’ il modello di comunità che impariamo nel bosco, dove convivono diverse forme di vita, ognuna con le proprie strategie, talvolta in competizione ma in un complessivo equilibrio, e quella ci auguriamo per le future generazioni».
Un messaggio per educatori e genitori?
«Da sette anni mi occupo quotidianamente di progetti di pedagogia del bosco, quelli frequentati anche dai miei figli, quelli che affianchiamo con le consulenze e la formazione, quelli che partono nelle scuole e nei servizi all’infanzia che sosteniamo con la nostra esperienza: più passa il tempo più mi rendo conto di quanto ancora si può imparare sulle potenzialità di questo approccio, per tutte le fasce d’età e le situazioni più diverse. Non posso che augurarmi che sempre più persone seguano questa strada, portando ricchezza a questo movimento perché possa rispondere alle sfide sempre più complesse che ci troviamo ad affrontare! Le potenzialità di queste esperienze mi sono chiare non solo per la mia esperienza diretta, ma anche grazie al continuo confronto con esperienze internazionali, che dalla Danimarca, alla Gran Bretagna, alla Corea del Sud, agli Stati Uniti confermano l’attualità delle nostre riflessioni sulla necessità di cambiare l’idea che abbiamo dell’apprendimento e di un modello unico e uniformato di “scuola”».
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Letture utili

Grazie alla grande ricchezza di stimoli e sensazioni, essere educati nella natura è fonte di innumerevoli benefici per i bambini, sia dal punto di vista fisico che dello sviluppo cognitivo e psicologico.

L’autrice, tra le fondatrici di uno dei primi asili nel bosco in Italia, illustra in modo semplice i principi della pedagogia del bosco e gli aspetti pratici della vita in natura: l’educazione “con” e “al rischio”; l’abbigliamento più idoneo per il caldo e per il freddo; i suggerimenti per allestire un campo base; il gioco spontaneo; il ruolo degli adulti e le interazioni tra bambini.
Ogni capitolo si conclude con alcune domande che aiutano chi legge a riflettere sull’esperienza e a raggiungere una maggiore consapevolezza.
Il volume fornisce anche un prezioso inquadramento storico delle esperienze di educazione in natura e un confronto con le realtà di altri paesi per meglio comprendere le caratteristiche peculiari della pedagogia nel bosco, approfondirne il senso e riflettere sulla sua messa in pratica.
In queste pagine, il lettore trova gli elementi pratici e teorici per realizzare con successo un progetto di libera immersione nel selvatico sul modello dell’asilo nel bosco o, più semplicemente, per godere in modo più consapevole dei vantaggi che si possono ottenere trascorrendo del tempo in natura con i propri bambini.

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