La pedagogia del bosco affonda le sue radici in esperienze e spunti pedagogici ed educativi molteplici, senza dimenticare il concetto danese di
Friluftsliv, “vita all’aria aperta” ma soprattutto connessione con l’ambiente. Ce lo spiega Selima Negro nel suo libro
“Pedagogia del bosco” (Terra Nuova Edizioni).
Dal
libro è tratta la spiegazione che segue delle radici della pedagogia del bosco e del concetto di “vita all’aria aperta”.
«In Danimarca agli inizi degli anni Cinquanta una mamma e pedagogista di nome Ella Flatau ideò un progetto chiamato vandrebørnehave (letteralmente “asilo a piedi”), in cui i bambini e adulti passavano la mattina a passeggio nei campi e nei boschi (Williams-Siegfredsen 2010). La loro esperienza viene considerata il momento fondativo della pedagogia del bosco, un approccio che nasce dall’unione tra una lunga tradizione di pensiero pedagogico sul rapporto tra bambini e natura e i fondamenti delle teorie socio-costruttiviste, le più recenti scoperte della neuro-psicologia e una nuova sensibilità al problema del rapporto tra educazione, cittadinanza e sfide ambientali.
Molto prima degli anni Cinquanta del Novecento, infatti, importanti pensatori come Jean-Jaques Rousseau (2006), Johann Heinrich Pestalozzi (1965), Friedrich Froebel (1993), Rudolf Steiner (2013), Robert Baden-Powell (1989) hanno portato avanti profonde riflessioni sull’importanza della relazione bambini e natura in educazione. John Dewey (1990) e Maria Montessori (2013) hanno contributo a diffondere consapevolezza sull’importanza dell’interazione dei bambini con l’ambiente, fisico e sociale, per il loro sviluppo, sottolineando aspetti fondamentali come l’esperienza diretta e l’individualità dei percorsi di sviluppo (Coluccelli 2018).
Tuttavia, la pedagogia del bosco affonda le sue più solide radici nel socio-costruttivismo, che a partire dagli studi classici di Jean Piaget (2011) e Lev Vygotskij (2008) concepisce l’apprendimento come l’interazione tra una mente attiva e il contesto socioculturale, in opposizione ad un approccio comportamentista che pone l’accento sul comportamento osservabile, e non sui processi di interiorizzazione e significazione simbolica ed emotiva delle esperienze. Ecco perché l’attenzione alle relazioni e al linguaggio e la rinuncia a ogni strumento di manipolazione del comportamento dei bambini, a partire dai classici premi e punizioni.
Altri autori contemporanei, come Barbara Rogoff (2004), Peter Gray (2015), Alfie Kohn (2010) e Alison Gopnik (2017), gli studi della psicologia evolutiva e le neuroscienze hanno contribuito in modo significativo alla comprensione dei processi di apprendimento che la nostra specie ha messo a punto dalla sua origine ad oggi per far fronte alle sfide dell’evoluzione.
Infine, meritano una menzione specifica autori come Richard Louv (2008), Robin C. Moore (1997), Angela Hanscom (2017), che sono tornati al tema del rapporto tra bambini e natura con la consapevolezza della crisi ambientale che caratterizza la nostra epoca, e dei profondi cambiamenti sociali che hanno ridotto drasticamente il tempo libero e il tempo all’aperto dei bambini. A Louv in particolare va il merito dell’identificazione del “deficit di natura” come fonte di una moltitudine di malesseri e criticità dell’infanzia contemporanea. Grazie al suo libro L’ultimo bambino dei boschi molti educatori, insegnanti e genitori hanno messo a fuoco una carenza fondamentale nella vita dei loro bambini: il tempo non strutturato in natura.
Oltre a riconoscere le radici profonde di questo approccio nella storia del pensiero sull’educazione, e allo stesso tempo il suo crescere e affermarsi in dialogo con le più attuali riflessioni psico-pedagogiche, è importante capire anche perché l’origine di questo modello si fa risalire a proprio a quella prima sperimentale esperienza danese di vandrebørnehave: l’identità della pedagogia del bosco è innegabilmente legata alla sua origine scandinava e alla visione del rapporto natura che prende forma nel concetto norvegese di friluftsliv, che significa letteralmente “vita all’aria aperta”, ma si riferisce a un’esperienza di profonda connessione con l’ambiente, grazie alla quale una persona si sente a casa quando è in mezzo alla natura selvatica, anche in luoghi in cui non è mai stata (Kubala 2005, Gelter 2000). Non è una singola esperienza, ma uno stile di vita in cui pratica, valori e identità si uniscono in una visione del mondo non antropocentrica. Nasce dall’incontro incondizionato con la natura: richiede tempo, immersione in tutte le sue dimensioni, anche meno scontate e accoglienti, in modo disinteressato e partecipe. È il ritorno al legame biologico originario tra uomo e ambiente tramite la sintonizzazione con i ritmi naturali, l’armonia ritrovata di esperienza sensoriale/motoria/del pensiero in una dimensione ricca di stimoli. Grazie alla friluftsliv si genera un modo diverso di vedere il mondo, basato sulla consapevolezza profonda dell’unità uomo-ambiente-altri esseri viventi. E si rafforza il senso di comunità e di sicurezza, perché la persona ha fiducia nelle risorse proprie, dell’ambiente e degli altri per affrontare ogni difficoltà.
Le esperienze di friluftsliv non possono avere degli obiettivi di controllo e dominio sulla natura, né obiettivi egoistici di ottenere o imparare qualcosa di specifico per sé. Non coincidono con attività particolari, tantomeno se utilitaristiche o competitive, ma con uno stile di vita e un modo di sentire, difficile da spiegare a parole e legato intimamente alla storia evolutiva della nostra specie: ogni popolo l’ha vissuto quando è riuscito a vivere in armonia con l’ambiente circostante. È la dimensione naturale per lo sviluppo e l’apprendimento dei bambini, perché le energie di mente e corpo lavorano in sintonia al massimo delle loro possibilità.
Questa è la chiave per comprendere la pedagogia del bosco, in quanto cornice di senso specifica e orizzonte che orienta le riflessioni e le buone pratiche di chi vuole accompagnare i bambini nei loro percorsi di apprendimento con intenzionalità, a partire da una visione specifica dell’infanzia, dell’apprendimento e della relazione fra adulti, bambini e ambiente.
È importante ripeterlo: in Italia talvolta si stenta ancora a riconoscere questo approccio come un pensiero pedagogico specifico, ma la pedagogia del bosco non è un metodo da applicare passivamente, non è un set di strumenti e buone pratiche da prendere e rimettere via come fa più comodo: è una visione completa (sfaccettata, e aperta al dialogo con altri approcci) dell’infanzia e dell’apprendimento, è una cornice di riferimento in cui l’adulto continua a rimettersi in discussione e a riflettere sui bambini e sulla sua relazione con loro; è un orizzonte e una direzione di ricerca, in cui tenere viva l’autoriflessione sulle proprie pratiche educative.
È necessario avere chiara l’identità e il senso profondo della pedagogia del bosco perché si possa utilizzare con consapevolezza come orizzonte di senso per chi cerca di riflettere sulle esperienze educative in ambienti non antropizzati. Come è noto, il dialogo tra pratica educativa e riflessione pedagogica è alla base dell’intenzionalità di chi prende consapevolezza del proprio ruolo educativo, che sia professionale o legato alla propria vita personale. Le domande di autoriflessione che scaturiscono dalla visione dell’infanzia e dell’apprendimento della pedagogia del bosco sostengono il pensiero e le buone pratiche di chi pensa che l’apprendimento sia un percorso complesso, personale, non lineare, basato su motivazione intrinseca, ricchezza di possibilità, esperienza diretta, responsabilità. Sono utili per chi considera i bambini come protagonisti attivi del loro percorso di crescita, e gli adulti come accompagnatori. Infine, sostengono l’agire di chi pensa che gli elementi dell’ambiente e gli altri esseri viventi con cui condividiamo il pianeta non siano solo uno sfondo o uno strumento per i percorsi educativi dei bambini, ma ne siano co-autori insostituibili, per ragioni evolutive e biologiche.
La pedagogia del bosco fa parte della grande famiglia dell’outdoor education (o educazione all’aperto o in natura), come l’educazione ambientale, l’educazione esperienziale, lo scoutismo, l’ortoterapia o le attività assistite con gli animali, approcci che hanno in comune il fatto di svolgersi “fuori”, spesso in luoghi non troppo antropizzati, e di mettere al centro la relazione tra persone e ambiente (e spesso altri esseri viventi) per creare esperienze significative dal punto di vista educativo (Farnè 2004). Nei progetti basati sui principi della pedagogia del bosco si utilizzano molti strumenti in comune con gli altri approcci dell’educazione all’aperto, ma essi vengono spesso risignificati alla luce della specifica visione pedagogica.
Ragionare su sovrapposizioni e unicità della pedagogia del bosco è necessario perché questo approccio venga usato con consapevolezza, in contesti, luoghi, culture diverse. Infatti, può ispirare efficacemente progetti con età diverse, nel tempo scolastico o nel tempo libero o in famiglia, ma è necessario che ogni volta che viene richiamato come orizzonte pedagogico si riesca a riconoscerne il contributo specifico al proprio agire educativo, anche perché le comunità educanti che si riuniscono intorno a progetti di questo tipo possano incontrarsi e riunirsi intorno a obiettivi comuni».
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