Apprendere e insegnare nel bosco, permettere ai bambini di immergersi in una natura “maestra” da scoprire, esplorare contesti che mantengono quel “giusto” tenore di “selvatico” che favorisce nell’infanzia (ma non solo) lo sviluppo e il nutrimento del motore interiore che “fa” imparare. È l’approccio oggi sempre più conosciuto come pedagogia del bosco, che ha le sue origini nella Danimarca degli anni ’50 e che unisce il valore della vita all’aperto tipicamente scandinavo, gli studi di antropologia e psicologia evolutiva sull’apprendimento spontaneo dei bambini e una forte consapevolezza del ruolo della specie umana negli equilibri ambientali. Si basa sull’esperienza continuativa nel selvatico: in concreto significa sostenere la libera esplorazione dell’ambiente, in tutte le stagioni e con tutti i tempi atmosferici.
Anche in Italia si sta diffondendo velocemente, in particolar modo come vocazione di esperienze educative parentali volute da genitori o educatori che cercano un contesto diverso da quello convenzionale; per lo più oggi la proposta copre la fascia dei bambini da 0 a 6 anni, ma stanno crescendo quelle che arrivano a toccare l’età della scuola primaria.
Sono oltre un centinaio le esperienze esistenti nel nostro paese, ma si tratta quasi certamente di una sottostima dal momento che non esiste un censimento attivo. Inoltre, le realtà sono anche molto diverse tra loro e non tutte rientrano nell’ambito della rete di contatti che si va costruendo e tessendo. Ci sono anche diverse esperienze inserite nelle scuole pubbliche, soprattutto asili nido e scuole dell’infanzia, che solitamente nascono per iniziativa di singoli insegnanti che frequentano corsi di formazione ad hoc e portano le basi di questo approccio nelle strutture di riferimento.
Persona di grande competenza e professionalità su questo fronte, che ha dato vita in provincia di Lecco anche a vari percorsi educativi basati sulla pedagogia del bosco e di apprendimento nel “selvatico”, è
Selima Negro, laureata in scienze dell’educazione con una tesi sulla dimensione pedagogica del rischio, educatrice e formatrice. Selima è autrice del volume
Pedagogia del bosco (Terra Nuova Edizione), una delle pochissime pubblicazioni che in Italia offrono linee guida, testimonianze ed esperienze in questo ambito, illustrando anche i valori, i principi e i criteri che vi stanno a fondamento. Un testo di cui si avvertiva la necessità per proporre i contenuti in maniera organizzata e concreta e per dare l’opportunità e gli strumenti adeguati a chi volesse approfondire, comprendere e avviare percorsi educativi ispirati, appunto, alla pedagogia del bosco. L’abbiamo intervistata.
Linee guida ed esperienze: finalmente chi vuole conoscere i principi della pedagogia del bosco avrà lo strumento adatto. Come si struttura il volume?
«Il libro è frutto di esperienza diretta con i bambini, contiene approfondimenti di esempi d’applicazione all’estero e informazioni frutto di incontri con gruppi e professionisti in Italia e nel mondo. È stata molto importante l’attività in questi ultimi anni condotta dal gruppo, che ho contribuito a fondare, che si occupa di ricerca e formazione e che ci ha permesso di confrontarci su bisogni, dubbi e risorse di moltissime persone che si avvicinano a questa pedagogia in Italia. Inoltre, abbiamo visitato e conosciuto direttamente progetti attivi nei più diversi contesti, dal parco cittadino, alla scuola, al nido, fino alla fattoria e al parco naturale. Sono stati fondamentali anche alcuni viaggi studio e contatti diretti con diverse esperienze all’estero, per mettere a fuoco differenze e specificità di questo approccio in diversi contesti culturali, oltre a raccogliere suggerimenti da chi lo mette in pratica da moltissimi anni».
In che modo ritiene possa essere utile per chi vuole capire e partire?
«L’obiettivo del libro è dare gli strumenti agli adulti accompagnatori per mettere a fuoco la propria visione dell’infanzia, dell’apprendimento e del ruolo degli adulti e valutare le modalità con cui sostengono i percorsi dei bambini. In Italia si parla ancora in modo poco chiaro di pedagogia del bosco e di educazione all’aperto, come se fossero la stessa cosa, mentre le esperienze basate sulla pedagogia del bosco hanno alcuni tratti fondamentali sempre in comune che l’educazione all’aperto invece non presenta sempre. Resta comunque una grande varietà di modelli organizzativi e di scelte educative che dipendono dal contesto culturale e dai percorsi nazionali. È anche interessante capire come queste differenze hanno ostacolato o sostenuto i progetti, visto che in Italia c’è ancora molto da fare sulla diffusione di questo approccio».
Traccia un modello o mostra una strada?
«Ritengo importante nel volume la presenza delle domande di riflessione: lo scopo non è quello di tracciare un modello da applicare seguendo un libretto di istruzioni, ma utilizzare l’orizzonte della pedagogia del bosco come cornice di senso che dia vita a una ricerca autentica sui percorsi educativi di immersione nel selvatico. Il mio obiettivo era di tenere insieme strumenti concreti e riflessioni pedagogiche, in quel dialogo continuo tra teoria e pratica che caratterizza le buone esperienze educative».
Com’è approdata alla pedagogia del bosco e come sono nate le esperienze educative che porta avanti con i suoi collaboratori nel Lecchese?
«Da quando ho cominciato a fare l’educatrice, mi sono sempre trovata in contesti informali e aperti, in strada con gli adolescenti, a seguire bambini e ragazzi nel tempo libero, nelle gite scolastiche, durante l’estate. Ho imboccato la strada dell’educazione ambientale come continuazione naturale del mio attivismo in associazioni ambientaliste. Nel tempo è cresciuta sempre di più la consapevolezza che nelle esperienze all’esterno, di esplorazione e scoperta nell’ambiente naturale, vivevo le esperienze educative più intense e significative. Mi interessava la possibilità di personalizzare le esperienze, l’autenticità delle situazioni, anche la possibilità di uscire da luoghi comuni e dinamiche consolidate. Quando è nato il mio primo figlio ho cercato per lui un contesto educativo fuori dalla famiglia in cui questi aspetti fossero presenti, e accettando alcuni compromessi, l’ho trovato. Ma mano a mano che cresceva e si avvicinava il momento di inserirlo alla scuola dell’infanzia, l’esperienza quotidiana con lui mi confermava che stare fuori, immersi nel selvatico, non poteva essere una parte solo marginale della nostra esperienza quotidiana. È stato fondamentale l’incontro con un’altra mamma, Alessandra Fossati, e altre famiglie, per poter pensare di realizzare ciò che nelle nostre zone non esisteva: un progetto di libera immersione nel selvatico, in cui l’apprendimento fosse guidato dai bambini stessi. Abbiamo condotto una sperimentazione di un anno, valutando i tempi, i ritmi e l’equipaggiamento utile a stare fuori con ogni tempo atmosferico. Nel frattempo mi sono laureata in Scienze dell’educazione con una tesi sulla gestione pedagogica del rischio nelle attività all’aperto. Abbiamo cominciato ufficialmente nel settembre 2015 con una decina di famiglie, e a oggi abbiamo tre progetti attivi, tutti sostenuti grazie al volontariato dei genitori: Piccoli nel bosco, uno spazio gioco all’aperto a offerta libera, dedicato alla fascia di età 0-2 anni; Asilo nel bosco, un’immersione quotidiana nel selvatico per la fascia 3-6 anni; C.A.L.A.mite, acronimo che sta per Covo per l’Apprendimento Libero e Autodiretto, esperienza alternativa alla scuola dai 6 anni in su».
Ritiene che la pedagogia del bosco sia un valore aggiunto nell’educazione di un bambino o possa o dovrebbe essere la base da cui ripartire per ripensare
l’approccio all’educazione almeno nei primi anni di vita?
«Credo che sia un pensiero pedagogico con basi universali e di grande attualità. Saper stare nella complessità, comprendere l’equilibrio tra noi, l’ambiente e le altre specie viventi, saper fare ipotesi e verificarle, essere in grado di individuare ed esprimere i propri bisogni ed emozioni, saper negoziare: sono tutte competenze fondamentali e particolarmente importanti per le generazioni che erediteranno un pianeta in crisi climatica. Vivere in un gruppo basato sull’autorganizzazione e all’aperto offre importanti possibilità di stimolazione sensoriale e motoria e occasioni di apprendimento emotivo e sociale; ciò risponde a bisogni formativi fondamentali che non sono soddisfabili negli spazi al chiuso progettati e controllati dagli adulti. Tutti i bambini dovrebbero poter sperimentare questo percorso almeno per una parte della loro settimana, a tutte le età. Le colonne della pedagogia del bosco sono due: immersione nel selvatico e apprendimento guidato dal bambino. L’adulto è un accompagnatore e facilitatore».
Qual è nella pedagogia del bosco la visione del bambino, del ragazzo, dell’individuo che apprende?
Nella pedagogia del bosco i bambini e i ragazzi sono visti come dotati tutti di una forte motivazione intrinseca a imparare, per comprendere il mondo in cui vivono e trovare il loro ruolo nella comunità di appartenenza. Proteggere questa motivazione intrinseca, personalizzando i percorsi, valorizzando interessi e competenze, è la chiave perché gli apprendimenti siano utili e significativi, e non solo strumentali a passare test o interrogazioni. Fondamentale è un ambiente (fisico e sociale) ricco, vario e autentico, dove i bambini e ragazzi possano sperimentarsi in compiti reali e significativi, non predeterminati e accompagnati da adulti appassionati di ciò che fanno».
Un approccio, dunque, nuovo ma che in realtà recupera antichi saperi, consuetudini, relazioni e modalità. E che (ri)mette al centro la riscoperta del legame con la natura che ci circonda.