I cambiamenti climatici e il loro impatto sulla biodiversità
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I cambiamenti climatici sono al tempo stesso causa e conseguenza della perdita di biodiversità: vediamo il perché.
C’è un’altra buona ragione per “fare pace con la natura”, come auspicava la Cop16. Gli ecosistemi “svuotati” della loro flora e della loro fauna autoctona, infatti, sono anche molto più deboli di fronte agli shock esterni, tra cui le ondate di caldo e siccità, le grandinate, gli uragani. Ne abbiamo una prova anche quando gli eventi meteo estremi si abbattono sulle città: i danni peggiorano sensibilmente quando i fiumi sono stati deviati e interrati, le superfici impermeabilizzate, gli alberi abbattuti. La natura, in sintesi, è una nostra silenziosa alleata. Sia per la mitigazione, sia per l’adattamento.Nell’arco di poche settimane, a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra, si sono tenute due Conferenze delle parti: la Cop16 sulla biodiversità a Cali, in Colombia, e la Cop29 sul clima a Baku, in Azerbaigian. In entrambi i casi siamo di fronte a una crisi conclamata, testimoniata dai numeri e, ormai, anche dall’esperienza diretta di ciascuno e ciascuna di noi. Quello che spesso si perde di vista è che il tracollo della biodiversità e i cambiamenti climatici sono due facce della stessa medaglia.
Il declino della biodiversità nel mondo
Il trend di declino della biodiversità è allarmante. Come riferisce Wise Society, citando l’ultimo Living Planet Report del WWF, negli ultimi cinquant’anni (tra il 1970 e il 2020) la dimensione media delle popolazioni di vertebrati selvatici ha subito un calo del 73% a livello globale. Gli ecosistemi che versano in condizioni più critiche sono quelli di acqua dolce, con un declino che arriva addirittura all’85%.
Non va molto meglio per le piante. Proprio durante la Cop16, l’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) ha pubblicato il suo primo Rapporto globale sullo stato degli alberi, da cui si evince che il 38% delle specie conosciute è a rischio di estinzione. Sul totale delle specie catalogate nella Lista rossa dell’Iucn, più di un quarto sono proprio alberi. Tra le specie minacciate, il numero di alberi è più del doppio rispetto a quello di uccelli, mammiferi, rettili e anfibi messi assieme.
Perché la crisi climatica incide sulla biodiversità
Un fenomeno così vasto e complesso nasce da una combinazione di fattori. In tutti i casi, però, la responsabilità dell’uomo è acclarata. Negli ultimi decenni gli habitat naturali sono stati sacrificati per ricavare edifici, infrastrutture e campi agricoli, sono stati inquinati, sono stati sfruttati ben oltre la capacità di rigenerarsi (basti pensare alla pesca).
Il riscaldamento globale è un altro dei fattori di origine antropica che hanno alterato, in modo più o meno diretto, gli equilibri della natura. Man mano che le temperature cambiano, alcune specie sono costrette a migrare alla ricerca di condizioni ambientali più favorevoli; altre ancora hanno cambiato abitudini, oppure si trovano disorientate perché mutano i segnali ambientali che regolano la migrazione e la riproduzione. Un esempio evidente è quello delle tartarughe marine verdi, il cui sesso è determinato dalla temperatura di incubazione delle uova nella sabbia. In Australia, con le temperature all’interno dei nidi che superano facilmente i 30 gradi centigradi, si è arrivati all’estremo per cui il 98-99% delle nuove nate è femmina.
Sono sempre le temperature più calde a creare condizioni favorevoli all’insediarsi delle specie aliene invasive: lo vediamo nel mar Mediterraneo, con il celeberrimo granchio blu ma anche il pesce scorpione (originario del mar Rosso), il vermocane e molte altre. Specie che provengono da ecosistemi totalmente diversi, spesso non hanno predatori naturali e quindi fanno piazza pulita della biodiversità preesistente.
Con una biodiversità impoverita, la crisi climatica può diventare una catastrofe
I cambiamenti climatici sono dunque una causa del declino della biodiversità, ma anche una conseguenza. Sappiamo infatti che le attività umane – in primis la combustione di carbone, petrolio e gas – emettono gas serra: ma circa la metà di questi gas serra è assorbita dagli ecosistemi terrestri e dagli oceani. Perdere questi serbatoi naturali di CO2, per esempio disboscando le foreste, significa accelerare il riscaldamento globale a parità di emissioni. Guardandola da un altro punto di vista, questa considerazione ci offre una possibile soluzione: ripristinare gli ecosistemi degradati, riportandoli in salute. Concentrandosi magari su quegli habitat che hanno una capacità particolarmente spiccata di catturare CO2, per esempio le torbiere, le foreste di mangrovie a latitudini tropicali e subtropicali, o ancora le praterie sottomarine di Posidonia oceanica.
Photo by Markus Spiske